32ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
- don Luigi

- 7 nov
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Dal Vangelo secondo Luca (20,27-38)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui»
E non è saggio rimuovere questo pensiero: “Dove andiamo a finire quando si conclude questa nostra vita?” perché sarebbe rinunciare a ciò che ci caratterizza come uomini, soltanto noi sappiamo che la nostra vita biologica ha un inizio e ha una fine. Devo chiedermi: “da dove vengo e dove vado? Torno nel nulla dal quale mi ha tratto un gesto d’amore dei miei genitori? Però è triste pensare che questo universo continuerà dopo di me, come se io non fossi passato di qui, senza lasciare traccia, come se non fossi mai esistito. Allora mi chiedo anche: “Ha senso mettere al mondo dei figli per consegnarli a questo destino, per consegnarli a quel mostro che è la morte?” Altri ritengono inutile cercare disegni di un Creatore, bisogna vivere e basta… come? Beh, assecondando la pulsione che ti suggerisce di goderti quei pochi giorni che tu passi su questa terra, del resto sui pavimenti mosaicati dei triclini romani, noi troviamo il richiamo alla morte “Memento mori” ricordati che devi morire, goditi la vita perché i giorni che passi qui sono pochi, quindi divertiti. Altri, pur non coltivando una prospettiva della vita illuminata dalla fede, ritengono saggio vivere per valori nobili, elevati, per costruire amore. Si può anche pensare che noi siamo parte di un universo che si muove secondo le sue leggi, crea nuove vite e poi le distrugge… un universo quindi senza cuore, che a volte fa del bene ma non lo fa per amore, perché non ha cuore, altre volte fa del male ma non per odio, perché non ha cuore, semplicemente segue le sue leggi. Ma se esiste un Dio, questo non senso dell’universo è inaccettabile perché saremmo di fronte a un Dio crudele che crea l’uomo innamorato della vita, capace di entrare in dialogo con Lui, di manifestargli amore e poi alla fine, Lui lo distrugge.
Che risposte davano in Israele a questi interrogativi? Poi noi ascolteremo la risposta di Gesù. Fino al III sec. a.C., gli israeliti non avevano concezioni diverse dagli altri popoli dell’antico Medioriente e del mondo greco-romano, facevano eccezione gli egiziani. Quando si moriva, tutti ritenevano che si andava a finire nel regno dei morti, che era chiamato in modi diversi: gli israeliti lo chiamavano “Shoeol”, i greci “Ade” dal nome del Dio che regnava sul mondo dei morti “Hádēs”, che viveva insieme con la sposa “Persephónē” e i latini lo chiamavano “Inferus“, gli inferi, sotto terra. Questo mondo dei morti era caratterizzato dalle tenebre, i morti vivevano nella polvere, si muovevano come larve, come ombre, in ebraico “Rūffain” erano chiamati, ombre, zombie… e vivevano lì nel silenzio. Ricordiamo nell’Odissea, Ulisse che scende nell’Ade e lì incontra Achille, si complimenta con lui. Questa era la concezione di tutti i popoli dell’antico Medioriente e del mondo greco-romano, Israele compreso. Nel regno dei morti andavano a finire tutti… re, mendicanti, signori, schiavi, vecchi, giovani, buoni e cattivi, non c’era nessun giudizio, nessun premio per i buoni e nessun castigo per i malvagi. La morte del malvagio era vista con compiacimento perché tutti erano contenti, torna in mezzo a tutte le altre ombre.
L’israelita non considerava questo passaggio dal mondo dei vivi allo Sheol, come qualcosa di terrificante, non avevano paura della morte, la morte brutta era quella violenta, ma chi moriva carico di anni, scendeva sereno nello Sheol, dove era certo, avrebbe ritrovato tutti i suoi antenati. È bello come la Genesi descrive la morte di Abramo: “Abramo spirò in felice canizie, vecchio, sazio di giorni e si riunì ai suoi antenati”. C’era un’unica differenza significativa fra la concezione degli israeliti e quella del mondo pagando: nell’Ade dei greci c’era un dio, “Hade”; nella concezione degli egiziani Hammon Ra”, quando il sole dio Sole arrivava all’Occidente, poi continuava il suo corso e illuminava il mondo dei morti; il Dio di Israele non aveva nulla a che vedere col mondo dei morti, il Signore Dio di Israele, era il Dio dei vivi. Bene, al tempo di Gesù la concezione era cambiata, gli israeliti avevano cominciato a pensare in un modo diverso dai pagani, da un secolo e mezzo avevano cominciato a parlare, non di immortalità dell’anima come facevano i filosofi greci, ma di risurrezione, cioè di un ritorno alla vita di questo mondo, alla vita com’era prima, però modificata, poi diremo come se l’aspettavano questa nuova vita. Com’era nata questa attesa di una risurrezione? Era il tempo della rivolta dei Maccabei, durante la quale molti avevano pagato con la vita la loro fedeltà alla religione e ci si chiedeva: “Ma queste persone che sono state fedeli alla legge, quando arriverà il mondo nuovo, non parteciperanno a questa gioia?” Si è cominciato a parlare di una risurrezione riservata soltanto ai giusti che avrebbero partecipato alle gioie del mondo nuovo. Era questa la risurrezione cui credevano i farisei e che noi troviamo nella risposta che Marta dà a Gesù quando Gesù le dice: “Tuo fratello risorgerà!” Lei dice: “Non fa meraviglia questo, era un giusto, risorgerà nell’ultimo giorno, alla risurrezione dei giusti”. In questa risurrezione però, ci credevano in pochi, ci credevano i farisei che, secondo Giuseppe Flavio, erano 6.000 in Israele, il popolo ci pensava tanto a questa risurrezione.
Sentiamo come la pensavano gli appartenenti a un’altra setta giudaica, quella dei Sadducei. Sentiamo: In quel tempo si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: … Gesù è giunto a Gerusalemme e trascorre gli ultimi giorni della sua vita insegnando nel tempio. È lì che si accostano a Lui gli scribi, gli anziani, i sommi sacerdoti, gli pongono domande, tendono tranelli per poterlo accusare e condannare. Nella spianata del tempio, si accostano a Lui i sadducei. È l’unica volta nel Vangelo secondo Luca, che compaiono questi personaggi. Chi erano? Erano i ricchi della città di Gerusalemme, coloro che non si facevano scrupolo di collaborare con il governo romano pur di guadagnare soldi e tutta l’aristocrazia sacerdotale, i sommi sacerdoti, coloro che gestivano i commerci, i traffici attorno al tempio, tutti loro appartenevano alla setta dei sadducei. Non godevano una buona reputazione presso il popolo che, invece, stimava i farisei per la loro scrupolosa osservanza della Torah e poi erano anche persone più semplici. Questi sadducei non credevano nella risurrezione e a noi può sembrare strano che nemmeno i sommi sacerdoti che erano sempre in contatto con Dio, non credessero in un’altra vita.
Ci chiediamo: “Ma a che cosa servivano le loro preghiere, i canti che elevavano al Signore, gli olocausti, i sacrifici che offrivano a Dio?” Non servivano, come forse pensiamo, per avere meriti ad andare in paradiso, oppure per essere annoverati fra i giusti che sarebbero risorti nel mondo futuro! Tutta la pratica religiosa del tempio, che era gestita dai sacerdoti e dal Sommo sacerdote Anna, Caifa, era orientata a ottenere benedizioni del Signore sulla vita di questo mondo, non interessavano altre vite. E questi sacerdoti, questi sadducei, si presentavano come i mediatori delle benedizioni di Dio. Non si ottenevano direttamente dal Signore i suoi favori se si andava a chiedere la benedizione sui campi, sugli animali, il benessere, la buona salute. Si doveva passare attraverso questi intermediari, erano loro che imploravano dal Signore, con i loro sacrifici, i favori del cielo. Era un commercio con Dio e Gesù sarà tolto di mezzo proprio perché condannava questo modo commerciale di rapportarsi con il Signore.
Questa immagine di Dio è l’opposto del Dio predicato da Gesù. Il Dio di Gesù di Nazareth offre il suo amore, le sue benedizioni, i suoi favori… senza condizioni, non c’è commercio, Lui fa del bene a tutti, cattivi e buoni, non c’è da meritarsi nulla da Lui, il suo amore è gratuito. Quindi, questa setta dei sadducei, nella quale c’erano tutti quelli dell’aristocrazia sacerdotale, non poteva sopportare la proposta di Dio e di rapporto con Dio, presentata da Gesù. Come sono andati a finire questi sadducei? Dopo la catastrofe nazionale del 70 d.C., quando è stato distrutto il tempio e la città di Gerusalemme, i sadducei sono scomparsi, di loro non è rimasta alcuna traccia, sono stati annientati dai risorti. Come mai non credevano nella risurrezione? La prima ragione: erano ricchi, stavano bene e con il denaro di cui disponevano non pensavano affatto in un’altra vita, se loro invocavano il Signore era per stare ancora meglio qui in questo mondo, il resto a loro non interessava. E poi erano dei razionalisti. Loro credevano soltanto in ciò che si verifica, ciò che è tangibile, ciò che si vede, ciò che si tocca. L’aldilà “di questo noi non sappiamo niente, non ci interessa”. E per ridicolizzare la fede nella risurrezione predicata dai farisei, avevano gioco facile…per quale ragione? Perché il modo come i farisei concepiva la risurrezione era ridicolo, era molto rozzo, perché la intendevano come un ritorno alla vita di questo mondo, naturalmente senza la fame, le malattie, le sofferenze, le miserie, le disgrazie e poi, aumentate a dismisura, tutte le gioie e tutte le soddisfazioni. E poi, teniamo presente che i sadducei non prendevano tutta la Bibbia, ma loro si soffermavano soltanto sulla Torah; non avevano simpatie per i Profeti perché sapevano molto bene che i Profeti avevano condannato in modo molto duro la ritualità religiosa, cui non corrispondeva poi l’adesione a Dio autentica, con il cuore. Loro partiranno proprio dalla Torah, da un testo del Deuteronomio, per sollevare l’obiezione contro la risurrezione e Gesù, in modo molto intelligente, risponderà loro con un altro testo della Torah.
Loro hanno capito che Gesù sta dalla parte dei farisei, anche se in realtà Gesù concepisce la risurrezione in un modo completamente diverso dai farisei, e gli presentano un caso, gli si rivolgono con un titolo gentile e fanno un ragionamento preciso e dicono: “La fede nella risurrezione non è compatibile con la legge di Mosè”. Perché nel Libro del Deuteronomio, 25, c’è la cosiddetta “legge del levirato”. Dice che se un uomo sposato muore senza avere figli, la vedova non si deve maritare fuori dalla famiglia perché ci sarebbero poi problemi di eredità, non può sposare un forestiero, deve sposare un fratello del marito morto, in modo da dare discendenza a colui che è morto senza figli. E allora, riprendendo chiaramente quel racconto di “Sara e di Tobia”, loro dicono: “C’era una donna che ne ha avuto sette di mariti, ora… Lei ha avuto sette mariti, chi sarà il suo marito nel momento della risurrezione?” Credo che sono scoppiati in una risata. Se la risurrezione è quella intesa dai farisei, l’obiezione dei sadducei sta in piedi, è più che ragionevole. La risposta che Gesù dà ai sadducei, si articola in due parti. Sentiamo la prima: Gesù rispose loro: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli … Nella prima parte della sua risposta, Gesù introduce una distinzione che va tenuta sempre ben presente, fra due realtà, due mondi: il mondo presente e il mondo futuro. In questo mondo, nel tempo presente, c’è la forma di vita che tutti noi ben conosciamo, quella che scorre sotto i nostri occhi; qui ci si sposa, qui si fanno figli, si nasce, qui si muore. Il mondo futuro non è la continuazione migliorata di questa vita, non è un risveglio dal sepolcro per riprendere la vita di prima perché, in tal caso avrebbero ragione i sadducei a negare la risurrezione, non avrebbe senso per Dio, distruggere una vita e poi darcela come prima, anche se migliorata.
Detto quindi che il mondo futuro è una realtà completamente diversa da questa, dice Gesù: “Citare la disposizione del Deuteronomio non ha senso, perché il matrimonio…”. Che intende dire Gesù? Gli angeli da chi ricevono la vita? Non dai genitori… direttamente da Dio. L’uomo invece, riceve la vita in questo mondo, la vita biologica viene dalla terra, come ogni forma di vita che noi vediamo venire dalla terra. Se l’uomo avesse soltanto questa vita, il suo destino sarebbe come quello di tutte le altre vite che vengono dalla terra, ma Gesù dice all’uomo: “Dio ha donato la sua stessa vita”. Quella vita biologica si conclude, la vita che Dio ha donato all’uomo è eterna, quindi indistruttibile. Sono figli della risurrezione, cioè sono generati da Dio. Si pongono due domande, la prima: “Conosciamo bene la vita nel mondo presente, come sarà la vita del mondo futuro?” Credo che il pericolo sia proprio questo – quello dei sadducei e dei farisei – immaginare che la vita del mondo futuro sia un prolungamento di questa, allora immaginiamo la vita del mondo futuro proiettando quella vita che noi vediamo qui! Il mondo futuro è completamente diverso. E allora, a noi interesserebbe sapere come sarà. La risposta che ci dà Paolo al capitolo II della “lettera ai Corinzi”, è questa: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d’uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano”. Non lo sapremo mai ciò che ci aspetta, è un mistero che non ci è stato rivelato, non perché il Signore voglia aumentare la suspense, la sorpresa, ma semplicemente perché la nostra mente non è in grado di capirlo. Come può, il feto che si trova nel grembo della mamma, immaginare la vita che lo attende quando nascerà? Eccola la distinzione fra due mondi! Il mondo nel grembo materno, che è quello nel quale noi ci troviamo oggi, perché siamo in gestazione nell’attesa della nascita al mondo che viene, il mondo di Dio. Il figlio, nel grembo materno, non può immaginare la vita fuori da quel grembo. Dietro certe affermazioni, certe preghiere anche di molti cristiani di oggi, si cela ancora purtroppo, un’immagine della risurrezione dei morti simile a quella dei farisei, cioè una vita che è un prolungamento di questa, migliorata! È completamente diversa.
La seconda domanda che ci poniamo tutti noi: “Perché Dio non ci ha fatto subito come gli angeli, cioè non ci ha fatto nascere subito nel mondo futuro?” Dobbiamo passare attraverso tutte le traversie di questa realtà che noi viviamo qui. Che bello sarebbe essere nati angeli! La ragione è perché Dio non può farlo perché non saremmo noi, noi non siamo angeli. Gli uomini, per la loro identità umana, devono fare questo cammino, venire dalla terra, ricevere da Dio la vita divina e entrare nel mondo definitivo. L’uomo viene dalla terra, ma ha due vite, oltre a quella biologica ha quella immortale. Il corpo mortale va incontro alla dissoluzione. Lo lasciamo qui questo corpo, non viene introdotto nel mondo definitivo, è la persona con tutta la sua storia d’amore che viene rivestita di un altro corpo incorruttibile, glorioso, spirituale, come dice Paolo sempre nella lettera ai Corinzi. La seconda parte della risposta di Gesù: Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”. A conferma di quanto ha affermato, Gesù fa una citazione biblica e la sceglie molto bene, la prende dalla Torah nella quale credono anche i sadducei, la prende dal capitolo terzo del Libro dell’Esodo dove c’è il conosciutissimo racconto del “roveto ardente” che brucia e non si consuma e dal quale esce la voce di Dio che si auto-presenta così: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”.
Un modo strano di auto-presentarsi di Dio… perché? Perché gli dèi dell’antichità, gli dèi pagani, erano tutti dèi di un certo luogo: Merqart era il Dio di Rabbath Ammon, l’attuale Amman… comandava lì, non da altre parti; il Dio Benadathera il Dio di Damasco; il Dio Ammon degli egiziani; il Dio di Tebe… il Dio di Israele non si presenta come il Dio di un luogo, non dice “Io sono il Dio di Gerusalemme”! “Io sono il Dio che ha instaurato un rapporto d’amore con delle persone: con Abramo, con Isacco, con Giacobbe”. Gesù trae dal Pentateuco il fondamento della fede nella risurrezione, perché si appoggia su quello che è il centro della rivelazione di Dio nell’Antico Testamento, cioè il Dio che ha instaurato un rapporto di amicizia con le persone, con i patriarchi. Dio avrebbe potuto fare a meno di Abramo, ma se ha voluto Abramo, se ha instaurato con lui un rapporto d’amore, se è fedele al suo amore, non lo può abbandonare in potere della morte, non può auto-presentarsi come il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe che sono morti, sarebbe un Dio che si auto-presenta come infedele all’amore che ha instaurato con queste persone. Questo significa che la morte non può distruggere quei legami che Dio stesso ha stabilito e allora, la risposta all’interrogativo sul destino dell’uomo, non va cercata nel nostro istintivo rifiuto della morte, oppure nei ragionamenti sull’immortalità dell’anima pure ammirevoli, ma su quel rapporto d’amore che è stato intuito dai Salmisti… se esiste un Dio, l’uomo non può che essere immortale, perché Dio è fedele al suo amore e questo i Salmisti l’hanno capito.
Nel Salmo 16, l’orante si rivolge al suo Dio. Ecco la conclusione: “Tu non puoi abbandonare la mia vita nello Sheol, non puoi lasciare che il tuo fedele veda la fossa…”. Il testo ebraico, dice: “Non puoi lasciare che il tuo “hasideha” – che il tuo amante, il tuo innamorato – rimanga nella fossa”. “… Io so che tu sei fedele all’amore e allora mi indicherai il sentiero della vita, mi indicherai come uscire dallo Sheol e allora sarà gioia piena alla Tua presenza, dolcezza senza fine nel Tuo abbraccio”. Questo significa aver capito l’auto-presentazione di Dio come il Dio che risuscita, non i morti, ma dà una vita immortale ai viventi. Se esiste un Dio che ama l’uomo… l’uomo è immortale, Dio non può darla vinta alla morte, e difatti Gesù dice: “Dio è il Dio dei viventi perché, per la vita che Dio dona loro, non muoiono più”. Il Dio di Gesù allora, non è il Dio che risuscita i morti, che li riporta alla vita di prima, è il Dio che risuscita i vivi, cioè che dona ai vivi la sua stessa vita, e questa vita non può essere toccata dalla morte biologica.
Questo dono della sua vita è ciò che noi oggi chiamiamo risurrezione.



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