29ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
- don Luigi

- 17 ott
- Tempo di lettura: 11 min
Dal Vangelo secondo Luca (18, 1-8)
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Nella nostra vita, a volte tutto corre bene, sono sereni i rapporti famigliari, amichevoli quelli con i vicini, con i colleghi di lavoro… ma ci sono momenti in cui versiamo anche tante lacrime. Accade quando ci troviamo di fronte a malvagità, a tradimenti, a menzogne, a ingiustizie e ci chiediamo: come comportarci in questi momenti? Dove attingere la forza per viverli alla luce del Vangelo e non lasciarci guidare da ciò che la pulsione immediatamente ci suggerirebbe? E non piangiamo soltanto quando siamo toccati personalmente dall’ingiustizia, ma siamo sensibili anche al dolore del fratello che è conculcato nei suoi diritti e allora ci indigniamo quando assistiamo allo sfruttamento del povero, all’oppressione del debole e dell’indifeso.
L’ indignazione è un segno di amore, vuol dire che siamo interessati alla giustizia. E anche Gesù si indignava. Anche Dio, ci ricorda la Bibbia, molte volte si adira, si tratta naturalmente di un antropomorfismo, ma la sua ira ci dice che non è indifferente a ciò che accade ai suoi figli; è segno che è passionalmente coinvolto nel suo amore per noi. Qual è il pericolo che corriamo in questi momenti di sconforto? Quello di perdere il controllo della nostra indignazione. Mentre Dio e Gesù trasformano l’ira e l’indignazione in interventi di amore, noi facilmente diventiamo aggressivi e allora, invece di curare il male, ne aggiungiamo dell’altro. Che fare per gestire bene la nostra indignazione?
Gesù ci dà un suggerimento, sentiamolo: In quel tempo Gesù raccontò loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, per non incattivirsi. Il verbo greco infatti, che viene impiegato è “enkakeō” che significa incattivirsi. Potremmo parafrasarlo così: “Se di fronte all’ingiustizia tu smetti di pregare, tu ti incattivisci e finisci per comportarti male”. La parabola, infatti, come vedremo, ci presenta una situazione di ingiustizia, non parla poi della preghiera, non lasciamoci quindi fuorviare, perché il tema centrale del brano di oggi è la richiesta di giustizia. Questo termine infatti, lo ascolteremo ben 4 volte.
La preghiera è introdotta come terapia indispensabile per non incattivirsi di fronte all’ingiustizia, soprattutto quando ci si sente impotenti e si è costretti a sopportare senza poter reagire, se non facendo del male a colui che ci fa del male. La parabola che ascolteremo è riportata soltanto da Luca… come mai questo evangelista è interessato più degli altri a conservarcela? C’è un motivo… lui vive in Asia Minore tra comunità cristiane che stanno attraversando un momento molto difficile. La situazione la troviamo presentata molto nitidamente nel Libro dell’Apocalisse, dove si dice che i cristiani non rendevano culto alla statua della bestia; la bestia era l’imperatore Domiziano.
Pensate… l’autore dell‘Apocalisse chiama “bestia” il potente di turno, il dominatore del mondo. E siccome non offrivano culto alla statua della bestia, i cristiani dovevano sopportare soprusi, non potevano reclamare i loro diritti, erano discriminati sul lavoro, se volevano aprire un’attività economica non ricevevano la licenza. La comunità di Roma ha ricevuto notizie che i fratelli di fede dell’Asia Minore stavano soffrendo e la comunità di Roma scrive, in nome di Pietro, la bellissima lettera, commovente dove si dice: “Carissimi, non meravigliatevi della persecuzione che come un incendio, è scoppiata in mezzo a voi. È normale che i cristiani soffrano persecuzione, ma nella misura in cui soffrite per Cristo, dovete gloriarvene. Attenti però che nessuno di voi debba soffrire come omicida, ladro, malfattore o delatore, ma se soffrite per Cristo non arrossite, gloriatevene”.
Qual è il pericolo che corrono questi cristiani dell’Asia Minore? Questo… se non pregano rischiano di incattivirsi, di cedere alla tentazione di reagire facendo del male a coloro che li perseguitano, di reagire al male col male, all’ingiuria con l’ingiuria e rischiano forse addirittura di prendersela con Dio, di incolparlo perché lascia correre invece di intervenire e fare giustizia; e alcuni, anzi tanti, a un certo punto, addirittura abbandoneranno la fede e torneranno alla vita pagana.
È in questo contesto che Luca sente che le sue comunità hanno bisogno di essere illuminate, deve dire loro “Pregate e pregate sempre!” È una raccomandazione questa, che ricorre più volte nel Nuovo Testamento, per esempio, al capitolo 5 della Prima Lettera ai Tessalonicesi si dice: “Non rendete mai a nessuno male per male” e subito dopo dice: “Pregate intensamente, ininterrottamente…è l’arma con cui difendersi dal pericolo di comportarsi male. Prega.” Anche nella Lettera ai Romani, al capitolo 12, Paolo scrive: “Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Siete tribolati? Bene, è il momento di pregare”.
Sentiamo adesso la parabola: “In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi””.
Il primo personaggio che Gesù mette in scena nella parabola è un giudice, il cui compito dovrebbe essere quello di proteggere i deboli, gli indifesi. Tutti i sovrani dell’antico Oriente si facevano un punto d’onore di presentarsi come difensori dei più deboli della società… gli orfani, le vedove; i faraoni d’Egitto, quando all’inizio del loro regno facevano i loro proclami, non mancavano mai di promettere che avrebbero difeso gli orfani, le vedove, i poveri. L’inizio del celeberrimo Codice di Hammurabi, il grande sovrano si presenta dicendo: “Io, Hammurabi, sono stato chiamato per nome dagli dèi per fare giustizia nel paese, per annientare il cattivo e il malvagio, perché il forte non opprima il debole”.
Ricordiamo anche in Israele, Salmo 72, la presentazione del sovrano ideale dice: “Ai poveri renderà giustizia, salverà i figli del misero, abbatterà l’oppressore, nei suoi giorni fiorirà la giustizia e abbonderà la pace finché non si spenga la luna”. Il giudice della parabola è un senza Dio, iniquo, uno che ha ben altri interessi di quelli di amministrare la giustizia, di prendersi cura dei deboli e la descrizione che Gesù fa di questo personaggio è così realistica da far pensare che faccia riferimento a un caso concreto che gli è stato riferito, oppure di cui Lui stesso è stato testimone. Che cosa accadeva in Israele, al di là di tutti i proclami e di tutti gli ideali? Ci viene descritta la situazione dai profeti, VIII sec. a.C. quando Isaia inizia la sua missione, al capitolo primo del suo libro descrive qual è la società in cui lui si viene a trovare: “I capi sono delinquenti, complici di ladri, tutti non fanno altro che bramare regali, ricercano solo bustarelle, non rendono giustizia all’orfano, la causa della vedova a loro proprio non interessa”.
Più avanti, sempre il profeta Isaia, al capitolo 10: “I giudici fanno decreti iniqui, negano la giustizia ai miseri, frodano il diritto dei poveri, fanno delle vedove la loro preda e defraudano gli orfani”. È chiaro, nei passaggi di proprietà, quando c’erano delle eredità da dividere, se ne approfittavano delle vedove e della fragilità degli orfani. Questo era ciò che accadeva. Chi è questo giudice? Chi rappresenta? È chiaro – tutti noi capiamo – sta parlando di Dio, un giudice che dovrebbe intervenire… ma per capire bene chi è questo giudice, dobbiamo prima identificare chi è la vedova.
In quella città c’era anche una vedova e le vedove, lo sappiamo, insieme con gli orfani e gli stranieri, costituiva la categoria di coloro che non avevano possibilità di far valere i loro diritti, erano privi di protezione: gli orfani non avevano i genitori, la vedova non aveva il marito, gli stranieri non avevano le ambasciate… chi li proteggeva queste persone più deboli? Non i giudici. Il Salmo 68 dice: “Padre degli orfani, difensore delle vedove è Dio”. Gesù… la situazione al suo tempo qual era? Ce lo dice Lui stesso: “Guardatevi dagli scribi i quali amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere i saluti nelle piazze, i primi seggi nelle sinagoghe e divorano le case delle vedove”.
Cosa doveva essere accaduto alla vedova della parabola? Forse era stata ingannata in un trapasso di eredità? Forse era stata vittima di qualche raggiro? Qualcuno l’aveva fatta lavorare poi non l’aveva pagata? Non lo sappiamo, ma certamente aveva subito ingiustizia e nessuno le dava retta. Chi è questo personaggio? È molto importante identificarlo perché, Gesù, sta invitando le sue comunità a capire chi è quella vedova che chiede giustizia. Le vedove, al tempo di Gesù, non andavano dai giudici, erano gli uomini che andavano dei giudici. La vedova non aveva il marito… certo non aveva il marito, ma è impossibile che non avesse un fratello, un cugino, un amico… non potevano andare dal giudice le donne, andavano sempre gli uomini.
Come mai Gesù parla di una vedova che grida giustizia al giudice? Chi è questa vedova? Sfogliamo la Bibbia e capiamo a chi sta facendo riferimento Gesù e poi Luca nel suo Vangelo. Se noi sfogliamo la Bibbia capiamo subito chi è la vedova… quando Israele è oppresso, umiliato, subisce torti, ingiustizie, non può reagire, è chiamato “Vedova Israele”. Non ha uno sposo che la difende, è come le vedove: oppresso, umiliato. L’inizio del Libro delle Lamentazioni dice: “È divenuta come una vedova colei che era la grande fra le nazioni” … è Gerusalemme, è una vedova.
Adesso risulta chiaro a chi si sta facendo riferimento nella parabola e a chi vuole che le comunità di Luca facciano riferimento… “La vedova non è più Israele adesso – dice Luca – siete voi, sono le nostre comunità questa vedova indifesa che grida e chiede giustizia al giudice”. Il giudice è chiaramente Dio, cerchiamo di identificarlo bene però questo giudice. La parabola continua con un soliloquio di questo magistrato, il quale dice: “A un certo punto devo pur risolvere questo caso, non perché mi sono reso conto che il mio comportamento è scorretto, ma solo perché sono stanco e infastidito dall’insistenza di questa vedova”.
È bello il verbo greco che viene impiegato, “hypōpiazō”, che significa mi colpisce sotto, mi dà dei colpi bassi, mi condiziona, mi logora, mi tiene in mano, danneggia la mia reputazione… “è solo per questo che io devo risolvere questo caso”. A chi sta gridando questa vedova? Chi sono le comunità cristiane del tempo di Luca, e i lettori del Vangelo lo capiscono molto bene? È quel Dio che non si muove, pare che non faccia nulla, pare che rimanga impassibile e non si interessi di queste comunità, e allora il pericolo che corrono è quello di incattivirsi. Chi è questo Dio, a cui ricorrono queste comunità? Non è il vero Dio. Il Dio al quale loro si rivolgono, è il Dio che dovrebbe intervenire per fare giustizia attraverso miracoli, attraverso prodigi, altrimenti che cosa ci sta a fare se non interviene come noi ci aspettiamo? Il problema è che questo Dio non esiste, ce lo siamo creati noi e crediamo ancora in questo Dio, difatti quando ci troviamo in queste situazioni e noi invochiamo Dio, pretenderemo che Lui intervenisse. No, non può intervenire con dei prodigi, ma bisogna continuare a pregare, cioè a rimanere in sintonia con i suoi pensieri, senza aspettarci degli interventi prodigiosi che non accadranno.
Se lo aspettavano anche le comunità del tempo di Luca, un intervento di Dio che facesse giustizia a modo suo… no, non interviene nella nostra storia come noi vorremmo, interviene come Lui fa, ma l’importante è essere pronti a cogliere i suoi disegni e quando si presenta l’opportunità di collaborare alla nascita di un mondo nuovo, allora si è pronti a fare ciò che Lui si aspetta da noi. Che cosa accade allora quando si prega? E Luca sta raccomandando alle sue comunità: “Non incattivitevi, non aspettatevi prodigi dal Dio che avete in mente, ma continuate a pregare per non incattivirvi e sbagliare nei vostri comportamenti”. Chi prega, rimane in contatto costante con i pensieri, i sentimenti, i progetti di Dio e allora vede le cose come le vede Lui; la preghiera mantiene attenti a cogliere il momento in cui si creano poi le condizioni che permettono di cambiare le cose.
Ricordiamo il famoso capitolo 5 del Libro dell’Apocalisse, quando il veggente scoppia a piangere perché vede l’ingiustizia e non comprende che senso abbia e perché Dio non intervenga. Questo veggente dell’Apocalisse viene invitato a salire lassù e a guardare da là le cose, allora le vede come le vede Dio. Questo è ciò che fa la preghiera, ci porta in alto e ci fa vedere la situazione dolorosa che noi stiamo vivendo come la vede Lui e che senso abbia; se non si prega, noi non capiamo più niente e gestiamo le cose secondo le nostre pulsioni e finiamo fuori strada, ci facciamo del male e facciamo del male. Ecco la preghiera come terapia per non sbagliare in queste situazioni. Se non si persiste nella preghiera, oltre a incattivirsi, si corre un grosso rischio.
Sentiamo quale, ce lo dice adesso Gesù: E il Signore soggiunse: “Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Anche se li fa aspettare a lungo. Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. È il Signore adesso che prende la parola e, quando nel Vangelo di Luca si dice il Signore, si intende il Risorto. Luca sta dicendo alle sue comunità che subiscono persecuzione e a noi oggi, quando ci troviamo in situazioni in cui subiamo ingiustizia: “Ascoltate cosa dice a voi il Risorto: Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di Lui?”
Che bella questa espressione che viene impiegata per rivolgersi a noi oggi e ai cristiani delle comunità di Luca… siamo i suoi eletti, cioè coloro che si sono lasciati coinvolgere dalla proposta del Vangelo e quindi non possono più reagire come farebbero i pagani di fronte all’ingiustizia. Ed ecco la risposta: “Sì, vi dico, Egli farà loro giustizia e molto presto”. Forse, la traduzione migliore dell’espressione greca “entakei”, potrebbe essere con celerità, o meglio ancora, farà giustizia improvvisamente, quando meno te l’aspetti, nel modo in cui forse tu non prevedevi, ma Lui farà giustizia. Tu la vorresti, la giustizia fatta da Lui, in un certo modo. Lui la farà certamente in modo improvviso, quando non te l’aspetti. Ecco la ragione per cui devi mantenerti sempre in preghiera, cioè in dialogo con Lui, nell’ascolto della sua Parola, perché la preghiera ti mantiene nella disposizione giusta per cogliere il momento in cui Dio ti mette davanti l’opportunità di dare inizio a un mondo nuovo.
E poi “li farà aspettare a lungo”. Si potrebbe tradurre così: “anche se li fa aspettare a lungo”. Metti in conto che potrebbe durare a lungo questa attesa ma Lui farà giustizia, fidati di ciò che ti dice il Risorto. Lo scoraggiamento e la sfiducia di fronte alla lunga attesa al tardare della manifestazione del regno di Dio, possono insinuarsi anche nei credenti, ed è questo il pericolo “perdere la speranza”, lasciare cadere le braccia e quindi tornare alla vita pagana dicendo: “Era un bel sogno, quello di Gesù”.
No, fidati! L’unico antidoto contro la mancanza di speranza è la preghiera, mantieniti unito al pensiero di Dio. L’ultima frase del Risorto: “Il figlio dell’uomo quando verrà, troverà la fede sulla terra?” Qualcuno l’ha interpretata dicendo: “Chissà se alla fine ci sarà ancora qualche credente sulla terra?”. Non è questo il senso di ciò che dice Gesù alla conclusione dalla parabola, sta dicendo: “Dio interverrà certamente per fare giustizia, ma quando Lui verrà, sarai rimasto preparato mantenendoti unito a Lui nella preghiera? Perché può darsi che Lui arrivi e ti trovi impreparato.



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