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15ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

  • Immagine del redattore: don Luigi
    don Luigi
  • 5 giorni fa
  • Tempo di lettura: 17 min

Dal Vangelo secondo Luca (10, 25-37)

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

 

La parabola è ambientata lungo la strada che da Gerusalemme scendeva fino a Gerico, le due città distano fra di loro 27 km e la strada che le unisce, corre lungo il deserto della Giudea ed è in forte discesa perché il dislivello è di ben 1000 mt. Gesù conosceva molto bene questa strada perché l’ha percorsa fin da piccolo, ci dice infatti l’evangelista Luca che “ogni anno la Sacra Famiglia si recava a Gerusalemme per la Pasqua” e l’unica strada che permetteva ai Galilei di raggiungere la Città Santa era proprio questa e l’ultima montagna è il Monte degli ulivi, oltrepassato il quale si giunge a Gerusalemme. Questa strada era molto pericolosa perché ovunque c’erano grotte, anfratti, dirupi, precipizi e al tempo di Gesù doveva essere percorsa in carovana, perché il deserto della Giudea era infestato dai briganti. Per la protezione dei viandanti c’erano dei posti di controllo, uno si trova sulla fortezza fatta costruire da Erode il grande e a questa fortezza aveva dato il nome di sua mamma “Cipro” che era una anabattea. Verso la metà della strada, c’era un altro posto di guardia, è chiamato oggi “Can del buon samaritano”, caravanserraglio del buon samaritano; il posto di guardia del tempo di Gesù, non doveva essere molto diverso da quello di oggi.

Gli archeologi israeliani hanno fatto degli scavi in questo luogo e hanno fatto dei ritrovamenti interessanti, lì hanno detto che c’erano delle grotte abitate al tempo di Gesù, probabilmente proprio da coloro che avevano il compito di proteggere i viandanti dai predoni. Nel secolo XII, i crociati hanno trasformato questo luogo in una fortezza, chiamata “la fortezza rossa”. Serviva a proteggere i viandanti e, in questo caso, erano i pellegrini cristiani che si recavano al Giordano per visitare il luogo del battesimo di Gesù.

Al tempo di Gesù la città sorgeva lungo la pianura.  Oggi si vedono i resti dei palazzi degli Asmonei e di Erode il grande.Quello degli Asmonei aveva una duplice piscina, nella quale re Erode il grande ha fatto affogare suo cognato, del quale era molto geloso. Erano addirittura tre questi palazzi, e quella piscina, era lunga 90 mt e larga 42 mt. Gerico del tempo di Gesù era una città molto ricca, molto importante, la città delle palme dove si produceva il “balsamo” conosciuto in tutto il mondo e che era prodotto con delle composizioni segrete, era preziosissimo. Era una città di frontiera e quindi lì c’era la dogana e capiamo anche che c’era chi gestiva questa dogana e riscuoteva i dazi, ne conosciamo anche il nome… Zaccheo. Era la sede invernale della “gente bene”, gente ricca di Gerusalemme. Durante l’inverno a Gerico è primavera, difatti molti sacerdoti del tempio avevano le loro ville e le residenze invernali a Gerico. Era poi una città famosa nell’antichità, per la corruzione dei costumi, la bella vita… era antitetica rispetto a Gerusalemme; Gerusalemme, la città santa era in alto, Gerico era in basso, la città della corruzione, proprio in opposizione alla città santa.

La parabola che ascolteremo adesso, è introdotta da un dialogo tra Gesù e un dottore della Legge, sentiamo: … Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Il primo personaggio che entra in scena è un dottore della Legge, una persona molto stimata in Israele perché dedica tutto il suo tempo allo studio dei Testi Sacri, conosce la Torah, la insegna al popolo e quando ci sono delle dispute legali si ricorre a lui. “Si presenta da Gesù per metterlo alla prova”. Il verbo ricorre soltanto due volte, la prima quando il diavolo tenta Gesù, lo vuole portare fuori strada; la seconda volta è applicato a questo rabbino… allora molti dicono che si è presentato da Gesù con un’intenzione malevola, per tendergli un tranello e poterlo poi condannare. Si è presentato da Gesù per verificare se era una persona saggia, se conosceva le Scritture e probabilmente anche per avere una luce interiore, una risposta a certi interrogativi e che lui si pone, difatti gli pone una domanda: “Maestro, facendo che cosa io posso ereditare la vita eterna?” Notiamo, non va da Gesù per chiedere il successo, la salute, il benessere, va al di là della vita biologica. Io ho ereditato la vita biologica, non me la posso dare, la ricevo in dono dai miei genitori, a me possono chiedere tutto, ma non di darmi la vita, posso soltanto riceverla in eredità. Lo stesso accade con la vita dell’Eterno! Se io non ricevo in eredità, in dono dall’Eterno la sua vita, quando finisce la vita biologica è proprio finito tutto, quella vita che ho ricevuto in dono non c’è più, ha concluso la sua storia.

Adesso chiede a Gesù, ed è una domanda molto seria: “come posso dispormi a ricevere questo dono della vita eterna?”. La risposta che Gesù dà è fatta da 2 domande: “Tu sei un biblista, cosa leggi nella Torah?” Non solo, ma: “Come interpreti ciò che leggi?” È bello il modo di procedere Gesù, che era quello dei rabbini del suo tempo, i quali non rispondevano subito dando la soluzione, ma ponevano altre domande perché volevano che la verità non fosse imposta, ma uscisse dal cuore delle persone, quindi continuavano a fare delle domande fino a quando la persona arrivava da sola alla conclusione. Difatti Gesù pone queste due domande e il rabbino dà la risposta, è un biblista e fa riferimento a due testi, il primo è quello del “Libro del Deuteronomio” al capitolo 6 e dice: “Se devo dispormi a ricevere questo dono della vita eterna, io devo amare il Signore con tutto il mio cuore, con tutta la mia vita, con tutta la mia forza e con tutta la mia mente”. Fa riferimento a quel testo che viene ripetuto 2 volte al giorno da ogni pio israelita nella preghiera. “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore”.

Sappiamo che il cuore nella Bibbia non è la sede dei sentimenti, anche, ma è sede di tutte le scelte, quindi tutte le scelte devono essere fatte in sintonia col pensiero di Dio e con la volontà di Dio; poi, “con tutta la vita” va amato il Signore ogni momento della vita deve essere segno di amore verso il Signore; E poi “con tutta la forza” Qui significa con tutti i beni che tu hai. I beni materiali e i doni che tu hai ricevuti da Dio, devono essere posti a servizio del progetto del Signore.

Un’aggiunta che fa questo rabbino al testo sacro, “amare Dio con tutta la mente”. Ed è quello che lui sta facendo, dedica la sua vita tutta allo studio della Parola di Dio e qui potremmo fare un’applicazione alla nostra vita di cristiani di oggi, non possiamo dire di amare Dio con tutto il cuore, con tutta la vita, con tutta la forza, se poi dedichiamo più tempo forse alla squadra del cuore e non allo studio della Parola del Signore. È un’aggiunta che ha fatto il rabbino ed è molto bella ed è una provocazione anche per noi cristiani di oggi.

E poi cita un secondo testo preso dal Libro del Levitico al capitolo 19: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Quindi ha capito questo rabbino, che per disporsi a ricevere l’eredità della vita eterna bisogna amare, rimanere sempre in sintonia con la volontà del Signore e quindi ho scoperto qual è il senso del mio esistere e poi manifestare amore per coloro che mi stanno vicino. Amare è la disposizione per vivere qui e poi per prepararsi a ricevere questa eredità. La risposta di Gesù è molto bella: “Bravo, hai risposto rettamente, fa’ questo e vivrai”. Sta dicendo: “Se vuoi vivere qui, adesso, in questo tempo della tua vita biologica, vivere in modo umano e disporsi a ricevere la vita dell’Eterno, significa amare. Se tu non ami non vivi da uomo, ciò che ti caratterizza come un uomo è la sintonia con l’amore del Signore e con l’amore nei confronti di tuo fratello, se non fai questo, tu non vivi. E allora vai avanti su questa strada, sei sulla strada giusta”.

Ma quello, volendo giustificarsi disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”. Prossimo significa il mio vicino, “reah” in ebraico, “colui che mi è vicino”, e si discuteva tanto… chi sono questi vicini? Qualcuno lo interpretava con i familiari, con i vicini, quelli del proprio villaggio o quelli del popolo di Israele… C’erano tanti termini per indicare coloro che impropriamente non appartenevano al popolo di Israele, ma anche loro sono dei prossimi, dei vicini… per esempio il “nocrì” cioè lo straniero di passaggio, anche lui viene coinvolto in questo prossimo, il “gher” cioè lo straniero assimilato, diremo noi oggi, quello che ha il permesso di soggiorno, anche lui è prossimo. Sappiamo che nella Bibbia ci sono delle disposizioni molto belle che riguardano queste persone, al capitolo 22 del Libro dell’Esodo: “Tu non molesterai il forestiero, non lo opprimerai perché ricordati, tu sei stato forestiero in Israele”. E lo sai come venivano trattati gli stranieri là, venivano oppressi, tu non lo puoi fare perché sei stato tu straniero una volta e lo sai che cosa significa; e poi lo sai anche, il Signore protegge i forestieri, sostiene l’orfano, la vedova, protegge tutte le persone fragili e deboli.

Il rabbino pone quindi questa domanda: “chi è il mio vicino?”, cioè il vicino al quale deve poi giungere questo amore. Gesù non gli risponde con un ragionamento, con una parabola, sentiamo:

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico”. E chi era? Di lui non sappiamo proprio nulla, né l’età, la professione, era un giudeo, uno straniero, che religione praticava, era buono o cattivo… non sappiamo nulla, una cosa sola noi sappiamo, che era un uomo e questo a Gesù basta. Cosa era andato a fare a Gerusalemme? A pregare o a darsi ai bagordi? A offrire sacrifici nel tempio o a rubare? E poi come mai andava a Gerico da solo, mentre tutti vanno in carovana? Poi siccome è stato una preda appetibile per i briganti, vuol dire che aveva dei beni con sé. Di lui non sappiamo nulla ed è caratterizzato nel più generico dei modi… era un uomo e l’uomo non perde mai la sua dignità, fosse anche un criminale. Ricordiamo nella Bibbia quando Caino dice a Dio: “Adesso chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere perché io sono un criminale”. E Dio pone un segno su Caino perché nessuno deve toccare Caino, rimane con la sua dignità di uomo immagine di Dio, una somiglianza molto deturpata di questa immagine, ma non perde la sua dignità.

E adesso in che condizioni si trova questo uomo che poi verrà incontrato da altri personaggi che scenderanno verso Gerico. È incappato nei briganti che lo hanno spogliato, riempito di colpi e poi se ne sono andati lasciandolo mezzo morto. Ecco la condizione di questo uomo che poi verrà incontrato da altre persone. È spogliato, nude vanno le bestie, quindi è stato disumanizzato, è stato colpito, ferito, è solo ed è mezzo morto; è sul crinale tra la vita e la morte, dipende da coloro che lo incontrano… lasciarlo morire o riportare quest’uomo alla vita. Questa è anche una parabola che riflette ciò che accade oggi a tante persone che incappano in briganti nella loro vita, briganti che le spogliano, le disumanizzano, le fanno diventare come bestie svestite, le sfigurano e poi le abbandonano umanamente distrutte. Questa è la condizione in cui vengono a trovarsi tante persone e sono sul crinale… finire nella disumanizzazione piena, oppure essere riportate alla vita? Ora, per coincidenza, Gesù ci vuol dire che tu non devi andare a cercare il fratello bisognoso, sono le circostanze, le coincidenze che te lo mettono davanti.

E adesso, il secondo personaggio che scende verso Gerico è un sacerdote, scendeva per quella medesima strada e che cosa accade? Due verbi caratterizzano la sua reazione. il primo verbo: “lo vide” secondo verbo: “è passato dall’altra parte della strada”. Due verbi, non è che non ha visto, ma ha evitato di aiutare quella persona, quindi l’ha lasciata morire, poteva riportarla alla vita! È un sacerdote. In Israele c’erano 24 classi di sacerdoti, vivevano nei loro paesi, ma due volte all’anno dovevano recarsi a Gerusalemme, per rimanerci una settimana, a officiare nel tempio. Quindi lui stava tornando a casa sua, aveva passato una settimana con il Signore quindi aveva ancora gli abiti profumati degli incensi, aveva ancora nelle orecchie i canti, le melodie dei Salmi, era stato con il Signore, quindi avrebbe dovuto assimilare non solo lo sguardo del Signore che vede tutti i bisognosi, ma anche i sentimenti del Signore, l’emozione del Signore.

La prima caratteristica di Dio… “io sono colui che prova un amore viscerale per chi è nel bisogno”, il sacerdote no, passa dall’altra parte della strada e ci chiediamo come mai ha fatto questo? La prima ragione è forse dovuta al fatto che è un sacerdote, e siccome lì c’è del sangue che scorre, lui non può toccare il sangue; potrebbe anche essere un morto e lui non può avvicinarsi ai morti. Conosce bene quello che dice il Levitico: “il sacerdote non dovrà rendersi immondo per contatto con un morto – sempre il Levitico – neppure per suo padre e per sua madre lui deve avvicinarsi a un defunto”. “Chiunque tocca un uomo ucciso, rimane immondo per sette giorni”, dice il libro dei numeri. Quindi il sacerdote che deve rimanere puro per poter officiare ha una scusa, non si deve avvicinare all’uomo… la pratica religiosa che è più importante dell’amore. Ma poi ci possono essere anche altri motivi per cui non si è avvicinato ed è andato dall’altra parte della strada, poteva essere aggredito a sua volta forse i briganti sono qui nei dintorni, non voglio mettermi nei pasticci, oppure semplicemente non ho tempo da perdere. Riflettiamo su queste possibili ragioni per cui l’uomo di chiesa, religioso, prova scuse per non affrontare un problema di uno che può morire se tu non intervieni.

Secondo personaggio, che scende per la medesima strada, un “levita anche lui un uomo di chiesa, anche lui caratterizzato da due verbi nella sua reazione. Primo: “vede, ma devia, passa oltre”. Chi erano i leviti? I leviti erano un po’ i sacristi del tempio, quindi anche loro dovevano rimanere puri. Come mai Gesù presenta questi due uomini di chiesa? Perché vuole togliere l’illusione di essere suoi discepoli, perché si praticano dei riti religiosi. Lo sappiamo come nell’Antico Testamento, i profeti hanno denunciato la pratica religiosa che è staccata dall’amore, cioè si vuole sostituire con dei riti, l’unica cosa che a Dio preme, l’amore per chi è nel bisogno, per l’orfano, per la vedova, per il forestiero. A questo punto, gli ascoltatori della parabola si aspettano che dopo i due uomini di chiesa, entri in scena il soccorritore che sarà – pensano loro – un pio giudeo laico. Se Gesù avesse portato avanti la parabola in questi termini, cioè è arrivato un laico buono, la gente che allora manifestava quel benevolo anticlericalismo che troviamo anche nei cristiani di oggi, loro avrebbero approvato la parabola.

Sentiamo invece chi è il quarto personaggio che scende verso Gerico e che incontra quell’uomo malcapitato nelle mani dei briganti: … un Samaritano, che era in viaggio…si prese cura di lui. Gesù non presenta un buon samaritano, ma “un Samaritano”. Il peggior insulto che potesse essere rivolto a un giudeo era “cane”, oppure “pagano”, il secondo insulto era “samaritano” che equivaleva a “bastardo, rinnegato, eretico”. L’autore del Libro del Siracide al capitolo 50, presenta in questo modo i Samaritani: “Il popolo stolto che abita a Sichem, non merita nemmeno di essere considerato un popolo”. E per la verità, i giudei avevano le loro buone ragioni per considerare degli scomunicati i Samaritani, da secoli si erano mischiati con altri popoli, avevano costruito il loro tempio sul Garizim, quindi non praticavano la religione pura che è praticata a Gerusalemme e poi non accettavano nemmeno tutte le Scritture, avevano eliminato i Salmi, i Profeti, i libri Sapienziali. Chi chiamava “samaritano” uno, una persona meritava la pena di 39 frustate, quindi era molto grave questa offesa; Gesù l’ha ricevuta quando gli hanno detto: “Tu sei un pazzo e un samaritano”. Gesù dice: “io non sono pazzo”, ma non rifiuta il titolo di samaritano, per Lui non è spregiativo. Il Samaritano della parabola si trova in territorio ostile, è in Giudea e quindi è un immigrato irregolare, è in pericolo, ma lui perde testa adesso, dimentica tutto, aveva i suoi progetti di vita, ma adesso si incontra con un uomo che è sul crinale tra la vita e la morte e dipende da lui lasciarlo morire o riportarlo alla vita.

Ci sono 10 verbi che caratterizzano il suo comportamento, è una descrizione molto accurata di ciò che fa di fronte all’uomo.

Primo verbo: “lo vide”. Come l’hanno visto anche tutti gli altri, ma lui lo vede in modo diverso e c’è un messaggio importante per noi: non c’è da aspettare che l’altro gridi aiuto, forse non ha neanche la forza di gridare aiuto, sono io, se amo realmente il mio vicino, devo stare attento, devo essere sempre pronto a intervenire perché ho lo sguardo che è quello di Dio. Il sacerdote e il levita erano persone che pregavano, che alzavano lo sguardo verso il cielo, ma che cosa accade? Guardano verso il cielo, ma lo sguardo di Dio va verso il povero, il bisognoso, e allora chi prega realmente non guarda per aria, guarda dove guarda Dio. Se c’è una mamma con il figlio ammalato che ha bisogno di aiuto, io non posso guardare alla mamma, devo guardare dove guarda la mamma e questo samaritano che non è un uomo di chiesa, non è un uomo che pratica la religione pura, quella di Gerusalemme… è un eretico, ma ha lo sguardo di Dio che va verso il bisognoso.

Secondo verbo:venne presso di lui”. Si avvicina, non scappa dall’impuro perché per lui nessun uomo è impuro, sono gli uomini di chiesa che distinguono fra puri e impuri, quando c’è di mezzo la vita dell’uomo tu stai a disquisire sulla purità rituale? Forse il Dio del dottore della Legge, era quello che ordinava di tenersi lontani dagli impuri, il Samaritano segue il cuore, segue quelli che sono i sentimenti di Dio, come adesso sentiamo.

Terzo verbo:si commosse”. Ha sentito una emozione viscerale che gli ha fatto perdere la testa adesso come Dio, lui ragiona e agisce mosso dalle viscere, dall’amore viscerale. Ricorre 12 volte nel Nuovo Testamento questo verbo e è applicato sempre a Dio o a Gesù; nell’Antico Testamento, il verbo che corrisponde a questo, è quello che noi troviamo nell’autopresentazione di Dio, al capitolo 34 dell’Esodo, quando Dio dice: “Volete sapere cosa c’è scritto sulla mia carta d’identità? Chi sono io? Ani rahum”. È l’utero, quindi la prima immagine che Dio dà di se stesso è femminile. “Io amo con amore uterino, come quello di una mamma per il figlio che ha in grembo!” L’immagine più bella dell’amore viscerale di Dio. Bene, in tutto l’Antico e in tutto il Nuovo Testamento, noi troviamo questo verbo sempre applicato a Dio o a Gesù eccetto una volta, quando è applicato … a un Samaritano. Non basta vedere, non basta nemmeno avvicinarsi, bisogna provare questo sentimento che è quello di Dio, se tu entri in sintonia con questo amore di Dio, tu poi passi all’azione, difatti questo Samaritano adesso non segue più la testa ma il cuore; dimentica gli affari, gli impegni, le norme religiose, la stanchezza, la fame, la paura… agisce adesso, si impegna per risolvere questo problema di un uomo che si trova fra la vita e la morte, fra essere disumanizzato o tornare ad essere uomo.

Quarto verbo: “si avvicina”. Quinto verbo:fascia le ferite”. Sesto:versa olio e vino”. Settimo verbo:lo carica sul suo giumento”. Ottavo:lo conduce, non nell’albergo, ma in quel luogo dove vengono accolti tutti”. Albergo in greco si dice “xenodokeion”, qui non c’è questo termine, c’è “pandokeion”, là dove si accolgono tutti senza distinzione. Vi ho parlato prima, quando vi ho detto che i crociati avevano costruito la fortezza rossa in quel pandokeion, su una pietra di questa costruzione dei crociati, un viandante, un pellegrino probabilmente, che era diretto anche lui per vedere il luogo del battesimo di Gesù, su una pietra ha scritto: “Se persino i sacerdoti e gli uomini di chiesa passano oltre la tua angoscia, sappi che Cristo è il buon Samaritano che avrà sempre compassione di te e nell’ora della tua morte, ti introdurrà nella locanda eterna”. Lo stupendo graffito che c’è su questa pietra, allora noi comprendiamo anche la parabola di questo Samaritano, nell’intenzione di Gesù è lui quel Samaritano, i sacerdoti, i leviti con le loro pratiche religiose hanno voluto soccorrere l’umanità, ma è venuto Lui il Samaritano, Lui sì che è intervenuto con l’olio e col vino per ridare vita a questa umanità. E poi ultimo verbo:lui tira fuori due denari e li dà al padrone di quella locanda”. Il “pandokeus”, colui che accoglie tutti e dice: “prenditi cura di lui e quanto spenderai di più te lo rifonderò al mio ritorno”. Interessante, gli dà due denari, quindi gli dà i soldi per due giorni, vuol dire che lui sarebbe tornato il terzo giorno per pagare tutto se ci fosse stato bisogno. Nella parabola, che cosa fa Gesù con questa umanità, Lui la prende e anche se è ferita, rimane sempre con questa dignità umana e la porta là, dove vengono accolti tutti, dove nessuno è scacciato ed è Lui che ha pagato per tutti perché ha donato tutta la sua vita per la salvezza di questa umanità.

A questo punto Gesù si rivolge al dottore della Legge e gli pone un’ultima domanda, sentiamola: Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». Gesù non pronuncia il suo giudizio sull’accaduto, vuole che sia il dottore della Legge a farlo, per questo pone una domanda che capovolge quella che gli era stata rivolta all’inizio. Il rabbino gli aveva chiesto: “Chi mi è vicino?” Chi è il mio vicino che io devo amare “plesion” in greco è un avverbio, significa semplicemente “vicino, vicino a”, quando c’è l’articolo davanti diventa sostantivo, “il vicino, il prossimo”. Il rabbino aveva chiesto: “Fin dove deve arrivare il mio amore? Chi è il vicino? Quali i confini? Chi ha le caratteristiche per meritarsi di essere aiutato?” Gesù capovolge: “Chi di questi tre si è fatto vicino a quel povero uomo che è caduto in mano ai briganti?” Prossimo per Gesù non è una condizione, una caratteristica che uno deve avere per potere essere aiutato, prossimo è colui che si fa vicino.

La risposta del rabbino: “Si è fatto vicino colui che ha fatto la misericordia”. Bello, non nomina il Samaritano, non lo merita, ma è costretto ad ammettere che è lui che si è fatto vicino, allora Gesù gli dice: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Il dottore della Legge si era rivolto a Gesù perché voleva sapere: “Come posso io creare in me le condizioni per ricevere la vita che non è quella biologica, quella l’ho già ricevuta, ma la vita dell’Eterno”. E Gesù gli risponde: in chi di quei tre, Samaritano, sacerdote e levita, in chi di loro tu hai visto presente la vita dell’Eterno, già in atto la vita eterna? In chi dei tre tu hai visto lo sguardo di Dio? Quello del sacerdote e del levita, non è stato lo sguardo di Dio, hanno soltanto visto ma non gli è interessato; al Samaritano invece è interessato ciò che lui aveva visto! Poi, in chi dei tre tu hai visto presenti i sentimenti di Dio, l’amore viscerale che gli ha fatto perdere la testa per cui non ha più pensato a ciò che doveva fare… , ai pericoli che c’erano… , non ha più visto niente perché non era la testa che lui seguiva, ma i sentimenti che erano quelli di Dio. Poi tu sei un biblista, conosci la Torah e quindi conosci le opere di Dio, oltre allo sguardo, ai sentimenti di Dio… in chi dei tre tu hai visto presente l’opera di Dio? Il sacerdote e il levita si sono allontanati, questo Dio non lo fa; il Samaritano è colui che ha rivelato che in lui era presente la vita dell’Eterno.

La parabola ha un messaggio esplosivo, ci sta dicendo che chi si fa prossimo del fratello, sta amando come ama Dio, rivela che in lui è presente la stessa vita dell’Eterno, quella vita eterna che il dottore della Legge chiedeva a Gesù “come posso io prepararmi a riceverla in eredità”. È esplosivo questo messaggio perché è ciò che ci dice Giovanni al capitolo 4 della sua prima lettera: “Carissimi amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio e chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio; chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”. La conseguenza… Gesù ha posto come esempio di chi ha ricevuto la vita dall’Eterno, uno che non pratica la religione praticata dai pii giudei, come il dottore della Torah che è rimasto certamente sconcertato, non se lo aspettava, ma Gesù ci sta dicendo: “Ovunque tu vedi segni di amore, tu sei certo, lì è presente la vita dell’Eterno.

 
 
 

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