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28ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

  • Immagine del redattore: don Luigi
    don Luigi
  • 10 ott
  • Tempo di lettura: 11 min

Dal Vangelo secondo Luca (17, 11-19)

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.

Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.

Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

 

Al tempo di Gesù, in Israele si riteneva che tutte le malattie fossero un castigo per i peccati. La ragione è che tutti credevano nella giustizia di Dio e, siccome soltanto una minoranza credeva in un’altra vita, dicevano che Dio faceva i conti con i malvagi in questo mondo, sotto gli occhi di tutti, inviando le malattie e la peggiore delle malattie era la lebbra, per cui il lebbroso era ritenuto l’incarnazione del peccato. La lebbra che lo ricopriva, rendeva visibile all’esterno ciò che lui era dentro e si diceva che Dio colpiva con la lebbra gli invidiosi, gli arroganti, i ladri, i responsabili di omicidi, di falsi giuramenti, di incesti. In ebraico, lebbra, si dice “tzaraahat”, che deriva dalla radice “tzara” colpire, per questo il lebbroso non suscitava compassione perché era andato a cercarsi la sua disgrazia commettendo peccati. Era una malattia incurabile, curare un lebbroso era come risuscitare un morto, perché la lebbra era la sorella della morte.

Lo storico Giuseppe Flavio, nelle “Antichità Giudaiche” dice: “I lebbrosi non differiscono dai cadaveri”; e la Torah stabiliva come dovevano comportarsi queste persone. “Il lebbroso – dice il Libro del Levitico al capitolo 13 – deve portare vesti strappate, capo scoperto, velare il volto fino al labbro superiore e, se qualcuno si avvicina, deve cominciare a gridare: Allontanati perché io sono immondo”. E difatti vivevano lontani dall’abitato, isolati da tutti, stavano nei boschi, si riparavano in grotte e, se qualche anima generosa portava loro da mangiare, lasciava il cibo ai margini del bosco e poi loro, quando questa anima buona si allontanava, si avvicinavano, prendevano il cibo ma non si potevano incontrare con nessuno e ciò che era peggio, non si sentivano rifiutati solo dagli uomini, ma anche Dio.

Come mai viene così spontaneo accostare la condizione del lebbroso a quella del peccatore? Perché tutte e due sono brutte. Basta pensare a cosa accade a chi contrae questa malattia. La lebbra, lo sappiamo che non uccide, fa perdere la sensibilità e qual è la conseguenza? Che non si distingue più ciò che ti fa bene e ciò che ti fa male, il freddo dal caldo, la carezza dalla ferita, puoi cadere nel fuoco, non t’accorgi, puoi tagliarti un dito e non te ne rendiconto… per questo la persona ne esce sfigurata da questa malattia, da questa insensibilità, diventa brutta, irriconoscibile, diviene addirittura una maschera umana. La condizione del lebbroso è una parabola di ciò che accade a chi perde la sensibilità morale, non si rende più conto di ciò che è bene e ciò che è male, delle conseguenze delle scelte che fa.

Succede quello che dice il Profeta Isaia al capitolo 5: Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene; che cambiano la tenebra in luce e la luce in tenebra; che cambiano l’amaro col dolce e il dolce con l’amaro”. Chi perde la sensibilità morale comincia a rovinarsi… la persona si deturpa, si disumanizza, diventa brutta, addirittura ripugnante come il lebbroso, il peccatore non muore ma diventa sempre più irriconoscibile, l’aspetto umano comincia a scomparire dal suo volto.

Pensiamo per esempio, la persona corrotta, violenta, criminale, il dissoluto, lo diciamo anche noi: “Che brutte persone! Hanno perso le sembianze umane”. E a volte il loro degrado morale traspare anche all’esterno, quando noi le osserviamo, percepiamo a volte, la lebbra che hanno dentro e, come i lebbrosi, cerchiamo anche noi di evitarle certe persone, non desideriamo averli come vicini di casa, c’è anche il detto fra noi “Evitare una persona come un lebbroso”. Così erano ritenuti i lebbrosi e i peccatori al tempo di Gesù, ma Lui condivideva questo approccio ai lebbrosi e ai peccatori?

Sentiamo come si è comportato quando ha incontrato i lebbrosi. Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. Appena li vide, Gesù disse loro: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. E mentre essi andavano, furono purificati.

Una breve premessa sul modo come noi ci accosteremo adesso a questo testo. Quando gli Evangelisti raccontano le guarigioni operate da Gesù, non intendono darci solo delle informazioni, vogliono fare catechesi, vogliono alimentare spiritualmente le comunità del loro tempo e le nostre. Per questo presentano gli episodi servendosi di immagini bibliche, alludendo, a volte in modo velato, altre volte in modo esplicito, a episodi dell’Antico Testamento e così i racconti di guarigione diventano sempre belle parabole di cui siamo invitati a cogliere il messaggio. Il brano di oggi è una di queste parabole e allora noi andremo al di là del fatto materiale, cioè della guarigione che Gesù ha realmente operato, e cercheremo di cogliere ciò che l’Evangelista ci vuole comunicare.

Il racconto inizia dicendo che “Gesù è entrato in un villaggio e da quel villaggio, gli sono venuti incontro dieci lebbrosi”. Come cronaca, questo dettaglio non è verosimile, i lebbrosi non potevano essere nel villaggio, dovevano stare fuori, isolati, lontani da tutti… ma come parabola, il dettaglio è molto chiaro. Gesù entra in questo villaggio e gli vengono incontro solo dei lebbrosi… pare un villaggio abitato da lebbrosi. Chi rappresentano? È la nostra umanità che Gesù incontra, un’umanità che chiede di essere purificata dalla sua Parola.

Proviamo a ripensare chi sono le persone che Gesù incontra nei Vangeli. Normalmente sono persone segnate dal dolore, dalla malattia, dal peccato, dalla fame, dalle nostre miserie… è la nostra umanità che Gesù incontra… quante brutture! Verifichiamo anche noi oggi, è inutile elencarle perché le conosciamo molto bene, malattie, guerre, violenze, ingiustizie, emarginazioni, soprusi… è o non è un’umanità lebbrosa che ha bisogno di essere curata dalla Parola del Vangelo? Il nostro egoismo ha reso lebbroso anche il creato, ha reso immondi i mari, i fiumi, l’aria che respiriamo. Ecco la necessità di uscire da questo villaggio.

Nei Vangeli, il villaggio rappresenta il mondo antico, quello segnato dal peccato, il mondo dal quale siamo invitati a uscire per incontrare il Vangelo che ci cura. Ricordiamo il gesto di Gesù che, quando incontra il sordomuto, non lo cura lì nel villaggio, lo porta fuori. Per quale ragione? Perché se lui rimane nel villaggio continuerà ad ascoltare quel che dicono tutti, il modo di giudicare, di ragionare, di valutare di tutti… che non è quello del Vangelo, non è quello di Cristo, e Gesù vuole aprirti le orecchie al nuovo messaggio e, il messaggio del Vangelo, non è quello che circola sui social-media.

Ancora, dopo aver curato il cieco di Betsaida, Gesù gli raccomanda: “Non rientrare nel villaggio”… perché il villaggio rappresenta dove tutti seguono gli stessi criteri, dove tutti hanno lo stesso modo di ragionare, la stessa norma morale e – dice Gesù a questo cieco – se tu torni nel villaggio, torni a vedere la realtà, la vita come la vedono tutti. Io invece ti ho aperto gli occhi per vedere bene le cose, dare il giusto valore alla vita.

Poi notiamo, non si parla di uno ma di 10 lebbrosi che escono da questo villaggio Il numero 10 nella Bibbia ha un valore simbolico, indica la totalità, è il numero di adulti che sono richiesti perché l’assemblea nella sinagoga, sia regolare. Il numero 10 quindi, è un nuovo richiamo al simbolismo dell’intera umanità segnata dalla lebbra del peccato. Luca vuole dirci: siamo tutti lebbrosi, nessuno è puro, tutti portiamo nella nostra pelle i segni di morte che soltanto la Parola del Vangelo può sanare. La presa di coscienza di essere tutti lebbrosi fa superare le discriminazioni.

Noi vedremo, più avanti nel racconto, che questo gruppo è composto da Galilei e da Samaritani, i quali, quando si sentono puri, si disprezzano reciprocamente, si odiano e si combattono; quando invece si rendono conto di essere tutti impuri, lebbrosi, divengono amici, solidali. Poi che cosa accade? Si sono fermati a distanza, hanno cominciato a gridare: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!” Avrebbero dovuto gridare “Allontanati perché siamo immondi”, come prescrive il Libro del Levitico, invece si rivolgono Gesù chiamandolo per nome.

Sono le prime persone nel Vangelo secondo Luca, che chiamano Gesù per nome; poi verrà il cieco di Gerico che lo chiama per nome e poi una terza persona, il malfattore sulla croce. Le uniche tre persone che lo chiamano per nome. Quand’è che noi chiamiamo per nome una persona? Quando è nostra amica. Se incontriamo il Presidente della Repubblica, non lo chiamiamo per nome, non gli diamo del tu, qui invece lo chiamano per nome e gli danno del tu.

Nel Vangelo di Luca sono le persone che si sentono dei confidenti di Gesù, non sono i buoni, i pii e i giusti… sono i lebbrosi, i malati e i peccatori che sentono di potersi rivolgere a Gesù chiamandolo per nome e dandogli del tu. E non gli chiedono la guarigione, perché sanno benissimo che la lebbra non si cura, chiedono: “Abbi compassione di noi”, cioè senti viscere di amore per la nostra condizione. Sono persone emarginate dalla società, lontani dalla famiglia, dagli affetti, pensiamo al dolore che provano queste persone da non poter ricevere una carezza, da non poter ricevere un abbraccio e poi il pensiero che nemmeno Dio li vuole accarezzare e abbracciare.

Appena li vede, Gesù dice loro: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. Notiamo, Gesù non si avvicina, non li tocca, li guarisce a distanza con la sua Parola, quella Parola che a distanza, cura le lebbre della nostra umanità, oggi. E dice Gesù: Andate, l’incontro con me vi ha già purificato. Presentatevi adesso ai sacerdoti i quali verificheranno – è il loro compito verificare – che siete guariti e quindi potete tornare in società, potete addirittura entrare nel tempio”.

Continuiamo allora a leggere il brano come parabola. Quando la nostra umanità prende coscienza delle proprie miserie e si rende conto che solo la Parola del Vangelo la può curare, per lei inizia il cammino che porta alla guarigione; se si fida della parola di Gesù, come hanno fatto quei dieci, e l’umanità intraprende il cammino che Lui ha indicato, i segni della lebbra del peccato, gradualmente, sono destinati a scomparire. E difatti, mentre loro vanno, vengono purificati, cioè quando si decidono di uscire dal villaggio, la loro lebbra comincia a scomparire; abbandonano il luogo dove la vita è guidata dallo spirito del maligno che li rende lebbrosi e questo spirito del maligno è l’egoismo, il pensare a sé stessi… è questo che ci fa diventare lebbrosi.

Arriviamo adesso all’ultima parte del brano, quella del ritorno da Gesù di uno soltanto.

Sentiamo cos’è accaduto: Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. E gli disse: “Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”.

Siamo giunti al punto un po’ più difficile del racconto. Come si spiega la reazione amareggiata di Gesù di fronte al fatto che uno solo dei dieci è tornato indietro? Lui osserva: “Ma non sono stati purificati dieci? Gli altri nove dove sono?” Qualcuno attribuisce l’amarezza di Gesù alla mancanza di gratitudine degli altri 9, ma una reazione del genere ci sorprenderebbe in Gesù, perché non è bello sentire una persona che si lamenta per non essere stata ringraziata… ce l’ha insegnato Lui che l’amore è gratuito, chi ama è contento quando vede la persona beneficata che è felice. “La tua destra non sappia ciò che fa la tua sinistra; fai il bene senza aspettarti nulla in cambio” ci ha detto Gesù.

Del resto, se vogliamo ricostruire i fatti con un minimo di logica, le cose sono andate così: gli altri 9 sono gli unici che hanno obbedito realmente all’ordine dato da Gesù, sono andati dei sacerdoti, questi hanno verificato che erano puri e loro sono tornati dalle loro famiglie e poi, certamente, sono tornati da Gesù con le mogli e con i figli per ringraziarlo. Cos’è allora che ha amareggiato Gesù? Non il fatto che non siano tornati subito a ringraziarlo, Lui non parla di ringraziamenti, questo lo abbiamo inventato noi, ma si lamenta che “non si sia trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio”. È rattristato perché non si sono resi conto subito tutti, che attraverso la sua Parola purificante dell’umanità, si era rivelata la gloria di Dio. Cos’è questa gloria di Dio? Forse noi pensiamo che Dio manifesta la sua gloria quando dispiega la sua forza, divide il Mar Rosso in due parti, sconfigge i nemici… Dio rivela la sua gloria quando riesce a mostrare la bellezza del Suo volto che è amore, che è tenerezza per l’umanità e allora Gesù si chiede: “Ma come mai ha colto questa gloria solo un samaritano? Gli altri 9 come hanno fatto a non rendersi conto di questa rivelazione?”.

Si rattrista perché, l’unico sensibile alla manifestazione della gloria di Dio, sia stato uno straniero, – alogenesse in greco, che significa “di un’altra razza” – avrebbero dovuto capirlo per primi i giudei perché erano stati educati dai profeti, invece è arrivato prima l’eretico, lo straniero… accogliere l’amore di Dio per l’umanità lebbrosa. Forse rimaniamo stupiti dall’insensibilità spirituale degli altri 9, non dalla gratitudine che è normale fra gli uomini, ma una sensibilità spirituale che sa cogliere la gloria, l’amore di Dio. Ma, stiamo attenti… proviamo anche noi a fare una verifica per vedere se la nostra sensibilità spirituale è superiore a quella di questi 9; proviamo a pensare, magari in un momento di riflessione, di silenzio, di preghiera, se ci rendiamo davvero conto quanto, nella nostra vita, sia stato importante il Vangelo che ci ha purificato, che ha reso bella la nostra vita.

Per esempio, forse se ripensi alla tua vita, puoi dire con gioia: “Fin qui la mia vita è stata davvero bella”? Non intendo dire bella perché te la sei potuta godere, ma bella nel senso vero, perché l’hai vissuta bene, sei felice di ciò che hai fatto, di ciò che hai realizzato, dell’attenzione che hai avuto per chiunque avesse bisogno di te, forse qualcuno ti ha detto: “Ma come fai ad avere sempre tempo, disponibilità per tutti?” Se è questo il giudizio che tu puoi dare della tua vita, ti sei reso conto che è stata la Luce del Vangelo a guidarti fin da piccolo, a farti diventare una persona bella e ti ha almeno passato per la mente di dare gloria a Dio per la fortuna che hai avuto incontrando Cristo e il suo Vangelo, che ti ha reso bello. Forse qualcuno ci ha detto: “Che bella la vostra famiglia! Che bello il vostro rapporto di coppia, malgrado tutte le difficoltà che avete dovuto affrontare siete riusciti a volervi sempre bene”.

Abbiamo mai dato gloria a Dio perché è stato il Vangelo che ci ha fatto comprendere il valore della fedeltà coniugale, dell’amore incondizionato, del perdono, della riconciliazione? Abbiamo colto la gloria di Dio che è passata attraverso la parola di Cristo, il suo Vangelo? Ci lamentiamo tanto della nostra società, di tanta lebbra che vediamo attorno a noi, corruzione, edonismo, violenze, perdita di valore… è innegabile il male, ma c’è anche un oceano di bene e di amore.

Ci siamo resi conto di quanto il Vangelo abbia cambiato il mondo e di come oggi, la Parola di Cristo continui a creare un mondo nuovo, richiamando il valore della vita, dal concepimento fino al suo spegnersi naturale, il valore della famiglia, della giustizia, della condivisione dei beni, dell’attenzione al povero… abbiamo mai dato gloria a Dio per questo? Questa purificazione che Dio ha realizzato attraverso la Parola di Cristo. Noi cristiani dovremmo essere i primi a renderci conto che è l’annuncio del Vangelo che ha cambiato e sta cambiando il mondo, che rende bella la nostra società, ma ci crediamo realmente a questo?

Fino a quando non cantiamo la nostra lode a Dio per questi doni, non abbiamo colto la gloria, il suo amore, e Gesù dice a questo samaritano: “Alzati, la tua Fede ti ha salvato!” La fede è l’adesione che lui ha dato a quella Parola che è capace di purificarti. Nei Vangeli troviamo spesso questa esclamazione di Gesù “La tua fede ti ha salvato”; sta dicendo a noi oggi, se tu ti fidi della mia Parola e segui la strada che io ti indico, lungo questo cammino tu vedrai tutto ciò che ti rende brutto che viene cancellato, purificato dal Vangelo.

 

 
 
 

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