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17ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

  • Immagine del redattore: don Luigi
    don Luigi
  • 25 lug
  • Tempo di lettura: 17 min

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 11,1-13)

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli". Ed egli disse loro: "Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione". Poi disse loro: "Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: "Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli", e se quello dall'interno gli risponde: "Non m'importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani", vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.

Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!".

Al tempo di Gesù come anche oggi, il pio giudeo al suo risveglio prende il “tallit” lo scialle della preghiera, se lo pone sulle spalle e si rivolge al suo Dio. È la “shachrit” la preghiera del mattino, “shachar” è la luce mattutina. Sollevare lo sguardo al cielo, entrare in dialogo con Dio, è il gesto più nobile che l’uomo possa compiere, ma nel nostro mondo secolarizzato questa preghiera è in crisi e credo che per molti valga la celebre frase di Friedrich Hegel, il quale ha detto che “la preghiera del mattino dell’uomo moderno è prendere in mano il giornale”; oggi si prende in mano lo smartphone.

Ma accantonato in questo modo il rapporto con Dio, siamo così sicuri di averci guadagnato? Di essere diventati più uomini? Perdendo di vista il richiamo a Dio e al nostro destino ultimo, ripiegandoci sulle realtà di questo mondo come se bastassero da sole a dare pienezza di senso la nostra vita, ci arricchiamo di umano o ci impoveriamo? La preghiera oggi è in crisi e le ragioni sono varie, ci sono tante distrazioni, tantissimi interessi, poi siamo travolti da un attivismo frenetico, l’agenda è stracolma di impegni, allora bisogna dare qualche taglio e il primo ramo secco che viene tagliato è ciò di cui si sente meno il bisogno… la preghiera. L’uomo moderno sente di poter bastare a se stesso, confida nella scienza e nella tecnica perché è convinto che queste risolvono tutti i suoi problemi, ma a questa disaffezione per la preghiera contribuisce in modo determinante la concezione errata, che è molto diffusa, della preghiera.

Per molti ancora oggi, pregare significa ripetere formule e di questa preghiera se ne sente sempre meno il bisogno, del resto Gesù aveva già messo in guardia da questo pericolo, quando aveva detto: “Quando pregate non moltiplicate le parole come fanno i pagani”. C’è una seconda formula di preghiera che suscita ancora maggiore difficoltà, è quella di chi si rivolge a Dio per ottenere da Lui qualche favore per sé o per gli altri, salute, buon esito di un affare, successo nella professione, la pace familiare. Di fronte a questa preghiera, l’uomo d’oggi prova un certo disagio perché si chiede che cosa c’entri Dio con questi problemi che siamo noi a dover risolvere; il disagio poi aumenta, quando si vedono delle persone credenti che per ottenere da Dio questi favori, mettono di mezzo l’intercessione ai santi, a volte facendo poi ricorso a reliquie, acque miracolose, oggetti benedetti… non vogliamo disprezzare queste manifestazioni di fede popolare, ma facciamo attenzione perché rasentano la magia e sviliscono la preghiera. Le obiezioni che sentiamo oggi alla preghiera, stanno in piedi solo perché non si è capito cosa si intende per pregare.

Il brano evangelico di oggi ci offre l’opportunità per riflettere su questo tema, per capire che cosa significa pregare e inizia proprio presentandoci Gesù in preghiera, sentiamo: Gesù si trovava in un luogo a pregare. Quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. L’evangelista Luca, per ben 7 volte presenta Gesù in preghiera e soltanto lui nota che ha insegnato il “Padre nostro” su richiesta dei discepoli dopo che lo avevano visto pregare. Cosa li ha spinti a fare a Gesù questa richiesta: “insegna anche a noi a pregare”. Devono aver notato un qualcosa di bello che avveniva in Gesù quando pregava. Durante la vita pubblica, Gesù ha fatto spesso l’esperienza della delusione, è rimasto sorpreso dall’incredulità dei suoi compaesani di Nazareth e anche dei suoi stessi familiari, poi a volte si indignava per l’ipocrisia di coloro che per poterlo condannare gli tendevano continue insidie e spesso poi era amareggiato per la durezza di cuore dei suoi stessi discepoli. Come viveva Gesù questi momenti? Certamente, come noi, ha provato la pulsione a reagire in modo indispettito, non ha mai acconsentito a questa pulsione, ha sempre mantenuto la serenità, la pace interiore. I discepoli, in questi momenti, vedevano Gesù ritirarsi a pregare e nel dialogo con il Padre, Gesù scopriva come comportarsi in modo nuovo con queste persone che gli erano ostili, con i discepoli che avevano la testa dura e che Lui amava e voleva condurre alla verità. Terminata la preghiera, i discepoli vedevano Gesù come avvolto di una splendida luce, quella stessa luce che brillava sul volto di Mosè quando scendeva dal monte dopo che aveva dialogato con il Signore. E poi, i discepoli vedevano in Gesù una persona bella, amabile, disponibile a tutti, uno che non temeva i conflitti ma sempre leale, devono aver fatto il collegamento con il fatto che Lui era un uomo di preghiera, uno che faceva tutte le sue scelte dopo aver dialogato con il Padre e hanno cominciato a desiderare di imparare a pregare come faceva Lui, per diventare belli come Lui.

Gli hanno anche detto: “Guarda che il Battista ha insegnato una preghiera ai suoi discepoli”. I rabbini erano soliti sintetizzare in una preghiera la loro spiritualità e i valori che volevano inculcare nei loro discepoli, anche il Battista aveva insegnato una preghiera, per questo gli apostoli hanno chiesto a Gesù di insegnare loro una preghiera che li facesse identificare come suoi discepoli. Prima di commentarlo, il Padre nostro, è necessario però premettere alcune osservazioni che ci aiutano a capirla meglio. Anzitutto teniamo presente che del Padre nostro abbiamo due versioni, una più lunga, quella che si trova nel Vangelo secondo Matteo e che è quella che noi recitiamo normalmente, e poi una più breve, quella che troviamo nel Vangelo di oggi che ci è stata tramandata da Luca; ce ne sarebbe una terza che è più antica di tutte e due queste che noi troviamo in Matteo e in Luca, si trova nella Didachè. Allora sorge spontanea la domanda: quale delle tre versioni è stata insegnata da Gesù? La risposta è: nessuna delle tre.

Veniamo alla seconda osservazione, il Padre nostro non è una formula di preghiera da aggiungere alle altre, non è una formula di preghiera come l’Ave Maria, l’angelo di Dio, il Requiem aeternam! Il Padre nostro è la sintesi in forma di preghiera di tutti i temi fondamentali del messaggio cristiano. Nel Padre nostro sono toccati tutti i temi della nostra fede e della nostra vita morale, Sant’Agostino diceva: “Se tu passi in rassegna tutte le Sacre Scritture, uno trovi nulla che non sia contenuto nel Padre nostro”. Che cos’è allora il Padre nostro, se non è una formula come tutte le altre? Nelle comunità primitive veniva recitato 3 volte, perché? Era come uno specchio di fronte al quale ogni discepolo è chiamato a fare un check-up per verificare la propria identità di credente in Gesù. Il Padre nostro ci dice come deve essere, come deve pensare, come deve vivere chi recita quella preghiera; è lo specchio in cui siamo chiamati a contemplare anche la bellezza del nostro volto, se corrisponde a quella preghiera, ma a notare anche i limiti, i difetti. È uno specchio in cui possiamo verificare se siamo in ordine, se tutto è a posto nella nostra vita di battezzati, cioè se corrispondiamo all’immagine del vero cristiano che ci è presentato in questa preghiera che siamo chiamati a recitare. Per tre volte al giorno, nella chiesa primitiva, i discepoli si mettevano di fronte a questo specchio.

Terza osservazione. I biblisti sono concordi nell’affermare che il Padre nostro non è stato pronunciato da Gesù, si tratta di una composizione fatta dalla comunità cristiana che ha voluto sintetizzare, in forma di preghiera, tutta la propria fede e questo è stato fatto molto presto, già nei primi anni di vita della Chiesa. È con commozione quindi, che noi ci accostiamo a questo testo perché ci mette di fronte allo specchio con il quale non solo noi, ma tutte le nostre sorelle e i nostri fratelli di fede hanno fatto il check-up davanti a Dio, della loro identità di cristiani e anche della loro fedeltà al Vangelo. Nella chiesa primitiva, il Padre nostroera consegnato ai catecumeni al termine della catechesi preparatoria al battesimo, era consegnato loro come compendio di tutto ciò che avevano appreso su Dio e sulla vita che dovevano condurre poi da battezzati. Proviamo allora adesso, a rispecchiarci anche noi oggi in questa preghiera, sentiamola: Gesù disse loro: “Quando pregate, dite: Padre”. Gesù ci indica l’interlocutore delle nostre preghiere e ci dice a chi ci dobbiamo rivolgere sicuri di essere ascoltati… al Padre. È importante verificare chi è il nostro interlocutore, perché se lo sbagliamo, rischiamo di rivolgerci a un Dio che non esiste. L’ateo, naturalmente non può pregare perché non ha un interlocutore e non può pregare neppure chi crede in un assoluto del quale fa parte, come accade nel panteismo o in certe forme religiose orientali. Anche il cristiano, quando prega è invitato a porsi la domanda: “È davvero il Padre, colui al quale mi rivolgo?” Per qualche cristiano, Dio è forse ancora il grande sovrano al quale ci si accosta con timore e tremore e davanti al quale ci si deve inginocchiare o prostrare. Ecco la ragione per cui tanti si sentono più a loro agio a pregare i santi, ma non si sta pregando il Padre. È bello pregare con i santi, con Maria, con Sant’Antonio, con le nostre sorelle e con i nostri fratelli che ci hanno preceduto nella casa del Padre, che sono risorti con Cristo, ma non abbiamo bisogno di intermediari che intercedono presso Dio per ottenere da Lui quei favori che noi non abbiamo coraggio di chiedergli direttamente.

Il Padre nostro, ci insegna che la preghiera del cristiano è rivolta al Padre e solo a Lui, con la fiducia di chi si sente figlio amato. Proviamo a porci di fronte allo specchio del Padre nostro e verifichiamo se davvero il Dio nel quale crediamo è colui che, nella preghiera, Gesù chiamava sempre “Abbà, Padre”. Quando parla di Dio, Gesù lo chiama sempre Padre, nei Vangeli troviamo ben 184 volte questo appellativo sulla sua bocca, anzi, è solo Lui che chiama Dio così; c’è solo un’eccezione, è Filippo che durante l’Ultima Cena si rivolge a Gesù e gli dice: “Mostraci il Padre e ci basta”. L’immagine di Dio Padre richiama l’ambiente affettuoso della vita familiare, non quello del sovrano seduto in trono, del faraone di fronte al quale si trema e si vive in soggezione. La parola “Padre” ci fa sentire Dio vicino, coinvolto nelle nostre gioie e nei nostri dolori, che ci accompagna in ogni momento della vita, quando le cose vanno bene e quando versiamo lacrime; non è il Dio che sarebbe infinitamente felice anche se noi andassimo l’inferno, come qualcuno pensa! Da quando ci ha creato, il Padre ha messo in gioco la sua gioia sulla nostra risposta al suo amore, il Dio al quale Gesù vuole che ci rivolgiamo è Padre… Padre buono e solo buono, non si adonta, non punisce, non la fa pagare a coloro che fanno la scelta infelice di non ascoltarlo. Poi, pregando Dio Padre, noi prendiamo coscienza di essere suoi figli, fatti a sua immagine e somiglianza … figli buoni e meno buoni, perché la somiglianza con il suo volto può essere anche molto deturpata, ma l’immagine di Dio Padre non potrà mai essere cancellata., rimarremo sempre sui figli. Infine, quando ci rivolgiamo a Dio chiamandolo Padre, noi richiamiamo a noi stessi che siamo e dobbiamo vivere da fratelli.

E ora sentiamo quali richieste, Gesù ci invita a fare al Padre: “sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno;” La prima richiesta: “sia santificato il tuo nome”. Il nome è importante che per noi, basta pensare a cosa proviamo quando ci troviamo in mezzo a una folla e sentiamo qualcuno che ci chiama per nome, ci sentiamo tirati fuori dall’anonimato, “sono io, proprio io che interesso qualcuno, non il cognome che ce l’hanno anche tanti miei familiari”. Per i semiti il nome era ancora più importante perché identificava la stessa persona. Allora, “sia santificato il tuo nome” significa che deve essere santificata la tua persona, deve essere mostrato che la tua persona o Dio, è santa. E cosa si intende per Santo? “Kadosh”, in ebraico, significa “separato, diverso”. Quando diciamo “Santuario “, “temenos” in greco, che significa “tagliare”, “temenosè lo spazio ritagliato, santo, in mezzo allo spazio profano. Quando nel tempio si adoperavano i vasi per le liturgie, erano vasi santi che non potevano essere impiegati per usi profani. Ricordiamo la profanazione che aveva fatto il re Baltassar a Babilonia quando era ubriaco, una sera in mezzo a tutte le sue spose e concubine, ha fatto portare i vasi santi che suo padre Nabuccodonosor, avevo portato via dal tempio di Gerusalemme.

Significa allora: “mostra che tu, il tuo nome, sei Santo, sei separato. Mostrati che sei diverso da tutti gli altri dei che gli uomini si sono inventati”? E qual è questa santità di Dio che lo rende unico? È la sua meravigliosa identità di Dio che è amore e solo amore, nessun altro Dio è come Lui. Il Padre nostro ci richiama questa diversità del Dio di Gesù di Nazareth e ci invita a cancellare, a ripudiare tutti gli dei, nei quali forse ancora, anche i cristiani o qualche cristiano crede. Mettiamoci davanti allo specchio del Padre nostro, se continuiamo a predicare il Dio legislatore, giustiziere che castiga, questo Dio non è diverso, è uguale agli altri idoli che noi ci siamo creati e sono idoli che ci piacciono perché ci assomigliano, perché pensano come noi, ma così, se noi predichiamo questo Dio, noi bestemmiamo il suo nome, deturpiamo la sua identità. Allora potremmo parafrasare così la prima richiesta che facciamo al Padre: “Fa che attraverso di noi, tuoi figli, tutti vedano splendere il tuo volto Santo di Dio amore e solo amore, perché come te anche noi che abbiamo ricevuto la tua sua stessa vita e il tuo stesso Spirito, mostriamo di essere capaci di amare in modo incondizionato, come fai tu, anche coloro che ci fanno del male”.

Seconda richiesta: “Venga il tuo regno”. A quale regno vogliamo appartenere? Perché c’è un regno vecchio, quello che è caratterizzato dalla competizione, dalla volontà di imporsi, di sopraffare, di dominare, di asservire chi è più debole… e in questo mondo vecchio della competizione non ci possono essere che guerre, soprusi, violenze, sfruttamento dei più deboli. Gesù è venuto per dare inizio a un mondo nuovo, al suo regno, che non è diverso, è l’opposto del regno antico, è il mondo, quello al quale ha dato inizio Gesù, in cui è grande non chi domina ma chi serve. Allora lo specchio del Padre nostro, ci pone di fronte alla scelta che noi abbiamo già fatto e che il Padre nostro ci richiama e ci ricorda che noi apparteniamo al regno degli agnelli che donano la vita, non al regno dei lupi che è il mondo vecchio. “Venga il tuo regno” vuol dire “dacci la luce, la forza di essere costruttori di questo mondo nuovo”.

E adesso vengono le richieste che riguardano la vita morale del cristiano, sentiamo la prima: “dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano”. Ricordiamo la prova alla quale Dio aveva sottoposto il suo popolo nel deserto, aveva donato la manna e aveva stabilito che ognuno potesse raccoglierne solo la quantità necessaria per un giorno. Voleva che il suo popolo imparasse a controllare la bramosia, la cupidigia, la pulsione che spinge ad accumulare, ad accaparrarsi più del necessario, voleva educare il suo popolo ad accontentarsi di ciò che è necessario per la vita di un giorno. Chiedendo il pane quotidiano, noi richiamiamo a noi stessi a questa verità, i beni di questo mondo non sono nostri, sono un dono di Dio, appartengono a Lui; “del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti” dice il primo versetto del Salmo 24, noi non siamo padroni, siamo ospiti, commensali a un banchetto al quale siamo stati invitati. Il Padre nostro ci fa rimettere in causa i nostri criteri sull’uso dei beni di questo mondo, allora non può chiedere a Dio il pane quotidiano chi accumula per sé, per soddisfare i propri capricci, chi collabora alla costruzione di un’umanità che è spaccata in due, in cui c’è chi muore per indigenza e chi spreca, chi può permettersi di sperperare. Chiediamo a Dio che ci doni “il nostro pane”… è un suo dono quindi, che ci viene consegnato, ma è anche nostro perché è frutto del nostro lavoro; nel campo non cresce il pane, cresce il grano, perché divenga pane occorre il lavoro dell’uomo. La preghiera del Padre nostro, richiama la responsabilità nella produzione di ciò che è necessario per la vita; chi non lavora, chi vive nell’ozio non può recitare il Padre nostro, mentirebbe perché non può dire “quel pane che tu ci doni è anche nostro”.

Sentiamo adesso le ultime due richieste che facciamo al Padre: “e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non introdurci nella prova”. In che consiste il perdono di Dio? Come ci perdona Dio? C’è un’immagine ancora molto diffusa del suo perdono, è quella che è riflessa nella preghiera che qualcuno ancora recita quando va a confessarsi: “peccando ho meritato i vostri castighi”. È l’immagine del grande sovrano che è rimasto offeso da chi ha osato sfidarlo trasgredendo i suoi ordini e quando gli si chiede scusa, Lui che è buono perdona, dimentica tutto; però se non gli si chiede scusa, allora è costretto a castigare. Questa è un’immagine blasfema del perdono di Dio e chi racconta queste cose profana Il suo nome, non lo santifica. Questo è il Dio che assomiglia molto a noi, è il nostro idolo, gli vogliamo bene perché ragiona come noi. Se così fosse il perdono di Dio, anche noi che siamo suoi figli, saremmo chiamati a perdonare soltanto coloro che riconoscono il loro errore e ci chiedono scusa, invece noi dobbiamo perdonare tutti come fa il Padre del cielo, anche coloro che non gli chiedono scusa. Il peccato ferisce l’uomo, non Dio! Dice Elihu a Giobbe, suo amico: “Se pecchi, che male fai? Se moltiplichi i tuoi delitti che danno arrechi a Dio?” Tu non fai del male Dio, il peccato impoverisce chi lo fa, la violenza, l’adulterio, il furto, la menzogna… distruggono le persone, le abbrutiscono.

Ecco la ragione per cui Dio, che ama l’uomo, gli indica il cammino della vita e segnala ciò che lo disumanizza e quando l’uomo pecca, Dio non può aggiungere altro male a quello che l’uomo si è già fatto. Il perdono di Dio precede il pentimento del peccatore. Il peccatore si pente dopo che Dio lo ha perdonato, cioè dopo che Dio è riuscito a fargli capire che era sulla strada sbagliata. Come attua Dio questo perdono? Anzitutto con la sua Parola, quella Parola che è la luce che continua a indicare la retta via e poi attraverso i suoi angeli, che sono i suoi figli che sentono come proprio il dolore del fratello che è andato fuoristrada, che non è felice e si interessano di lui, studiano tutti i modi possibili per fargli comprendere che sta facendosi del male e che sta facendo del male anche agli altri.

Perdonare è darsi da fare e non darsi pace fino a quando non si è riusciti a ricuperare il fratello. Il peccatore non è perdonato perché si pente, ma si pente dopo che Dio è riuscito perdonargli, allora non c’è bisogno di chiedere scusa a Dio, mai Gesù nel Vangelo dice che dobbiamo chiedere scusa a Dio, dobbiamo chiedere scusa al fratello al quale abbiamo fatto del male; quando Dio è riuscito a perdonarci, noi ci pentiamo, ci rendiamo conto di essere andati fuoristrada e siamo invitati a far festa, perché in cielo si fa festa, non c’è da far penitenze. La lettera di Giacomo, proprio l’ultima frase al capitolo 5 dice: “Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore lo salverà dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati”. La preghiera del Padre nostro ci mantiene in questo clima di attenzione al fratello.

L’ultima domanda che facciamo nel Padre nostro: non ci indurre nella prova”. Questa è la traduzione che presento. Lo sappiamo che le traduzioni di questa richiesta che facciamo al Signore ha presentato delle difficoltà; prima dicevamo “non indurci in tentazione”… era sbagliata questa traduzione perché Dio non ci induce nelle tentazioni! Quella attuale: “non abbandonarci alla tentazione”, diciamolo chiaro, non è bella, semmai sarebbe più corretto dire “nella tentazione non ci abbandonare”; non è che chiediamo a Dio di non abbandonarci alla tentazione come se Lui ci volesse abbandonare e noi gli chiediamo di non farlo, non è molto indovinata… comunque, anche queste traduzioni non rispecchiano il testo originale greco. Nel testo greco noi troviamo un verbo “eisfereni” che in greco ha un unico significato “non portarci dentro”, quindi non è “non abbandonarci, è “non portarmi dentro”.

Il secondo termine “tentazione” “peirasmon”, non portarmi dentro nella tentazione; peirasmon può significare tentazione, ma può anche significare “prova. È questa la traduzione corretta! Chiediamo al Signore di “non portarci dentro nella prova”. Dio guida la nostra vita e in questa vita noi dobbiamo attraversare tante situazioni, dobbiamo affrontare molte prove dalle quali possiamo uscire maturati oppure sconfitti. Ci sono certe prove che ci spaventano, le prove non sono soltanto le malattie, le disgrazie, ma anche il successo, i colpi di fortuna; conosciamo tutti persone che hanno perso la testa, o famiglie che si sono sfasciate quando è arrivata improvvisa la ricchezza… non è stata vissuta bene quella prova. Fra le tante inevitabili prove che noi incontriamo sulla strada della vita, ce ne sono alcune che ci spaventano perché ci sentiamo deboli, fragili, quando pensiamo, per esempio a quelle che ci spaventano di più, sono il dolore, quando diamo in un ospedale e vediamo certe sofferenze, noi diciamo al Signore: “non farmi passare attraverso questa prova perché sono debole, potrei forse anche perdere la fede e arrivare a bestemmiarti”. Mi fanno paura queste prove e chiedo al Signore di esserne risparmiato. Anche Gesù ha fatto questa richiesta e nel Padre nostro è stata posta la sua domanda al Padre: “se possibile, che io non debba bere questo calice”. Non portarmi dentro questa prova… non è Dio che ci manda le prove! Sono quelle che si incontrano nella vita e noi chiediamo al Signore di essere risparmiati da quelle che ci spaventano.

Quando noi preghiamo, se poi ci verremo a trovare in queste prove, sappiamo che proprio attraverso la preghiera noi sintonizzeremo i nostri pensieri su quelli di Dio e Lui ci darà la forza per uscire maturati da queste prove. Questa invocazione ci mantiene costantemente attenti a vivere alla luce del Vangelo tutto ciò che accade nella nostra vita, mantiene viva in noi la coscienza di avere sempre un Padre che sta al nostro fianco, soprattutto nei momenti difficili, quando siamo spaventati.

Ora Gesù conclude il suo insegnamento sulla preghiera con una parabola che è riferita soltanto dall’evangelista Luca. Ascoltiamola: Poi disse loro: “Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte …”.

Più volte, nei Vangeli, Gesù ci invita a pregare e ci assicura che il Padre del cielo ascolta ed esaudisce le nostre preghiere: “Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome, Lui ve la concederà”. E nella parabola di oggi: “chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” e poi insiste: “Chiunque chiede riceve, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto e se non siete ancora esauditi insistete fino a stancare il Padre del cielo”.

Quand’è che una preghiera è esaudita? Noi pensiamo che la preghiera è esaudita quando riusciamo a far fare a Dio ciò che noi vogliamo! La preghiera è esaudita non quando cambia Dio, ma quando Dio donandoci la sua luce, perché nella preghiera ci disponiamo a riceverla, noi cominciamo a pensare come Lui, a vedere il mondo, le cose, la vita come la vede Lui e per arrivare a sintonizzare i nostri pensieri con i suoi ci vuole tempo. Ecco la ragione per cui Gesù dice che è molto lunga la preghiera, se vuole essere esaudita, ci vuole tempo per metterci in sintonia con i pensieri del Padre del cielo. Pensiamo a quanto sia difficile dare un senso certe situazioni dolorose, malattie, ingiustizie, tradimenti abbandoni, solitudine… come vivere alla luce di Dio queste prove? È necessario rimanere a lungo in dialogo intimo con Lui per assimilare i suoi pensieri.

E qual è il dono che Lui ci vuole fare? Il dono che possiamo ricevere soltanto se disponiamo il nostro cuore nella preghiera… è la sua vita, il suo Spirito. Quando noi preghiamo, allora lo Spirito che abbiamo ricevuto da Lui può attuare e può manifestare nella nostra vita, la presenza e la vita di Gesù di Nazareth, perché è lo stesso Spirito che ha animato Lui e quando in noi attua il suo Spirito, vuol dire che la preghiera che abbiamo fatto è stata esaudita.

 
 
 

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