top of page

26ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

  • Immagine del redattore: don Luigi
    don Luigi
  • 26 set
  • Tempo di lettura: 14 min

Dal Vangelo secondo Luca (16,19-31)

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

 

La settimana scorsa abbiamo meditato sulla parte positiva del rapporto con i beni. Oggi ci viene posto davanti il quadro negativo del dittico, dove compare il personaggio stolto che non pensa a programmare il proprio futuro, pensa solo al presente, non si rende conto che la vita ha un inizio e ha una fine, non tiene presente che un giorno non sarà dei soldi che avrà bisogno, ma degli amici e non averne in quel momento, sarà davvero drammatico. Gesù ha messo in scena i primi due personaggi della parabola. Il primo non ha nome, è identificato con un aggettivo “il ricco, non il cattivo ricco come c’è in alcune nostre Bibbie, non c’è alcun segno che lui fosse cattivo, stiamo a ciò che dice la parabola. Noi abbiamo in mente due categorie di ricchi: quelli buoni e quelli cattivi. Quelli “buoni” sono quelli che si godono la vita, certo, però fanno anche del bene, elargiscono somme in beneficenza, forse vanno anche in chiesa. Spesso spendono somme favolose in follie però “è roba loro, possono farne ciò che vogliono” dice la morale corrente.Poi ci sono i “cattivi ricchi”, questi rubano, sfruttano. Il ricco della parabola non appartiene a nessuna delle due categorie, lui è pieno di soldi e basta. Nella parabola non c’è alcun cenno a qualcosa di male che lui abbia fatto, non si dice che era disonesto, che rubava, che non pagava le tasse e nemmeno che fosse un dissoluto o un adultero, poteva essere addirittura un religioso praticante. Non carichiamolo quindi, di peccati che non ha fatto, del resto, noi sentiremo Abramo che parla con lui e non gli rinfaccia alcun peccato… era ricco e questo non è un peccato.

Nella Bibbia, il benessere, la fortuna, l’abbondanza di beni, sono una benedizione del Signore, Dio dona tutti questi beni per la vita, beato colui che li ha a disposizione. Fosse saggio quest’uomo, pensate a quanti amici si potrebbe fare per il futuro, dipende quindi da come vengono impiegati questi doni di Dio. Comunque, fino a questo punto, noi non possiamo muovere nessuna accusa a quest’uomo ricco, deve però tenere presente che ha una grande responsabilità, perché ha ricevuto molti doni e li deve gestire secondo i disegni e gli obiettivi di chi lo ha benedetto, cioè il Signore… deve pensarci bene a che cosa farne. Gesù ha più volte messo in guardia dal pericolo che costituisce la ricchezza, anzitutto l’uomo facilmente vi attacca il cuore e allora diviene la mammonà dell’ingiustizia, diviene l’idolo che sostituisce Dio nel cuore e nella mente dell’uomo, ed è questo idolo che definisce le scelte da fare nella vita.

Poi, ricordiamo nella parabola del “seme sparso nel campo”, Gesù parla di rovi che soffocano la Parola seminata, le impediscono di dare frutto e identifica questi rovi con le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza. E poi ricordiamo il giudizio che Gesù ha dato dei beni, della ricchezza la scorsa settimana… ha detto “ricchezza dell’ingiustizia,” perché in questa ricchezza c’è sempre impigliata dell’ingiustizia. Ricordiamo, prima di Gesù, cosa ha detto il Siracide al capitolo 27 del suo libro: “Per amore del denaro molti peccano. Chi cerca di arricchire procede sempre senza scrupoli”. Poi fa, impiega una bella immagine: “Fra le giunture delle pietre, è lì che si conficca il piolo”. Dov’è che si insinua il peccato, dice Lui? “Fra la compera e la vendita”. Eccola l’ingiustizia che si mischia sempre con la ricchezza. E adesso quest’uomo avrebbe potuto gestire la sua ricchezza secondo i disegni del Signore, dovrebbe essere grato a Dio della condizione in cui è venuto a trovarsi.

Come veste quest’uomo? “Indossava vestiti di porpora e di lino, finissimo”, e qui pare che quest’uomo cominci subito ad andare fuori strada nella gestione dei beni. La “porpora”, la conosciamo, è il colore rosso-viola che è ottenuto dalla secrezione di un mollusco il “murex”, nell’età imperiale i vestiti di porpora se li potevano permettere in pochi, erano il simbolo del potere e del prestigio; ricordiamo la porpora, che era prodotta e costituiva la ricchezza di Tiro e di Sidone. Poi “vestiva di bisso”, non di lino finissimo. Il bisso è una sorta di seta finissima che è ottenuta dai filamenti che secerne la “Pinna Nobilis” che è un mollusco endemico nel mare Mediterraneo. Secondo la morale corrente quindi, quest’uomo non sta facendo nulla di male, spende del suo, beato lui che si può permettere abiti firmati costosissimi.

Ma la pensa come la morale corrente Gesù? L’uso dei beni può essere impiegato in questo modo? Quest’uomo è certamente colmo di beni, ricco di capacità, il modo di vestire è importante perché indica come noi vogliamo apparire agli occhi degli altri, come ci piace essere visti e considerati. C’è un termine che ricorre nel Nuovo Testamento “l’adorazione degli sguardi”, c’è chi vive in adorazione degli sguardi che sono rivolti a lui, vive compiacendosi degli sguardi e se non si sente ammirato e contemplato, va in depressione. Ecco a che cosa servono gli abiti firmati, attirare gli sguardi. Quest’uomo non spende per essere qualcuno, ma per apparire, il suo obiettivo non è crescere in umanità, non ci pensa proprio e forse non sa nemmeno cosa significhi crescere in umanità, a lui preme solo attirare gli sguardi.

Nella Bibbia, il vestito è impiegato spesso come metafora… “Malvagio – dice il Salmo 73 – ha il suo vestito, la violenza, l’orgoglio, si vanta della propria arroganza”. “L’ornamento del giusto”, dice la Bibbia, cosa dovrebbe essere? La rettitudine, la giustizia. Troviamo spesso questa metafora nel Nuovo Testamento, quando nella Prima lettera a Timoteo si raccomanda alle donne come vestirsi: “Adornate con pudore, riservatezza, non con treccine, ornamenti d’oro, perle, vesti sontuose, ma di opere buone, come donne che onorano Dio”. E anche la prima lettera di Pietro dà i suoi consigli sul vestito: “Il vostro ornamento non sia quello esteriore, capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti, ma un cuore mite e pacifico”. E Paolo riassume questo abito, ne parla dicendo: “Voi dovete andare rivestiti di Cristo, chi vi vede deve scorgere la bellezza della persona di Gesù di Nazareth.”

Ecco l’errore che ha commesso quest’uomo… ha puntato sull’effimero, si è rivestito di un abito che si consuma, ha speso i suoi averi per un vestito che sarà roso dalle tarme; chi si veste di Gesù di Nazareth, si veste di un abito che non è roso dalle tarme. Fuori metafora, proviamo a chiederci: quale vestito amiamo indossare? Gli sguardi di chi vogliamo attirare? A chi vogliamo piacere? Come investiamo i doni ricevuti dal Signore? Di quale bellezza vogliamo splendere? Di quella esteriore? Sotto la porpora e il bisso di quest’uomo, cosa c’è? Il nulla! Gesù ci ha descritto l’esterno, l’abito, adesso ci dice ciò che c’è sotto questo abito. “Ogni giorno se la godeva splendidamente”. Questo è tutto ciò che c’è sotto la porpora e il bisso, uno stomaco che si sazia di cibo, si ingozza, gozzoviglia… non c’è altro! Sotto il vestito di quest’uomo c’è soltanto ciò che lo accomuna ai pre-umani, dà l’idea che per lui vivere si identifichi con la partecipazione a lauti banchetti, non pare che abbia altro per la testa.

Secondo personaggio: un povero e ci viene detto, il suo nome, si chiamava Lazzaro. In nessun’altra parabola Gesù mette il nome dei personaggi, solo in questa, e dice che il povero si chiamava “Eliezer”, che in ebraico significa “il mio Dio è un aiuto”, vuol dire “Dio sta dalla mia parte”; non dice che Dio sta dalla parte di quell’altro, sta dalla mia parte, del povero. Solitamente si conoscono i nomi dei ricchi, non dei poveri, è di loro che si parla; sulla bocca di Gesù invece non compare il nome del ricco, non ha nome e non avere il nome, nella cultura del tempo, significava essere nessuno. Ricordiamo cosa accadeva nell’ Impero Romano quando qualcuno cadeva in disgrazia per le sue malefatte… il Senato decretava la “damnatio memoriae”. Il suo nome veniva cancellato da tutte le iscrizioni, da tutti i monumenti pubblici; il suo volto veniva sfregiato sulle monete… cancellare il nome era come non essere mai esistiti.

Ecco, questo ricco non ha nome, è il povero che ha il nome per Dio. E cosa faceva Lazzaro? “Stava alla porta del ricco, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco”. In quel tempo non usavano i tovaglioli,usavano la mollica del pane che, dopo essersi puliti, la gettavano sotto il tavolo… era per i cani. “E anche i cani venivano leccargli le piaghe”. Il dettaglio dei cani è significativo perché sono gli unici, nella parabola, che fanno compagnia al poveroin questo mondo. Questi due personaggi rappresentano la realtà del nostro mondo e la realtà che era anche al tempo di Gesù, la separazione fra gli epuloni e i Lazzaro. È d’accordo Dio che i beni che Lui ha preparato per tutti i suoi figli, siano accumulati nelle mani di qualcuno? E che gli altri, la stragrande maggioranza, resti priva del necessario? Conosciamo tutti i dati delle disparità che ci sono nel mondo, sono dati drammatici. Pensiamo… le 12 persone più ricche che ci sono al mondo, anzi forse ne bastano 11, possiedono più beni della metà più povera dell’umanità. Pensiamo che il 10% dell’umanità possiede il 90% dei beni, cosa resta al 90% dell’umanità? Nella parabola non è ancora comparso il terzo personaggio: Dio. Ci interessa sapere se è d’accordo che i suoi beni siano gestiti in questo modo, accumulati nelle mani di qualcuno, mentre altri sono nella miseria. Nella parabola, Dio non comparirà, ma il suo parere è posto sulla bocca di Abramo.

Sentiamo che cosa accade al povero Lazzaro: Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Come mai Gesù colloca Lazzaro in Paradiso? Secondo l’interpretazione moralistica del passato, Lazzaro sarebbe il prototipo della persona buona, virtuosa, che sopporta pazientemente le ingiustizie e quindi alla fine, Dio lo premia col Paradiso. Questo lo abbiamo inventato noi, non c’è nulla di tutto questo nella parabola, ci deve essere un altro motivo per cui Gesù colloca Lazzaro in Paradiso.

Nella parabola non si dice che era umile, educato, che era diventato povero perché colpito dalla sventura, poteva anche aver sperperato tutti i suoi beni nel gioco, le sue piaghe potrebbero anche essere la conseguenza di malattie contratte con una vita dissoluta. Che cosa ha fatto di buono per essere collocato in Paradiso? Nella parabola, Lazzaro non dice neanche una parola, non fa assolutamente nulla, non muove un dito, non muove un passo, lui è sempre seduto… in terra alla porta del ricco è seduto, in cielo è seduto in braccio ad Abramo, lungo il viaggio è seduto fra le braccia degli Angeli.

Di lui sappiamo soltanto che era povero e poi la sua condizione era cambiata, ma non ci viene spiegata la ragione. Facciamo attenzione, perché l’interpretazione del Lazzaro buono, paziente, premiato con il Paradiso, oltre che essere errata, è pericolosa perché può sembrare un invito alla rassegnazione nell’attesa che le cose poi cambino nell’altro mondo. Questa interpretazione va molto bene ai ricchi, i quali non si sono mai angosciati troppo per l’inferno nell’aldilà; loro pensano a godersi il paradiso nell’aldiquà. La sopportazione paziente premiata con il paradiso, è stata giustamente etichettata come “oppio del popolo”. Allora, per quale ragione Gesù colloca Lazzaro in Paradiso? Con questa parabola non vuole parlarci dell’aldilà Gesù, vuole che non ci siano epuloni e Lazzari nell’aldiquà. Questa distribuzione dei beni inventata dagli uomini, dalla bramosia degli uomini, non rientra nel progetto di Dio sul mondo. Nella parabola, Lazzaro non è il rappresentante della persona buona, umile, è l’emblema della condizione dell’umanità che è priva del necessario ed è dimenticata da chi ha a disposizione i beni che dovrebbero essere consegnati a chi è nel bisogno, invece vengono sperperati in assurdità e follie. Diceva bene Gandhi: “La terra fornisce il necessario per soddisfare i bisogni di ogni uomo, ma non l’avidità di ogni uomo”. Allora, per quale ragione Gesù lo colloca in Paradiso? È solo per dirci che Dio sta dalla parte dei poveri, ai quali non è consegnato ciò che il Signore ha preparato per loro. In tutta la Bibbia, questa verità è ripetuta come un ritornello, ricordiamo il Salmo 140: “Il Signore difende la causa dei poveri, il diritto dei bisognosi”; Il Salmo 68: “Padre degli orfani, difensore delle vedove è Dio”; poi bello quello che dice Giacomo nella sua lettera, al capitolo secondo, sta parlando a quelle comunità cristiane che mostrano simpatie e fanno preferenze per i ricchi e chiede a queste comunità: “Dio, non ha forse scelto I poveri?”

Sentiamo adesso come è andato a finire il ricco: Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora cominciò a gridare. Viene il momento in cui finiscono sia le gozzoviglie che le sofferenze, la nostra vita non è poi tanto lunga e si conclude per tutti. Qual è il pericolo dal quale Gesù vuole metterci in guardia? Di non tenere presente questa verità, che la nostra vita si conclude e se non teniamo presente questo, noi la gestiamo male. Sant’Agostino diceva: “Quando nasce un bambino tutti gli si fanno attorno e fanno le loro previsioni: sarà ricco, sarà bello, sarà intelligente, avrà molta fortuna… nessuno ricorda l’unica verità certa, che morirà”. E la ricchezza ha proprio questo potere di stordirci al punto tale da rimuovere il pensiero della morte, è ciò che è accaduto a quel ricco agricoltore che faceva tutti i suoi progetti come se la sua vita non sarebbe finita mai, invece gli è stata richiesta proprio quella stessa notte. Osserviamo il ricco della parabola, è ripiegato su quella tavola e si vede che lui trascorre la vita convinto che quel banchetto continuerà sempre, lui non pensa al suo futuro, quindi non gli interessano affatto gli amici che lui potrebbe farsi e che gli potrebbero essere utili in futuro.

Dove è andato a finire questo ricco? Negli “inferi fra i tormenti”. Gli inferi non sono l’inferno, di cui Gesù non ha mai parlato, gli inferi è dove vanno a finire tutti quando concludono la loro vita in questo mondo e anche Gesù è sceso agli inferi. “Fra i tormenti” è l’unica volta che Gesù parla di “tormenti”, ma siamo in una parabola. Il basanos era una pietra durissimacon cui nella Lidia sfregavano l’oro per vedere se era autentico. Immaginate, giù negli inferi, che sfregano questo povero ricco col basanos! Come mai là lo stanno sfregando, là negli inferi lo stanno facendo soffrire? Si tratta di immagini create dalla fervida fantasia degli orientali, se qualcuno vuole farsene una cultura, basta che legga il “libro di Enoch”, che era conosciutissimo al tempo di Gesù, lì si descrivono nei dettagli i tormenti che i malvagi devono subire negli inferi. I rabbini ricorrevano a queste immagini colorite perché erano convinti che con queste minacce sarebbero riusciti a far rinsavire le persone. Ne circolavano tante di storie come quella raccontata da Gesù, dove i ricchi tra l’altro andavano sempre a finir male. Questi dettagli servono a Gesù solo per mantenere viva l’attenzione dell’ascoltatore, è quindi del tutto fuorviante considerarli delle informazioni sulle pene dell’inferno di cui, ripeto, Gesù non ha mai parlato. Del resto, se prendiamo questi dettagli come informazioni, allora dobbiamo considerare cronaca anche la possibilità che i dannati possono fare una chiacchierata con i Santi del Paradiso e poi, tra poco vedremo la brutta figura che fa Abramo che nega una goccia d’acqua a questo povero ricco che sta soffrendo la sete.

Cosa fa il ricco negli inferi? “Alza gli occhi e vede di lontano Abramo, e Lazzaro fra le sue braccia”. Finalmente alza gli occhi dalla tavola e vede il povero, doveva vederlo prima, quando era alla sua porta, non si è lasciato salvare da Lazzaro, dal povero, perché è il povero che ti salva, è lui che ha bisogno di quei beni che Dio ha posto nelle tue mani, se tu glieli consegni crei amore, ti crei amici per la vita futura; se invece tu non vedi il povero, tu non ti lasci salvare, rimani con i tuoi beni che a un certo punto ti vengono requisiti e rimani senza niente… è il povero che ti salva dalla follia dell’attaccamento alla ricchezza. Siamo così giunti alla parte più importante della parabola che è il dialogo fra Abramo e il ricco, occupa ben ⅔ del racconto e le parole di Abramo riferiscono il pensiero di Dio.

Sentiamolo: “Padre Abramo, …”. Cos’è questo abisso invalicabile che separa il mondo della vita da quello della morte? È l’abisso che il ricco ha creato e mantenuto durante tutta la sua vita; è quell’abisso che era sotto gli occhi di Gesù è sotto i nostri occhi quest’oggi. Pensiamo all’abisso che separa il ricco dal povero, le nazioni ricche dalle nazioni povere, l’abisso di chi detiene il sapere e lo impiega per il proprio interesse e chi rimane nell’ignoranza, l’abisso di chi può soddisfare tutte le proprie vanità spendendo somme enormi in chirurgie estetiche, in cosmetici di lusso, il trattamento al veleno d’ape che costa decine di migliaia di euro, mi hanno detto, e chi invece manca delle medicine indispensabili per la vita, l’abisso fra chi ha tante case e chi non ha un tetto per ripararsi, l’abisso tra chi gozzoviglia e spreca le risorse del creato in modo scandaloso e chi manca dell’acqua potabile… andate pure avanti a richiamare tutti gli abissi che sono sotto i nostri occhi.

Gesù non vuole dirci che il ricco sarà punito con le pene dell’inferno nell’aldilà, non trasformiamo in cronaca la parabola, vuole dirci che l’abisso va colmato nell’aldiquà… di là è tardi. Il destino dell’uomo si gioca tutto in quest’unica, irripetibile vita, è il comportamento di qui che ha conseguenze eterne. Nulla di male quindi che tu abbia a disposizione tanti beni, anzi questa è una grande fortuna, il guaio è se tu rimani ricco e non diventi povero consegnando tutti i tuoi beni a chi è nel bisogno, se ti rimane in mano qualcosa, questo ti viene tolto alla dogana e hai perso per sempre l’opportunità di trasformare questi beni in amore, in ciò che rimane. Sappiamo che la ricchezza ha una forza seduttiva irresistibile e ci chiediamo: ma c’è un rimedio che ci salva da questa seduzione della ricchezza? Ce lo indica Abramo nel seguito della parabola: Il ricco replicò ad Abramo: … . È commovente la preoccupazione del ricco epulone per la salvezza dei suoi fratelli, direi che nella parabola sembra addirittura più buono di Abramo che gli nega una goccia d’acqua. Chi sono questi 5 fratelli che stanno rovinandosi la vita perché impiegano i beni come ha fatto il loro fratello maggiore? Il numero 5 è simbolico, rappresenta il popolo d’Israele e anche i membri delle comunità cristiane, i quali, come tutti, sono tentati di legare il loro cuore non a Dio, ma alla ricchezza, ai beni di questo mondo e non li consegnano ai fratelli, legano il cuore a questi beni.

Come possono essere liberati da questa seduzione della ricchezza? Ci vuole un miracolo! Lo ha detto anche Gesù: “È più facile far passare un cammello dalla cruna di un ago, piuttosto che far entrare un ricco nella logica del regno di Dio”. E allora il ricco epulone ha una sua proposta e la ripete con insistenza perché è convinto che sia quella giusta, 2 volte la ripete, è questa: supplica Abramo di compiere un prodigio, cioè inviare un messaggio dall’oltretomba, facendo risuscitare un morto, una visione, un’apparizione, un qualcosa insomma, di prodigioso. Abramo lo potrebbe fare, chiedere a Dio di risuscitare un morto… perché non lo fa? Lo dice: perché non servirebbe a niente. L’attaccamento alla ricchezza è più forte della risurrezione di un morto, anche se risuscita un morto non riesce a staccare il cuore dell’uomo dall’attaccamento ai beni, ci vuole ben altro e lo dice: “l’unica forza capace di liberare il cuore del ricco dall’attaccamento ai beni, è la Parola di Dio… Mosè e i profeti”. Questa Parola ha in sé una forza divina irresistibile e quando è penetrata nel cuore dell’uomo. Questo prodigio, solo la Parola di Dio è in grado di farlo.

 
 
 

Commenti


bottom of page