18ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
- don Luigi
- 1 ago
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Dal Vangelo secondo Luca (Lc 12,13-21)
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Malgrado qualche bisticcio, in genere fra fratelli ci si vuole bene; fino a quando ci sono i genitori, anche anziani, anche ammalati, i fratelli hanno un punto di riferimento, un motivo per ritrovarsi, ma quando i genitori vengono a mancare, i rapporti cominciano diradarsi, si tende a concentrare il proprio interesse sui figli, sui nipotini e ci si vede sempre di meno. Ma i veri problemi nascono il più delle volte quando c’è da dividere l’eredità, l’eredità che deve essere divisa è quella che divide le famiglie, perché di fronte al denaro anche le persone migliori possono perdere la testa e non vedere, se non il proprio interesse. Capita anche fra i cristiani, è raro trovare dei fratelli credenti che prima di cominciare a parlare dell’eredità, prendono in mano il Vangelo perché vogliono seguire non i criteri di questo mondo, ma quelli di Gesù di Nazareth, quelli che ci propone il Vangelo. A volte, con l’aiuto di qualche amico saggio, le parti riescono a trovare un accordo, ma altre volte le discussioni portano alle offese, alimentano rancori che si protraggono per anni e a volte, i fratelli arrivano non rivolgersi più nemmeno la parola.
Queste cose capitano oggi e capitavano al tempo di Gesù, per quale ragione? Perché i criteri della gestione dei beni, sono gli stessi oggi come allora e se i criteri di fondo sono gli stessi non c’è da sperare che diano risultati diversi; ci saranno dissidi, odi, rancori, conflitti, per cui è inutile risolvere un caso concreto… sì lo si può risolvere, ma bisogna guarire il problema alla radice. Sono i criteri della gestione dei beni che vanno verificati ed è ciò che Gesù farà nell’episodio che narra nel brano evangelico di oggi.
Sentiamo che cos’è accaduto: Uno della folla disse a Gesù: “Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”. Ma egli rispose: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o divisore sopra di voi?”. E disse loro: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”. Gesù si trovava in mezzo alla folla e stava rivolgendo parole accorate ai suoi discepoli, annunciando loro che a causa del Vangelo sarebbero andati incontro a opposizioni e persecuzioni e raccomandava: “Non abbiate paura, potranno anche togliervi la vita, ma un giorno sarà svelato chi ha fatto la scelta giusta e chi invece ha rovinato la propria esistenza”. Stava quindi trattando un argomento molto importante, quando è intervenuto uno della folla che lo ha interrotto; ci saremmo aspettati che chiedesse un chiarimento o facesse un’obiezione, lui non pare interessato all’argomento, lui vuole che Gesù risolva il suo problema, che prenda posizione in suo favore riguardo all’eredità.
Chi stava dividendo questa eredità doveva essere il fratello maggiore al quale, secondo la Torah, aspettavano 2/3 del patrimonio perché poi aveva l’obbligo di sostenere la madre, se era ancora viva, e anche le sorelle se erano ancora nubili. Probabilmente non stava attenendosi alle norme e il fratello minore stava subendo ingiustizia, ecco la ragione per cui ricorre a Gesù. Cosa avremmo fatto noi?
Ci avremmo pensato due volte prima di lasciarci coinvolgere in questa faccenda, perché sappiamo che è sempre molto delicato; il “Libro dei proverbi” al capitolo 26 dice che: “lasciarsi coinvolgere in una discussione, in una lite che non ci riguarda, è come prendere un cane arrabbiato per le orecchie”. Meglio non farlo. Più probabile è che ci saremmo sentiti un pochettino infastiditi da uno che ci ha interrotto mentre stavamo portando avanti il nostro discorso, e infastiditi soprattutto dal modo, dall’imperativo “di’ a mio fratello”. In realtà il verbo greco è un imperativo aoristo “eipè” e quindi andrebbe tradotto “di’ subito a mio fratello che mi dia ciò che mi spetta”.
Ce lo sentiamo rivolgere spesso anche noi preti questo imperativo: “reverendo, dica a mio marito… dica a mio figlio… dica a certi cristiani…”. Gesù dice: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o divisore sopra di voi?” Pare una risposta poco cortese, in realtà Gesù vuole semplicemente marcare un certo suo distacco dall’argomento. Lui ha parlato di eredità alcune volte, ma non quella che ha in mette il suo interlocutore! Un dottore della Legge, un giorno gli ha chiesto: “Cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” La vita, uno non se la può dare, la può solo ricevere in eredità, la vita biologica, ma anche la vita dell’Eterno può essere ricevuta solo in eredità, uno non se la può dare e quando finisce la vita biologica, se non si riceve questa eredità è proprio finito tutto. Gesù gli darà la risposta di come prepararsi per poterla ricevere questa eredità.
Un altro, stavolta un notabile ricco che gli fa la stessa domanda: “Come avere in eredità la vita dell’Eterno”. E anche a lui risponderà dicendo: “Vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e riceverai questa eredità”. In un dialogo che Gesù ha con i suoi discepoli, introduce ancora questo discorso sull’eredità: “Chiunque avrà lasciato casa, campi, fratelli, sorelle, padre, madre o figli per la causa del Vangelo, riceverà il centuplo qui in questo mondo e poi, in eredità la vita eterna”. Eccola l’eredità che interessa davvero a Gesù, Lui mostra chiaramente un certo distacco da questa eredità di cui parla quest’uomo.
La risposta: “O uomo”… Lo chiama uomo, è senza nome proprio perché il messaggio è rivolto a ogni uomo. È una logica nuova adesso, quella che vuole far udire all’umanità. “Chi mi ha costituito giudice o divisore”. Non sono uno scriba, non sono un rabbino… loro delirano quando ci sono questi problemi perché ci guadagnano tanto, come gli avvocati di oggi, sono loro le autorità costituite per risolvere questi casi, secondo i criteri della vostra giustizia.
Tra poco noi vedremo che sono criteri che Gesù non accetta, perché è da questi criteri che nascono i dissidi, gli odi e anche le guerre. Gesù vuole introdurre nel mondo la sua giustizia, una nuova giustizia, difatti adesso invita a cercare la radice del male, a diagnosticare la malattia, da dove vengono i guai. Questa discussione, questa lite che tu hai con tuo fratello, deriva dal non aver chiaro in mente a chi appartengono i beni di questo mondo. Chi è il proprietario? È necessario chiarirlo altrimenti sono guai!
Per i pagani, i beni di questo mondo appartengono a chi ha avuto la fortuna di trovarseli fra le mani, a chi se li è guadagnati, a chi li ha legalmente accumulati lucrando sullo scambio, mai sul lavoro! Sul lavoro non si diventa ricchi, è sullo scambio che si guadagna! È chiaro che se sono suoi, uno li può amministrare anche da morto, cioè li può lasciare in eredità, se sono suoi…
Gesù dice “non sono suoi”! Questa giustizia praticata dagli uomini che produce tutti quei guai, è una menzogna perché nulla appartiene all’uomo, tutto è di Dio, tutto è dono suo. Salmo 24, primo versetto: “Del Signore è la terra e quanto contiene”. Questa è una verità innegabile, nulla è nostro, sono di Dio i beni materiali che Lui ha preparato perché servono per l’alimento, il vestito, la salute di tutti i suoi figli e sono suoi i beni spirituali: l’intelligenza, le capacità, la stessa vita… non ci appartiene, non ce la siamo data, tutti l’abbiamo ricevuta in dono, questa è la verità.
E allora, se solo Dio è il padrone, solo Lui può lasciare in eredità, non il padre biologico perché lui non è padrone, è Dio che può lasciare in eredità di generazione in generazione, a tutti i suoi figli: difatti, in Israele, la terra dalla quale il popolo riceveva il cibo – erano tutti agricoltori e allevatori – non poteva essere comprata o venduta perché la terra era di Dio; poteva essere lasciata in eredità, rimanendo sempre proprietà di Dio, per cui non era possibile aggiungere casa a casa, campo a campo, questo era agire fuori dal disegno di Dio.
E ora la denuncia di Gesù della causa di tutti i mali, delle divisioni e anche delle guerre, dice: “State attenti, tenetevi lontano…” Traduciamo letteralmente il significato degli imperativi greci, imperativi presenti, che significano continuate a stare attenti.“Continuate a stare attenti, continuate a tenervi lontano da ogni genere di cupidigia”. Eccolo il male, il pericolo che ha un nome, in greco “pleonexia”, volere avere sempre di più, la bramosia di avere sempre di più. Questa è la malattia, il pericolo dal quale Gesù vuole metterci in guardia, ci disumanizziamo se ci lasciamo coinvolgere da questo male.
Da dove viene questa avidità innata che ogni uomo sperimenta, questa frenesia di voler sempre accumulare di più? Viene dal desiderio che tutti noi sperimentiamo di trattenerci la vita, la vita ce la vediamo sfuggire di mano come se avessimo sabbia, ogni secondo che passa è vita che se ne va… come trattenerla? Eccolo l’inganno! La paura della morte ci dice “aggrappati ai benidi questo mondo, loro alimentano la vita”, ma ti illudono che possedendo questi beni tu trattieni la vita. La pleonexia è la figlia primogenita della paura della morte, ma è un’illusione la soluzione che ti suggeriscono i beni. Gesù non disprezza i beni materiali come hanno fatto i filosofi cinici, ma guai se il loro accumulo diventa lo scopo della vita.
Continua dicendo Gesù: “Anche se uno è nell’abbondanza, la riuscita di una vita non dipende dall’accumulo dei beni”. Oggi, se uno vuole essere qualcuno deve avere molti soldi… eccolo l’inganno! La riuscita di una vita di Gesù non si valuta in base ai beni che uno ha accumulato, questa è follia. La saggezza evangelica, noi la troviamo in un testo molto bello, è la prima lettera a Timoteo, capitolo 6, ve la voglio leggere questo breve brano: “Noi non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portare via, nulla è nostro, abbiamo trovato i beni di cui abbiamo bisogno e sono di Dio. Quando dunque abbiamo di che mangiare, di che coprirci, contentiamoci di questo; l’attaccamento al denaro infatti, è la radice di tutti i mali. Per il suo sfrenato desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori”.
Ti illudono i beni! Voglio leggervi un brano del libro del Qoelet. Il Qoelet, uno degli uomini più saggi che l’umanità abbia conosciuto. Al capitolo 2° del suo libro, lui fa una riflessione… immagina di essere Salomone, il quale ha avuto tutto nella vita, ha potuto accumulare tutti i beni e sentite che cosa dice in nome di Salomone, adesso parla in nome di Salomone: “Io ho voluto soddisfare il mio corpo con il vino, mi sono dato alla follia, ho intrapreso grandi opere, grandi costruzioni, mi sono fabbricato palazzi, mi sono fatto parchi, giardini e vi ho piantato alberi, ho acquistato schiavi e schiave, mogli e tante concubine che sono la delizia dei figli dell’uomo, sono diventato grande, più potente di tutti i miei predecessori in Gerusalemme, non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano – conclusione – ho preso in odio la vita”. Un edonista che arriva alla fine a odiare la vita, la gestione dei beni che dovrebbero essere per la vita, se sono gestiti dalla pleonexia, da questa malattia, ti portano alla fine a odiare la vita.
Veniamo adesso alla parabola che Gesù racconta per confermare ciò che sta dicendo: Poi disse loro una parabola: “La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”.
Facciamo attenzione quando ascoltiamo una parabola, perché chi ce la racconta ci tende un tranello, vuole farci identificare con uno dei personaggi e Gesù è un maestro dell’impiego delle parabole. Nel nostro caso non c’è possibilità di equivoco, Lui vuole farci identificare con quell’agricoltore fortunato, baciato dalla fortuna, vuole farci arrivare a dire “vorrei essere io al posto di quest’uomo” e difatti Lui ce lo presenta in un modo da rendercelo estremamente simpatico. È uno che si impegna, è previdente ed è anche benedetto da Dio, perché il libro del Deuteronomio al capitolo 28 dice che “i frutti della terra sono una benedizione del Signore”; non dice che era un ladro, uno che commetteva ingiustizie, quindi c’è da supporre che fosse una persona onesta… dovrebbe quindi essere felice.
Ma adesso ha un problema: “che farò dei beni che adesso ho in mano?” Quell’agricoltore sei tu, prendi atto che tu hai tanti beni nelle tue mani e adesso devi decidere che cosa farne. Non si tratta solo dei soldi, ma di tutti i beni che costituiscono la ricchezza della tua persona, la tua intelligenza, le tue capacità, il tuo bel carattere, la fortuna che hai avuto di poter studiare, prenderti una, due, tre lauree… adesso che ne fai di questa ricchezza? “che farò?”
C’è una pagina memorabile di Basilio di Cesarea, ve ne voglio leggere un piccolo brano, notate: “Questo agricoltore è infelice per la fertilità dei suoi campi, per quello che ha e più infelice ancora perché non sa che cosa farne. Che cosa lo aspetta? La terra per lui produce non dei beni, ma dei sospiri, non accresce abbondanza di frutti, gli porta preoccupazioni, pene, ansietà, si lamenta come i poveri. Il suo grido, “che cosa farò?”, non è forse il medesimo che emette l’indigente? Dove troverò il cibo, il vestito? Il ricco fa lo stesso lamento, è afflitto; ciò che porta gioia agli altri uccide lui, non si rallegra quando i granai sono tutti pieni, le ricchezze sovrabbondanti e incontenibili lo feriscono, ha paura che qualche goccia ne esca sia motivo di sollievo a un indigente… “che farò?” Il suo ragionamento occupa la parte centrale della parabola e trova la soluzione: “demolirò i miei magazzini, ne costruirò di più grandi e lì raccoglierò tutto il grano e i miei beni”. Ecco la scelta che fa! Fai attenzione – dice Gesù – perché anche tu ragioni allo stesso modo, “adesso questa ricchezza che ho la tengo per me”. Fa la scelta sbagliata, invece di lasciare che questi beni raggiungano il destino per cui sono stati consegnati nelle nostre mani; questa fortuna ha dei destinatari, lui la blocca, la trattiene per sé. Invece di saziare la fame, invece di rispondere ai bisogni di coloro che lui ha accanto, amplia i magazzini, impedisce ai beni di raggiungere i destinatari.
“Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai in serbo molti beni per molti anni, riposa, mangia, bevi, godi” Che tristezza! Solo ora, quest’uomo si accorge che la vita è fatta anche di mangiare, di bere, di riposare, di gioire. Ha passato la vita ad accumulare, non ha vissuto. Notiamo anche che non progetta bagordi, dissolutezze, no, queste le troviamo al capitolo 2° del libro della Sapienza sulla bocca dei giovani, i quali dicono: “La nostra vita è breve e allora godiamoci i beni presenti, facciamo uso delle creature con ardore giovanile, inebriamoci di vino squisito, di profumi, non lasciamoci sfuggire nulla nella primavera della nostra vita, coroniamoci di boccioli di rose prima che avvizziscono”.
Questo è un inno all’edonismo sfrenato e lo sentiamo anche nella nostra società di oggi. Nel soliloquio di questo agricoltore, noi cogliamo il suo ideale di vita che potrebbe essere il nostro, se Gesù riesce a farci identificare con questo personaggio. Dove porta la pleonexia? L’accumulo di beni ti porta a ragionare così, adesso posso riposare e godermi la vita. Eccolo il risultato! Un programma di vita infelice perché è privo di amore, è solo quest’uomo, ci chiediamo… ma quest’uomo non aveva famiglia, moglie, figli, non c’erano i vicini di casa, gli operai?
Certo che c’erano accanto a lui, viveva in mezzo alla gente, ma non la vedeva; per queste persone lui non aveva tempo, non aveva energie da impiegare, non poteva pensare a loro, non coltivava i sentimenti, era interessato solo a chi gli parlava di beni e gli suggeriva come ottenere buoni risultati nella campagna, pensava ai raccolti, ai magazzini, al grano…nella sua mente non c’era altro e naturalmente, chi era escluso da tutti era Dio. I beni erano l’idolo che gli ha creato il vuoto attorno, lo hanno disumanizzato.
Notiamo, in questa parabola, in questo monologo dell’agricoltore, vengono impiegate 59 parole,14 sono riferite a “io, mio”, esiste solo lui… questo è il pericolo che Gesù vuole denunciare. A te piace questo agricoltore, ma fai attenzione perché anche tu imposteresti l’impiego di questi beni, il “che cosa farò?” Mi godo la vita, riposati, adesso puoi fare tranquillamente quello che ti piace, sei ripiegato su te stesso. I beni producono questo guaio, farti dimenticare i destinatari della fortuna che hai avuto.
Un vecchio rabbino stava parlando del pericolo delle ricchezze e ha detto a uno dei suoi discepoli: “R. Vai alla finestra, guarda fuori dalla finestra, cosa vedi?
1. Vedo un povero che chiede l’elemosina e poi adesso sta passando una mamma con bambino in braccio, adesso c’è un bracciante che conduce un asino carico.
Poi il rabbino prese un pennello con dell’argento. In ebraico argento si dice kessef, ma kessef significa anche denaro. Al posto del kessef, dell’argento, sulla finestra è diventato uno specchio. Poi ha detto al suo discepolo: Vai a guardare fuori dalla finestra, cosa vedi?
1. Vedo me stesso”.
Hai capito? Se tu metti il denaro davanti agli occhi, tu non vedi più le persone, vedi solo ciò che ti interessa, questo è il pericolo della ricchezza. Adesso che Gesù è riuscito a renderci simpatico questo agricoltore, a farci capire “sei tu quella persona fortunata che ha tutti quei beni da gestire”, e se li gestisci come pensa di impiegarli questo agricoltore, tu sei un fallito nella vita.
Difatti adesso entra un altro personaggio ed è il suo giudizio quello che conta alla fine, sentiamo come la pensa: Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio”. Nella parabola adesso, improvvisamente entra in scena un secondo personaggio che è Dio e che non ci piace molto perché si comporta in modo incomprensibile, non lascia godere la pensione a quest’uomo che ha lavorato tanto. Non ci piace questo personaggio e Gesù non vuole che ci piaccia, proprio perché intacca i ragionamenti che ha fatto questo agricoltore… e questi ragionamenti sono i nostri, se non ci piace, vuol dire che adesso il giudizio che viene pronunciato da questo personaggio che è Dio tocca a noi. Naturalmente non è stato Dio a farlo morire, è morto di stress, troppe preoccupazioni, fastidi, l’insonnia, ogni rumorino lo teneva sveglio perché c’erano i ladri, poi il troppo lavoro, insomma è morto di infarto.
Il giudizio sui progetti che ha in mente quest’uomo nell’impiego dei suoi beni è molto pesante. “È pazzo”, dice Gesù. “Aphrõn” in greco significa uno sconsiderato, uno che non riflette, un folle, è un pover’uomo di cui provare compassione. Come mai è definito pazzo? Per vari motivi, il primo errore che lui ha commesso, dal quale poi sono derivati tutti gli altri, non ha tenuto presente che a un certo punto viene l’esproprio di questi beni.
Non ha preso in considerazione che la nostra vita ha un inizio e una conclusione, l’abbondanza gli ha fatto dimenticare che i beni, la ricchezza è precaria, per cui è insensato attaccarvi il cuore. Agli occhi del mondo, il ragionamento di quest’uomo è ritenuto saggio, anche tanti cristiani quando sento dire che uno può permettersi di comperare barche, aerei, di fare viaggi nello spazio… arrivano a dire “beh, beato lui!”. Non è beato, è pazzo… secondo il giudizio che dà Gesù. Questo agricoltore voleva garantirsi il futuro, ma ha sbagliato il modo, non ha puntato su ciò che rimane ma su ciò che perisce, su ciò che alla dogana della vita ti viene requisito, di là non passano i beni che tu hai avuto in mano, le tue lauree ti vengono requisite, non contano nulla dall’altra parte; di là passa il modo come hai gestito questi beni, se li hai gestiti per amore… l’amore di là passa.
La ricchezza ti inganna perché espelle dalla tua mente il pensiero della morte, in passato questo pensiero era impiegato come uno spauracchio, oggi siamo in presenza del fenomeno opposto, ma ugualmente deleterio; si cerca di far dimenticare che nel momento stesso in cui cominciamo a vivere, cominciamo anche a morire. Vedete a che punto di follia ti porta la ricchezza, proprio in presenza della morte perché l’eredità viene divisa quando c’è un decesso; la cupidigia ti fa rimuovere in quel momento il pensiero della morte. Questo è uno dei sintomi inequivocabili di pazzia.
È un paranoico questo agricoltore non vive nel mondo reale, ma in quello che lui si è costruito e che immagina come eterno. Il Salmo 90 lui lo ha dimenticato: “Gli anni della nostra vita sono 70, 80 per i più robusti, insegnaci Signore a contare i nostri giorni e diventeremo persone sagge”. È un paranoico quest’uomo che, siccome capisce che alla fine gli vengono requisiti i beni e allora che cosa pensa? “Continuo a godermeli attraverso i figli, i nipoti”. Sei un paranoico, la tua vita si è conclusa e quando tu vai al di là della dogana, non te li puoi portare questi beni.
Il Qoelet che non era un paranoico, lo abbiamo sentito, nella prima lettura invitava a riflettere sull’eredità e diceva saggiamente; “Ho preso in odio il lavoro che con fatica ho compiuto sotto il sole, perché devo poi lasciare i frutti a un mio successore che non so se sarà saggio o stolto. Lui che non vi ha per nulla faticato, si godrà i frutti del mio lavoro. Anche questo è vanità, è un grande male”. Anche il Salmo 39: “Come ombra è l’uomo che passa, accumula ricchezze e non sa a chi andranno a finire queste ricchezze”.
Arriva adesso il secondo errore che è denunciato alla fine della parabola: “ha accumulato tesori per sé”. Non è condannato il fatto che ha prodotto molti beni perché ha lavorato, perché si è impegnato, ha avuto fortuna, ma perché ha accumulato per sé. È pazzo perché non ha capito che si diviene ricchi di umanità, si cresce come uomini, non accumulando beni per sé, ma donando questi beni per rendere felice qualcuno, per amore, per consegnarli ai destinatari che sono i poveri che ne hanno bisogno. Il programma di questo agricoltore per il suo futuro, non è molto diverso da ciò che anche i cristiani si propongono quando dicono: “spendo come meglio credo, come più mi piace i soldi che mi sono accantonato con il mio duro lavoro.
Mi posso permettere viaggi, crociere, vacanze, feste…”. Ragioni come l’agricoltore, nessuno ti dice che non devi riposare, ma occhio! Stai pensando a te stesso, stai rischiando di commettere il peccato di omissione. Ci sono tanti fratelli e sorelle che hanno bisogno del tuo servizio, se sei in pensione di servizio gratuito, se ti ripieghi su te stesso, se secondo le tue possibilità capacità, preparazione, tu non continui a fare del bene ai fratelli fino alla fine dei tuoi giorni, per Gesù tu sei pazzo.
Il terzo errore che ha fatto questo agricoltore: “non è arricchito davanti a Dio”. Ha escluso Dio dalla sua vita, l’ha sostituito con un idolo; lo scopo della sua vita erano i beni, non ha pensato ad altro. Come si arricchisce davanti a Dio? Gesù ce lo spiega poco dopo nel Vangelo secondo Luca, quando dice: “fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli dove i ladri non arrivano, la tignola non consuma, perché dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”. C’è solo una cosa che noi possiamo portare con noi al termine della nostra vita, che ci segue ovunque, anche oltre la morte, non i beni ma le opere di amore, non ciò che abbiamo avuto e accumulato per noi stessi, ma ciò che abbiamo donato, questo possiamo portare sempre con noi, anche al di là della morte.
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