24ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
- don Luigi
- 12 set
- Tempo di lettura: 13 min
Dal Vangelo secondo Luca (15, 1-10)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Quando ripensiamo alla risposta che Gesù ha dato alla donna cananea “Non è bene dare il pane dei figli ai cani”, proviamo imbarazzo perché un’espressione del genere sulla bocca di Gesù ci sorprende sempre; eppure, il dovere di stare lontani dai pagani, ritenuti impuri, era inculcato nel cuore di ogni israelita fin da piccolo e anche Gesù aveva ricevuto questa educazione. La separazione del sacro dal profano, del puro dall’impuro, doveva sempre rimanere ben definita e ogni israelita, era cosciente di appartenere a un popolo santo. “Kadosh”, in ebraico, significa ritagliato, separato dalle 70 nazioni pagane; c’è scritto nel Libro del Levitico, al capitolo 20, dove Dio dice: “Voi sarete Santi per me perché io, il Signore, sono Santo e vi ho separato dagli altri popoli perché voi siete miei”. Un’ espressione che poteva anche essere equivocata, “voi siete miei e gli altri invece io li rifiuto”. Il Signore intendeva certamente dire “Voi siete Santi, dovete riflettere la mia santità e quindi non vi adeguate all’idolatria dei pagani; state ben attenti a non lasciarvi corrompere dai loro costumi immorali”. Ma poteva anche essere intesa, questa espressione, come un motivo di orgoglio, di superiorità rispetto agli altri popoli e quindi il disprezzo dei pagani. Altra separazione che doveva essere ben mantenuta, era fra coloro che conducevano una vita integra, si mantenevano fedeli alla Legge del Signore e gli empi, i peccatori, con i quali il giusto non doveva avere alcun rapporto.
Quindi il disprezzo per i peccatori, per i pubblicani; se un pagano, per esempio, anche per sbaglio, avesse messo piede nella casa di un pio giudeo, tutto in quella casa rimaneva contaminato e doveva essere purificata quella casa, ogni parete, ogni oggetto. I rabbini prescrivevano che il pio israelita non doveva associarsi ai malvagi neppure per indurli a osservare la Torah. I rabbini, gli scribi, le guide spirituali del popolo, presentavano queste disposizioni come volontà del Signore, erano convinti cioè, che anche Dio si tenesse lontano dalla gente impura, rigettasse i peccatori, li volesse punire, castigare, maledire.
Ricordiamo ciò che dice il fariseo nel tempio: “Signore io ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, neppure come quello là in fondo; noi due andiamo d’accordo, noi due! Tu sei Santo ed io sono Santo con te, lui è un immondo, un impuro”. Dio la pensava davvero come quel fariseo là nel tempio? Davvero Dio rifiutava gli altri popoli, rifiutava i peccatori? O questa era una falsa immagine di Dio che le guide spirituali di Israele andavano insegnando? Dio ha pensato di farsi vedere in Gesù di Nazareth e, allora, ci interessa sapere come Gesù si rapportava con i pubblicani e con i peccatori.
Sentiamo: Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Non significa soltanto che si avvicinavano, è molto più forte, vuol dire che facevano di tutto per avvicinarsi a Lui, continuavano a cercarlo perché volevano stargli vicino. Si rimane sorpresi che queste persone continuino ad andare da Gesù dopo quello che Lui ha detto quando le folle si accostavano a Lui.
A questo punto ci aspetteremmo che coloro che fanno una scelta di vita che è l’opposto di quella che Gesù propone, si allontanassero spontaneamente da Lui, oppure che venissero scacciati da Lui stesso in malo modo, come qualunque rabbino farebbe. Invece, ecco la sorpresa… queste persone che sono la feccia della società ebraica, sono gli immondi in mezzo a un popolo santo, lo cercano, si avvicinano a Lui. Per quale ragione? Perché sentono il bisogno di Lui, questo è il bisogno di Dio e non può essere tacitato questo bisogno, perché se tu non lo soddisfi, ti lascia un’inquietudine interiore che non può essere tacitata. Vedete, queste persone hanno tutto dalla vita, onori, feste, piaceri, divertimenti, gozzoviglie… cercano la gioia, ma trovano soltanto il piacere. Noi siamo fatti bene, siamo fatti per costruire la nostra vita secondo la proposta di uomo che vediamo incarnata in Gesù di Nazareth, la proposta che è quella del Vangelo, se non la realizziamo noi non siamo felici. Se queste persone si accostano a Gesù, se lo cercano, è perché provano questa inquietudine interiore che non li lascia tranquilli, senza la pace del cuore. Come risolvere il loro problema interiore?
Perché vanno da Gesù? Avrebbero potuto andare dagli scribi, dai farisei che erano i giusti, persone gradite a Dio, maestri di vita spirituale; ma lo sanno come sono giudicati dai giusti dai quali sono scacciati, sono allontanati. Il Salmo 15, che descrive il giusto dice: “Ai suoi occhi, il malvagio è spregevole”. E lo mettevano in pratica. Più ancora, più forte il Salmo 25, che riferisce le parole del giusto che è orgoglioso della propria integrità morale e dice: “Se Dio si decidesse a reprimere i peccatori – cioè, mi lasciasse far Dio per 1/4 d’ora – io purificherei il mondo da tutti i peccatori e prego il Signore che si decida a farlo”.
Continua la sua preghiera: “Allontanatevi da me, uomini sanguinari”. Poi si rivolge direttamente al Signore e dice: “Non odio forse quelli che ti odiano? Non detesto io i tuoi nemici? Li detesto con odio implacabile, come se fossero miei nemici personali”. E poi è anche convinto che il Signore sia d’accordo con lui. Se questi peccatori e pubblicani vanno da Gesù, è perché sentono il bisogno di Lui, perché si sentono amati così come sono, non giudicati ed emarginati; Gesù non approva certo le loro scelte di vita, ma vede la loro condizione in un modo ben diverso dai farisei. Questi peccatori sono persone che puntano alla gioia, ma non la raggiungono e quindi non sono persone da punire, da emarginare, ma da amare, da aiutare, da indicare loro qual è la strada per essere realmente felici. Gli scribi e i farisei invece che cosa fanno? Vedono Gesù che si presenta come figlio di Dio, cioè come colui che riproduce il volto del Padre e loro non sopportano un Dio che non condanni i peccatori; non hanno capito che cos’è il peccato. Il peccato è una disumanizzazione, va curato, non punito.
Dice il testo del Vangelo che “mormoravano”, che vuol dire che contestavano, condannavano il comportamento di Gesù. E teniamo presente, i farisei non erano gente cattiva, noi abbiamo in mente un’immagine scorretta dei farisei come ipocriti… Paolo, che era un fariseo, elogia la fedeltà alla Legge dei farisei, costoro muovono due accuse a Gesù, dicono: “Costui – bello, non dicono Gesù -, questo tale, accoglie i peccatori – prima accusa- e mangia con loro”. Questo verbo “accogliere” è molto bello, anzi, il verbo greco è bello, ma qui c’è “pros dechoma i” che vuol dire essere proteso verso persone per accogliere, quindi stendere le braccia per abbracciarli, per portarli a sé, questo è “pros dechomai”.
E loro si sono accorti di questa tenerezza di Gesù nei confronti di coloro che stanno sbagliando e non può essere diverso, perché Dio è così. E poi, peggio ancora, “mangia con loro”, cioè condivide con loro la gioia, Lui li accoglie così come sono. Gesù si trova di fronte a due gruppi che hanno bisogno di essere salvati, i peccatori, Lui li ha già coinvolti nel suo amore, con la sua tenerezza, Lui li ha portati già nella sua casa, è riuscito a legarli a sé questi peccatori, infatti sono già seduti a mensa con Lui. Cosa vuole Lui adesso? Che anche i giusti si siedano a mensa insieme con questi fratelli e li accolgano così come sono, ma anche questi peccatori dovranno accogliere questi giusti, che non è che siano poi così simpatici per il loro orgoglio, la loro presunzione di essere a posto davanti a Dio.
Che cosa fa Gesù? Gesù ha già coinvolto i peccatori nel suo amore, ce li ha già in mano, ce li ha già nel cuore; adesso Gesù vuole salvare i giusti, i farisei, deve liberarli da quella pericolosa immagine di Dio che a loro piace tanto, quel Dio che loro adorano che è il “Dio giustiziere”, deve purificare la loro mente e il loro cuore da questa pericolosa immagine di Dio che non li renderà mai felici. E che cosa fa? Non fa dei ragionamenti perché non otterrebbe alcun risultato, anche se li mettesse al muro con citazioni bibliche non riuscirebbe a convertirli, che cosa fa Gesù?
Ricorre a due parabole, sentiamo la prima: Gesù disse loro questa parabola: … Gesù ama gli scribi e i farisei e vuole assolutamente liberarli dalla falsa immagine di Dio che hanno in mente, quella falsa immagine di Dio che li porta poi a disprezzare i peccatori e a tenersi lontano da loro. Qual è il Dio che hanno in mente? Il Dio che ti vuol bene se tu fai il bravo, se invece tu ti comporti male e trasgredisci ai suoi ordini, allora non ti concede i suoi benefici, anzi ti punisce. Le cose non stanno così per Gesù… se fai il bravo tu sei un uomo vero, sei felice, se invece non segui le vie del Signore non troverai la gioia, farai del male a te stesso, non a Dio, Lui continuerà ad amarti.
E Gesù deve convertire questi scribi e i farisei alla vera immagine di Dio, il Dio che ama in modo incondizionato. La scena della parabola è ambientata nel deserto di Giuda che Gesù conosce molto bene, l’ha attraversato tante volte. Lì ci sono grotte, anfratti, spelonche, nelle quali si rifugiavano i ladri e briganti, e poi ci sono gli sciacalli, sono tanti pericoli nel deserto. D’estate è arido, come quello che vedete alle mie spalle, ma quando giungono le prime piogge di autunno, l’erba germoglia; in primavera fiorisce il deserto, e le montagne si coprono di greggi.
Gesù inizia la parabola rivolgendosi direttamente ai suoi ascoltatori perché li vuole provocare con una domanda che li obbliga ad ascoltare il cuore, esattamente come fa il pastore. Il pastore ragiona anche lui con la testa, ma poi quando il cuore gli suggerisce qualcosa di diverso dalla testa, alla fine lui ascolta il cuore ed è il caso di questa parabola. Se lui ascoltasse la testa… è notte, non ci si vede, c’è il rischio, se vado in giro per il deserto, di incontrare dei branchi di sciacalli, dei lupi, ci sono dei pericoli e poi ci sono le 99 pecore che continuano qui nel deserto e ci sono i ladri e i predoni che aspettano soltanto che io mi assenti per impossessarsi delle pecore.
Se ascoltasse la testa, il pastore non si muoverebbe per la pecora che ha perso. Vediamo invece come si comporta questo pastore: segue il cuore! Ed è importante il cuore di questo pastore perché rappresenta il cuore di Dio. Ha 100 pecore, ne perde una… notiamo: non è la pecora che si è persa, lui ha perso la pecora! Come mai non si fa alcuna accusa alla pecora? La natura della pecora comporta la possibilità di perdersi e questa pecora l’ha voluta Dio così, perché se non fosse così non sarebbe più pecora; le pecore ci vedono poco, 7-8 m, difatti noi notiamo che le pecore seguono sempre quella che hanno davanti e quando la perdono di vista non sanno più dove andare.
Ecco, il pastore ama le pecore che sono fatte così, che ci vedono poco e quindi si possono perdere, neanche Dio può far sì che ci siano pecore che non si possono perdere, perché non dovrebbero essere pecore. È Lui che ha fatto le pecore e quindi è responsabile se si perdono. Noi sentiamo, a volte, qualcuno che dice: “Perché Dio non ci ha fatti impeccabili, tutti buoni?” Forse li ha anche fatti degli uomini così, ma se ci avesse fatto così, non saremmo noi. Lui ci ha fatti come le pecore che possono perdersi, la persona equilibrata accetta serenamente questa propria condizione, è contenta della propria identità, non si arrabbia per le proprie fragilità e debolezze, le mette in conto perché fanno parte della nostra natura e Dio ci ha voluti così e ci ama così, come il pastore ama le pecore che si possono perdere… se non si potessero perdere non sarebbero pecore.
Per cui, la persona serena di fronte all’errore che ha commesso, dice “sono andato fuori strada, ringrazio chi mi ha aiutato a riprendere il cammino della vita e adesso vado avanti sereno”. Che cosa fa il pastore che segue il cuore? Lascia le 99 nel deserto…una decisione che è illogica, ma mostra l’amore per l’unica pecora che si è smarrita. È questo che Gesù vuole mettere in risalto… quanto conta per Dio ogni uomo, è figlio suo, uno come lui non esisterà mai più. Questa è la dignità di ogni persona, finiamola quindi di pensare che siamo amati perché siamo bravi e solo se siamo bravi, siamo amati perché siamo figli di Dio, perché siamo amabili e il nostro peccato non cancellerà mai la dignità di essere figli di Dio. Il nostro peccato, per quanto grave, non può spegnere l’amore che Dio ha per ognuno di noi. Quello che i farisei di ieri e di oggi non capiscono è che Dio non si arrabbia per il nostro peccato, perché abbiamo disobbedito e ci perdona soltanto se vi chiediamo scusa. Il nostro peccato non ferisce Dio, fa del male a noi e questo dispiace a Dio, ma non aggiunge altro male, Lui continua ad amarci perché non può fare altro che amare ogni suo figlio.
E quando è riuscito a riportarci sulla strada giusta, la strada della vita, che cosa fa? “La gioia, la festa”. Il racconto, difatti adesso è presentato solo con gesti di amore, l’evangelista Matteo racconta anche lui questa parabola, ma alcuni dettagli li ha soltanto l’evangelista Luca, quello del pastore che si carica la pecora sulle spalle e c’è anche un racconto di pastori, i quali, quando una pecora si perdeva, le spezzavano una gamba così imparava! Gesù non mette nella sua parabola questa possibilità ed eventualità, c’è solo la gioia, anzi è il pastore che la porta spalla, le altre hanno dovuto camminare, invece questa la porta il pastore. È l’esplosione della gioia, quella che troviamo in questa parabola, una gioia quasi eccessiva, “in cielo si fa festa più che per 99 giusti che non sono andati fuori strada”. Questa prima parabola, Gesù l’ha raccontata per presentarci il cuore paterno di Dio, difatti l’immagine è quella del pastore.
Nella seconda parabola, che adesso ascoltiamo, Gesù mette in risalto il cuore materno di Dio attraverso l’immagine di una donna. Anche questa parabola inizia con una domanda. Gesù se ne serve per invitarci a contemplare il cuore di questa vecchietta e il suo amore per la monetina, perché il cuore di questa donna, rappresenta l’amore materno di Dio. Questa parabola non è ambientata all’aperto, nel deserto, come quella precedente, ma dentro una casa. C’è la porta dalla quale entra la luce, il forno, i vasi di terracotta, la giara di pietra per conservare l’acqua, il mortaio, la macina e soprattutto le pietre sconnesse del pavimento fatte di basalto, che è la pietra del luogo, e poi vedete il vano in cui erano collocati gli attrezzi di lavoro, i cesti, l’oltre, la trebbia e notate le finestre, basse e buie perché non comunicavano con l’esterno… era la dispensa. In questo contesto c’è una vecchietta che è riuscita a mettere insieme un gruzzolo di 10 dracme. La dracma era lo stipendio di un giorno per un bracciante. Cosa ha fatto questa donna? Le ha avvolte nel suo fazzoletto e poi le ha nascoste, immaginate, potevano essere poste al sicuro fra le pietre su cui poggiano le travi del tetto.
Un giorno tira fuori il suo gruzzoletto e una moneta le sfugge di mano. È nella natura delle monete la possibilità di scivolare di mano, facilmente questo accade. È l’immagine del fratello che facilmente, può sfuggire dalle mani di Dio è nella sua natura, come in quella delle pecore era la possibilità di perdersi, è l’invito che Gesù ci fa a prendere coscienza della nostra condizione di fragilità, di debolezza e quindi di lasciar perdere tutto il nostro orgoglio. Non siamo noi a costruirci una vita e a guadagnarci l’amore di Dio!
Questa è la nostra condizione e Dio ci ama perdutamente, così come siamo. Una delle monete sfugge di mano a Dio, è il fratello che è andato fuori strada. Che cosa fa questa donna? In questa donna, adesso ci viene presentato l’amore di Dio per ogni suo figlio e ci viene indicato che cosa fare per recuperare a Dio questo suo figlio, cioè, in questa donna noi cogliamo l’amore di Dio e, se siamo in sintonia con questo amore, dobbiamo diventare angeli per il nostro fratello, per riportarlo alla vita.
E adesso la parabola diventa catechismo. Prima cosa da fare: “accendere la lampada”. Che cos’è questa lampada che ci fa vedere bene dove trovare il fratello? Nella Bibbia, la lampada è la Parola di Dio: “Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino”, dice il Salmo 119. Nel proprio cuore, chi vuole essere un angelo del Signore, cioè chi vibra degli stessi sentimenti d’amore di Dio, accende questa lampada per vedere bene il fratello in difficoltà; se non accende questa lampada, può vedere il fratello come lo vedono gli scribi e i farisei, una persona da rifiutare e da condannare, può farci vedere il fratello alla luce della nostra rabbia, del nostro rancore… “perché non mi ha ascoltato, se l’è andata a cercare, peggio per lui, adesso si arrangi”.
Se tu non accendi la lampada della Parola di Dio che ti fa vedere la difficoltà del fratello con l’amore con cui lo vede Dio, tu puoi sbagliare nel tuo approccio, diventare uno scriba e un fariseo. E poi che cosa fa? Dopo aver acceso la lampada – non prima, altrimenti lo cerchi nel modo sbagliato – “cominci a spazzare la casa”. Hai capito che questo fratello è finito nell’immondizia, non è nell’ oro. Lui non è immondizia, ma è finito lì e da lì lo devi tirar fuori, del resto anche Gesù dice: “Chi non ascolta la mia Parola finisce nella geenna.”
La geenna non è l’inferno, basta con questo rapporto fra geenna e inferno, no, non esiste sulla bocca di Gesù il termine inferno… c’è la geenna, l’immondezzaio in cui uno va a finire se non segue i cammini del Signore, si rovina la vita ed è lì, in questo immondezzaio che tu lo devi cercare perché lui è un tesoro. E che cosa accade quando questa donna riesce a ritrovare un tesoro? La festa, la gioia, una gioia quasi eccessiva, come nella prima parabola. Non c’è alcun rimprovero alla monetina, è nella sua natura che può accadere che si perda, tu la devi recuperare!
È bella questa conclusione della parabola che ci porta a riflettere su ciò che Dio si aspetta da noi. Noi siamo nella condizione di poter fare iniziare una festa in cielo e una festa nel cuore di Dio. Se noi siamo in sintonia con il cuore di Dio, noi amiamo il fratello come lo ama Lui ed è attraverso di noi, suoi angeli, che Dio recupera il suo tesoro.
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