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COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

  • Immagine del redattore: don Luigi
    don Luigi
  • 2 nov
  • Tempo di lettura: 13 min

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

 

Quando nasce un uomo, diceva Sant'Agostino, tutti si fanno attorno al neonato e cominciano a fare previsioni. Forse sarà bello, forse sarà brutto, forse diventerà ricco, forse sarà povero, forse vivrà a lungo, forse no, ma nessuno dice mai forse morirà, perché questa è l'unica cosa assolutamente certa.

L'uomo è mortale, neppure Dio lo può rendere immortale, perché lo distruggerebbe, non sarebbe più uomo. Anche se oggi si cerca sempre più di rimuovere questo pensiero, per cui anche se uno muore dopo i cent'anni ci si chiede sempre di che cosa è morto, è morto di mortalità. Oggi lo stesso termine morte è diventato un tabù. Eppure se vogliamo una vita realmente umana dobbiamo guardare in faccia alla morte, perché solo così impariamo a dare il giusto valore alla vita e a dare un senso a quegli anni che non sono poi tanti che trascorriamo in questo mondo. Il 2 novembre, lo verifichiamo ogni anno, è una ricorrenza molto sentita da credenti e da non credenti, e non stupisce perché il culto dei morti è una delle testimonianze più antiche della cultura e della religiosità umana. Fin dagli albori dell'umanità gli uomini si sono interrogati sul perché l'uomo muore e che senso ha la nostra vita. E allora ci chiediamo come possiamo vivere da credenti questo giorno in cui commemoriamo tutti i defunti.

Le nostre sorelle, i nostri fratelli di fede del primo secolo, sappiamo, non avevano dei cimiteri riservati a loro, erano soliti seppellire i loro defunti insieme a tutti gli altri nelle necropoli, ricordiamo Pietro che è stato martirizzato forse proprio nel circo di Nerone, che si trovava ai piedi del colle Vaticano, e poi è stato sepolto nella necropoli dove c'erano tutti cristiani e pagani nell'area adiacente al circo di Nerone. È solo all'inizio del secondo secolo che i cristiani hanno cominciato a seppellire i loro defunti in aree riservate a loro, distinte dalle necropoli pagani. E questa scelta ha un significato molto bello, è l'espressione della loro coscienza di appartenere a una comunità, a una famiglia in vita, avevano coltivato legami stretti di amore con i fratelli di fede e hanno sentito il bisogno di continuare a stare uniti anche dopo la morte e hanno voluto riposare insieme nell'attesa della risurrezione.

Difatti loro hanno chiamato cimiteri, queste aree di sepolture cristiane, e questo termine deriva dal greco coimeterion che vuol dire proprio dormitorio, e il verbo coimao che vuol dire dormire, riposare. Per i cristiani i loro cimiteri erano i luoghi del riposo nell'attesa della risurrezione. Dormire è un'immagine molto povera, tuttavia l'ha impiegata anche Gesù, ricordiamo quando ha detto ai discepoli: Lazzaro non è morto ma dorme. Per Gesù infatti la morte è un sonno e dal sonno ci si risveglia. Anche Paolo riprende la stessa immagine quando scrive ai Tessalonicesi che erano preoccupati della sorte dei loro defunti e dice loro: “Fratelli, non vogliamo lasciarvi nell'ignoranza riguardo a coloro che si sono addormentati”, la traduzione della Bibbia dice coloro che sono morti, ma Paolo non ha detto morti, coloro che si sono addormentati, “perché non vogliamo che siate tristi come coloro che non hanno speranza”.

Ha un messaggio per noi, questa scelta dei primi cristiani di voler riposare insieme. Ci ricorda che non stiamo camminando da soli verso un ignoto destino, ma che siamo una famiglia, una comunità di fratelli coscienti del destino di gioia che ci attende. Richiamiamo questa verità, quando in questo 2 novembre noi visiteremo le tombe dei nostri cari. Siamo una famiglia. Si avverte un certo disagio quando qualche cristiano intende custodire nella propria casa l'urna con le ceneri del parente defunto. Si è forse dimenticato che noi apparteniamo a una famiglia più grande della famiglia naturale, una famiglia di coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica?

La ricorrenza liturgica di oggi è chiamata commemorazione di tutti i fedeli defunti e quel fedeli è un chiaro riferimento ai fratelli di fede, ai quali ci unisce il battesimo. Non sorprende quindi che il nostro primo pensiero oggi sia rivolto anzitutto a loro. Come li vogliamo ricordare? Il purgatorio che cancella ogni nostra impurità non è altro che l'abbraccio del Padre del Cielo che accoglie ogni suo figlio, quelli buoni e quelli meno buoni, e l'unico fuoco che lui conosce è quello del suo amore. Quali preghiere allora dobbiamo rivolgere a Dio per i nostri fratelli defunti? Anzitutto una preghiera di ringraziamento a Lui per averceli donati, per averli posti al nostro fianco. Non erano perfetti, ma la loro presenza nella nostra vita è stata significativa e ha lasciato segni di amore. Quindi dopo aver ringraziato Dio ringraziamo anche loro. Può anche darsi però che proprio oggi visitando il cimitero ci torni in mente qualche conto in sospeso che abbiamo forse con qualcuno di loro, forse un torto, che abbiamo arrecato loro e che non abbiamo riparato. Ecco, la commemorazione dei defunti ci offre l'opportunità di chiedere perdono, magari proprio quando ci troviamo davanti alla loro tomba e siamo certi che questo perdono loro ce lo concedono. Ma può anche accadere che siamo noi ad essere in credito, ad essere chiamati a perdonare qualche torto, forse anche grave, che ci è stato fatto. Il vero cristiano lì nel cimitero deve dire a queste sorelle e a questi fratelli che nel suo cuore non è rimasto alcun rancore, gli dice che li ama, che li vuole felici nella casa del padre e siamo certi che il nostro amore dona loro una grande gioia, ci ascoltano perché sono viventi non morti.

Il primo pensiero quindi noi lo rivolgiamo alle sorelle e ai fratelli di fede, ma oggi vogliamo ricordare con lo stesso affetto tutti i defunti, anche coloro che in vita non hanno sperimentato la gioia di conoscere Cristo e il suo Vangelo.

Ci sono due steli funerarie greche del IV secolo avanti Cristo, quindi molto prima della Pasqua. Sono chiamate le steli del cognato, ce ne sono tantissime nel museo di Atene. Sono espressioni commoventi del saluto che il defunto rivolge alle persone care prima di lasciarle per sempre. E’ straziante, quella stele di una mamma che si stacca dal proprio figlio e quel figlio stende la mano quasi a voler trattenere la mamma. Ecco, è così che lasciavano questo mondo coloro che non avevano ricevuto la luce della Pasqua. Il loro era un pianto senza speranza ed è il messaggio che noi troviamo in tutte le epigrafi delle tombe pagane, là dove il defunto rivela ciò che pensa della vita che ha trascorso. Quante volte in vita il viandante ha desiderato fermarsi a riflettere e lui ha scritto: “io ero mortale, quanto prima dal nulla dal quale siamo venuti ricadiamo nel nulla, dal nulla a nulla ciò che ero sono tornato ad essere”. Ecco, e il celeberrimo. mito di Mida che cerca Sileno, il precettore di Dioniso, perché vuole fargli una domanda e, quando lo incontra, gli chiede qual è la cosa più desiderabile per l'uomo. Il saggio Sileno gli risponde: “stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringe a dirti ciò che sarebbe meglio per te non udire. La cosa più desiderabile non la puoi raggiungere, è quella di non essere mai nato, ma la seconda cosa più desiderabile è quella di morire presto”.

Ecco la logica di chi non ha scoperto qual è il destino della sua vita. Alla luce della parola di Gesù oggi vogliamo ravvivare la nostra fede nella sua vittoria sulla morte. Questo è il messaggio che noi annunciamo a tutti affinché siano partecipi della luce e della gioia che il credente in Cristo sperimenta in questa vita. Noi non parliamo di morti, impieghiamo un termine più appropriato, defunti, che deriva dal verbo latino defungi che significa giungere a compimento, arrivare a maturazione, è la gestazione che a questo punto, quando ha raggiunto il suo culmine, arriva alla nascita della nuova vita, non più nel grembo materno ma qui in questo mondo, la nostra vita. Allora per un credente non è come la candela che si va consumando fino a estinguersi, ma è come un albero che cresce, fiorisce, porta frutti e poi alla fine muore al culmine della sua vita. Quindi l'oggi che è trascorso non è un giorno in meno, è un giorno in più nella nostra vita.

Sentiamo adesso cosa ci dice Gesù sul disegno d'amore che il Padre del Cielo ha su di noi. “In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato».

Il brano di oggi è parte del discorso che Gesù ha pronunciato nella sinagoga di Cafarnao dopo aver dato il segno della condivisione del pane e dei pesci. Non era stato capito. I giudei infatti erano andati subito a cercarlo perché volevano farlo re. Ritenevano che fosse un facitore di miracoli, uno che avrebbe fornito loro il pane materiale. Gesù ha sentito subito il bisogno di chiarire l'equivoco e ha detto loro: voi mi cercate perché ritenete che io sia venuto per darvi il pane materiale, quello che alimenta la vita biologica? Non cercate da me il cibo per la vita che perisce? Questa ha bisogno di essere alimentata certo, ma il pane per questa vita lo dovete produrre voi con le immense capacità che Dio vi ha dato. Voi siete in grado di soddisfare tutti i bisogni della vita dell'uomo. Io sono stato inviato nel mondo per portare un altro pane, quello che alimenta la vita che non perisce, la vita eterna. Facciamo attenzione anche noi oggi a non cadere nello stesso equivoco dei giudei di Cafarnao. Proviamo a riflettere quali sono le nostre preghiere, quali sono le richieste che facciamo al Signore.

Di più delle volte riguardano proprio la vita che perisce. Gli chiediamo che guarisca le nostre malattie e soprattutto quando la stessa vita è in pericolo noi vorremmo che Dio intervenisse schierandosi al nostro fianco e con la sua onnipotenza impedisse la morte. Non è venuto per questo, non lo può fare perché l'uomo è mortale, la morte biologica non può essere evitata, può essere solo procrastinata.

Ecco l'intervento dei medici, non dei santi che guariscono le malattie. No, non è venuto per questo Gesù. La morte è parte della nostra natura e anche il Figlio dell'Eterno. Quando si è fatto uomo si è fatto mortale. Allora ci chiediamo, su questa creatura destinata alla morte Dio ha un progetto? Oppure rimane inerte ad assistere a questo tragico destino di generazioni e generazioni? Già nell'Antico Testamento abbiamo cominciato ad ascoltare delle risposte a questi interrogativi. Dio infatti ha più volte dichiarato il suo amore, il suo coinvolgimento nella storia di questa meravigliosa creatura che è l'uomo. Ricordiamo Isaia, 43 dove lui dice: “tu sei prezioso ai miei occhi perché sei degno di stima e io ti amo”. Isaia, 54, “anche se i monti si spostassero, anche se i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto né vacillerebbe la mia alleanza di pace”. Geremia, 31, “ti ho amato di amore eterno, per questo io ti sarò sempre fedele”.

E le anime più belle dell'Antico Testamento, coloro che avevano una elevata spiritualità, avevano assimilato questa parola di Dio, erano entrati in un dialogo d'amore con il Signore. Ricordiamo per esempio il Salmo 16 dove il salmista, dopo aver fatto le sue dichiarazioni di amore a Dio, conclude dicendo: “adesso la mia vita sta per concludersi, noi siamo due innamorati, io non posso stare senza di te, ma anche tu se sei innamorato non potrai stare senza di me. Quale sarà allora il destino che mi hai riservato?” Lui è vissuto prima della Pasqua, ma comincia a capire questo coinvolgimento d'amore che Dio ha con l'umanità. E alla fine conclude: “tu non puoi lasciare che il tuo innamorato rimanga nel sepolcro. Io non so quello che tu vorrai fare, ma mi indicherai il sentiero per uscire verso la vita e allora sarà gioia piena nell'amore con te”. Ecco dov'erano arrivati i salmisti nell'Antico Testamento.

Nel brano che abbiamo ascoltato Gesù ci ha detto di essere stato inviato dal Padre per rivelarci il suo disegno di amore su di noi. Adesso ci dice qual è questo disegno. Sentiamo. “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno”. È l'umanità intera, dice Gesù, che gli è stata affidata, e la missione che deve svolgere è quella di non perdere alcuno. Il Padre del Cielo non vuole che manchi una sola di queste sue creature che egli ama. Il Dio dei filosofi è il motore immobile, impassibile, e è perfettamente felice, anche se qualcuno degli uomini è perso definitivamente, lui è felice lo stesso. Il Dio di Gesù di Nazareth no, ha messo in gioco la sua felicità nella risposta di amore di questa creatura che è l'uomo. Ma anche noi non potremmo essere felici se mancasse anche uno solo dei fratelli. Come potremmo gioire in Cielo quando sappiamo che un fratello manca alla festa? Nel progetto di Dio quindi non sono contemplate defezioni o fallimenti il programma del Padre del Cielo.

Deve essere attuato in pienezza ed è impensabile che Gesù non lo porti a compimento, difatti dice che lui risusciterà tutti nell'ultimo giorno. Che cos'è questo ultimo giorno? Credo che tutti noi pensiamo immediatamente alla fine del mondo, quando risusciteranno tutti gli uomini, non stanno così le cose. Nel Vangelo di Giovanni l'ultimo giorno è quando Gesù sulla croce, chinato il capo, donò all'umanità il suo spirito. Gli altri evangelisti dicono Gesù spirò, cioè ha concluso la sua vita. Quell'ultimo respiro è letto dall'Evangelista Giovanni come il momento in cui Gesù, portata a compimento la sua missione, ha donato il suo spirito, cioè ha donato la sua stessa vita divina all'umanità. È quello l'ultimo giorno in cui lui ha portato a compimento il disegno d'amore del Padre del Cielo. E capiamo così ciò che Gesù ha detto a Marta, chi crede in me non muore, non perché viene riportato in vita alla fine del mondo - quando è morto -, ma perché da vivo riceve una vita che non è toccata dalla morte biologica. Gesù dice di essere stato inviato in questo mondo non per rendere eterna la vita biologica, ma per portare in dono a ogni uomo la vita che non perisce. Questo è il messaggio di gioia di cui siamo depositari noi cristiani.

La morte è stata vinta per sempre, perché dal Cielo ci è stata donata una vita che non viene dalla terra, viene da Dio. Quella che noi chiamiamo morte allora è il momento in cui si nasce alla vita definitiva; è il momento in cui si manifesta in pienezza la nostra identità di figli di Dio, che hanno ricevuto la vita di Dio. «Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». Il disegno d'amore del Padre, dice Gesù, si attua in tre momenti. Il primo è quello di vedere il figlio. Questo è infatti la volontà del padre mio, dice Gesù, che chiunque vede il figlio, eccolo il primo passo da fare. Lo sappiamo, non ci si può lasciar coinvolgere in un rapporto d'amore senza conoscere l'altra persona, senza averla vista, senza averla contemplata. È necessario quindi anzitutto aprire gli occhi, vedere, contemplare il figlio, perché, attraverso il figlio, noi contempliamo il volto del padre.

C'è però un'esperienza visiva che è stata possibile solo a coloro che sono vissuti duemila anni fa, accanto a Gesù di Nazareth, quando lui era in questo mondo e il ricordo di questo incontro è rimasto indelebile nella loro mente, nei loro cuori e anche nei loro occhi, come ci testimonia Giovanni di Zebedeo quando scrive la sua prima lettera ai cristiani delle comunità dell'Asia minore. Inizia dicendo ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi. Io ho avuto la fortuna, dice, di vedere con questi occhi Gesù di Nazareth, ciò che noi abbiamo contemplato, ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il verbo della vita. Noi abbiamo abbracciato Gesù di Nazareth, lo abbiamo accarezzato, perché la vita, la vita eterna si è resa visibile e noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna che era presso il padre e si è resa visibile a noi. Ciò che abbiamo veduto e udito noi lo annunciamo a voi affinché la vostra gioia sia piena. Questa esperienza visiva dell'uomo Gesù di Nazareth a noi naturalmente oggi non è possibile perché si è realizzata in un momento preciso, irripetibile della storia del mondo. Eppure il volto di Gesù noi oggi lo possiamo contemplare attraverso il Vangelo. I quattro Vangeli pongono nitida davanti ai nostri occhi la sua figura. Noi possiamo contemplare Gesù di Nazareth, rimanere incantati dalla sua bellezza, possiamo ascoltare la sua parola che ci apre gli occhi e ci mostra il nostro destino ultimo. Questo è il primo passo da fare.

Tuttavia, perché inizi una storia d'amore non basta aver visto una persona, averla incontrata. Bisogna che scatti poi la scintilla d'amore. Tanti difatti hanno incontrato Gesù lungo le strade della Palestina, eppure non tutti si sono lasciati coinvolgere nella sua proposta di vita, hanno preferito continuare per le loro strade. E' proprio come accade anche oggi, lo sappiamo. Tanti sentono parlare di Gesù, lo ritengono anche una persona buona, generosa, nobile, un saggio, un uomo straordinario, eppure non gli danno la loro adesione. Trovano più facile, più soddisfacente seguire i loro cammini. Ecco la necessità di compiere il secondo passo. Dopo avere visto Gesù, è necessaria l'adesione personale a Lui, è necessario lasciarsi coinvolgere e entrare in comunione di vita con Lui.

E il terzo momento viene di conseguenza. Siamo preparati per raccogliere il suo dono. Il dono che è venuto a portarci è la risurrezione nell'ultimo giorno, e quell'ultimo giorno, lo abbiamo visto, non è alla fine del mondo o al termine della nostra vita. L'ultimo giorno è quello della vita di Gesù, quando Lui ha consegnato all'umanità intera il dono della vita dell'Eterno. La vita Eterna non è un premio che è donato ai buoni al termine della vita, è il dono gratuito che Gesù ha consegnato a tutta l'umanità, anche a coloro che sono vissuti prima di Lui. Il dono non lo ha riservato a chi ha avuto la fortuna di vedere Lui, di incontrare Lui attraverso il suo Vangelo e poi, dopo averlo visto, gli hanno subito dato la propria adesione, si sono lasciati coinvolgere in un rapporto d'amore. Questo dono della vita Eterna è anche per coloro che non lo hanno mai incontrato e ascoltato, e lo ha donato anche a chi lo ha incontrato, lo ha visto, ma non se l'è sentita di dargli subito la propria adesione, forse ha tentennato per tutta la vita e solo alla fine si è deciso ad accogliere la sua proposta d'amore, e lo ha donato anche a chi per tutta la vita non ha voluto saperne di Lui, a chi si è rifiutato di vederlo e di accoglierlo. Lo ha donato anche a loro, il dono della vita Eterna.

La vita Eterna che Lui ha portato dal mondo non è un premio, è un dono d'amore del Padre, un dono gratuito e incondizionato che Lui ha donato a tutti i Suoi figli.

 
 
 

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