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2ª DOMENICA DI PASQUA

  • Immagine del redattore: don Luigi
    don Luigi
  • 25 apr
  • Tempo di lettura: 14 min

Dal Vangelo secondo Giovanni 20,19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

Il brano evangelico della scorsa settimana, quello del giorno di Pasqua, ci ha presentato 3 persone innamorate di Cristo che all’alba sono corse al sepolcro: la Maddalena, Pietro e il discepolo amato. Il brano di oggi ci racconta la manifestazione del Risorto ai discepoli, la sera dello stesso giorno e inizia dicendo dove si trovavano: “Erano chiusi in casa con le porte sbarrate perché avevano paura dei giudei”. Notiamo, non si dice che erano gli apostoli o i 10, 10 perché Giuda se ne era andato, ma manca Tommaso; la sera del giorno di Pasqua, mentre tutti sono sbarrati dentro casa, Tommaso è fuori. Comincia ad esserci simpatico perché lui non ha paura di stare fuori. Se parla di discepoli significa che non si rivolge solo ai 10 che erano nel cenacolo, ma si rivolge a tutti i discepoli, quindi l’esperienza che adesso ci racconta, è quella che devono fare tutti discepoli. “Hanno paura dei giudei”.

Nel Vangelo secondo Giovanni, i giudei non sono tutto il popolo d’Israele, no, sono l’immagine degli increduli, di coloro che si oppongono alla proposta di mondo nuovo fatta da Gesù, sono coloro che si sentono infastiditi dalla sua luce e preferiscono la tenebra del mondo antico. Questa prima comunità è spaventata ed è l’immagine della Chiesa quando ha paura di chi non accetta la proposta di uomo che lei fa, proposta di mondo nuovo, di nuova società, è la Chiesa che teme il confronto con chi la pensa e vive in un modo diverso, si rinchiude, si arrocca, vede il male un po’ ovunque, anche dove non c’è, e si isola perché teme di non saper rispondere agli interrogativi che il mondo le pone. Pensa di non saper dare le ragioni delle proprie scelte, ha paura, si rinchiude su sé stessa e la paura è sempre un pessimo consigliere per la Chiesa perché può renderla aggressiva, intollerante, fanatica come è successo nella storia, smette di dialogare, smette di proporre le proprie convinzioni, ma se può tenta di imporle. Ecco, quando noi ripensiamo alla storia della Chiesa, ricordiamo alcune paure, la paura della scienza, quando la Chiesa è arroccata contro il razionalismo, le scoperte di Galileo, le teorie evoluzionistiche; oppure la paura della democrazia, la paura della libertà di coscienza, diciamo anche la paura degli studi biblici, delle interpretazioni nuove che erano dettate dalle nuove scoperte storiche, archeologiche … c’è voluto un concilio per spazzar via queste paure.

Anche oggi le paure non mancano perché la Chiesa si deve confrontare con la società che ben conosciamo, che è sempre meno propensa ad accogliere le proposte impegnative del Vangelo, la rinuncia, il sacrificio, progetti di vita impegnativi sono un po’ fuori moda; si preferisce fare scelte meno coinvolgenti, si va a convivere fino a quando piace, farsi una famiglia stabile, impegnarsi in una unione d’amore fedele, incondizionato, pare un po’ una proposta d’altri tempi. Si preferisce una vita che potremmo chiamare consumistica cioè, mi prendo i piaceri che posso godermi nell’immediato, è bene ciò che mi piace. Ecco, di fronte a questa società, a questo mondo, i discepoli possono essere tentati di arroccarsi, di stare lontani per paura del confronto, di essere ritenuti magari retrogradi, gente che non sta al passo con i tempi e rinunciare a quello che Gesù ha detto “dovete essere sale della terra, luce del mondo”, ci dovete stare nel mondo.  Ecco, chiediamoci come mai i discepoli, la sera di Pasqua, hanno paura? La ragione è che non avevano ancora fatto l’esperienza dell’incontro con il Risorto e anche tutte le nostre paure hanno sempre la stessa origine, manca la luce del Risorto che deve illuminare ogni momento, ogni scelta della nostra vita. Credo che, anche fra di noi, sono più gli ammiratori di Gesù di Nazareth e delle sue proposte morali, più che coloro che realmente hanno visto il Risorto.

Cosa smuove i discepoli a Gerusalemme, nella sera di Pasqua, dalle loro paure? “Viene Gesù e sta in mezzo a loro” Sono importanti questi verbi che vengono impiegati dall’evangelista Giovanni, dobbiamo notarlo, non dice che Gesù appare, si fa vedere e poi scompare, no! È una presenza adesso, che rimane in mezzo alla comunità dei discepoli, è l’evento che cambia tutto in questa prima comunità di discepoli, la presenza in mezzo a loro del Risorto e cambia tutto nella Chiesa di oggi quando si prende coscienza che nella comunità cristiana, il Risorto continua presente. L’evangelista Giovanni impiega un verbo per dire che hanno fatto questa esperienza dell’incontro con il Risorto “l’hanno visto”, o meglio “si è fatto vedere” e viene impiegato il verbo “orao”.  L’evangelista Giovanni impiega il verbo “vedere” per dirci l’esperienza che loro hanno fatto, hanno visto ciò che con gli occhi materiali non può essere verificato, vedono l’invisibile, vedono il Risorto. Questo sguardo è lo sguardo della fede, lo sguardo dell’amore, lo sguardo che permette di contemplare ciò che è reale, ma che gli occhi materiali non possono verificare. L’evangelista dice che nel giorno di Pasqua, i discepoli si sono resi conto di una nuova presenza, un nuovo modo di essere presente di Gesù in mezzo a loro; una presenza che supera tutti i limiti che appartengono nostro mondo, quelli dello spazio e del tempo, ed è una presenza che è attuale oggi. Se non prendiamo coscienza della presenza del Risorto in mezzo noi, emergeranno tutte quelle paure cui abbiamo accennato e che la storia della Chiesa ci dice sono state vissute.

Sentiamo adesso cosa vedono questi discepoli che sono tenuti insieme, più che dalla fede in Cristo, dalla paura: La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano sbarrate le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in piedi in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”.

Quando si manifesta al gruppo dei discepoli riuniti nella sera di Pasqua, il Risorto dice loro “Pace a voi” e poi mostra le sue mani e il costato. Non si tratta di un gesto apologetico, quasi che Gesù volesse dimostrare la propria corporeità risorta, dobbiamo cancellare questa immagine che noi vediamo nei dipinti occidentali, Gesù che esce dal sepolcro, è ancora quello di prima con il suo corpo e torna in mezzo a noi, no! La risurrezione non è questo, la risurrezione non è tornare qui, ma è entrare nel mondo di Dio, il mondo definitivo, il mondo in cui entreremo tutti noi. Non si riconosce una persona dalle mani e dal costato, la si riconosce dal volto, invece Gesù mostra la propria identità nelle mani e nel costato, quindi quelle mani le dobbiamo contemplare bene perché sono la rivelazione delle mani di Dio. Nell’Antico Testamento si parla delle mani di Dio, ma la rivelazione del volto di Dio e anche delle sue mani è progressiva, la rivelazione piena delle mani di Dio noi la troviamo nelle mani di Gesù di Nazareth. Cosa significano le mani? Le mani indicano le azioni, le opere che uno compie. Noi, guardando le mani di Gesù, perché Lui mostra la propria identità proprio in queste opere che Lui compie con le sue mani.

Nell’Antico Testamento, in genere quando si parla delle mani di Dio è in un’accezione positiva, Dio che fa del bene con le sue mani, ma ci sono anche dei momenti in cui si parla delle mani che castigano, quando Dio stende le mani sull’Egitto e arrivano le piaghe; poi anche la minaccia di uno dei fratelli Maccabei quando dice al sovrano “tu non sfuggirai alle mani di Dio”, è una minaccia; anche nella Lettera agli Ebrei abbiamo quell’espressione che riflette però il linguaggio delle omelie rabbiniche “spaventoso è cadere nelle mani del Dio vivente”. Vediamo invece la rivelazione piena delle opere compiute da Dio attraverso le mani di Gesù, “le folle si meravigliano dei prodigi compiuti dalle mani di Gesù”. Guarisce, quando incontra il lebbroso Gesù stende la mano e lo accarezza; oppure la scena dolcissima di Gesù che prende i bambini fra le sue braccia e li accarezza con le sue mani, impone loro le mani; oppure ancora le mani di Gesù che lavano i piedi dei discepoli. Ecco, queste mani hanno fatto la proposta di mondo nuovo, quello del servizio, del dono d’amore, ma queste mani sono state inchiodate, bloccate da chi voleva perpetuare l’opera antica delle mani. Qual era? Quali erano le opere delle mani del mondo antico, quello della tenebra? Erano le mani che distruggevano, che aggredivano, che facevano guerre, commettevano violenze … mani che non donavano, prendevano, si accaparravano egoisticamente. Ecco, questo mondo antico ha pensato di bloccare questo mondo nuovo fatto di servizio, fatto di opere di amore, inchiodandole sulla croce … Gesù presenta queste mani come la sua identità.

E poi, oltre alle mani, mostra il costato. Da quel costato è uscito sangue e acqua. Il sangue indica vita nella cultura semitica, è la sua vita donata totalmente per amore; l’acqua è la vita nuova, quella dello Spirito, è il DNA divino che ci è stato donato. Mani e costato quindi, sono la carta di identità del figlio di Dio, e non solo di Gesù, devono essere la carta d’identità di ogni figlio di Dio, perché avendo ricevuto lo Spirito di Cristo, la vita dell’Eterno che Gesù ha portato nel mondo, ecco allora, che anche in noi la carta d’identità è questo tipo di mani, mani che agiscono soltanto per amore.

E i discepoli, quando hanno visto questa identità del Risorto, gioirono al vedere il Signore”. Questa gioia nasce dall’armonia con la propria identità di uomo che vive secondo il disegno di Dio. La tristezza infatti, nasce dal pensare che il dono della vita che si è visto realizzare in Gesù, fosse un fallimento. La gioia nasce dalla scoperta che l’amore che è stato vissuto non viene cancellato, ogni opera di amore rimane. Poi il Risorto dice: “Come il Padre ha mandato me, anch’io invio voi”. Abbiamo visto questi discepoli che per paura sono rinchiusi in casa, adesso il Risorto li invita a uscire, a non avere paura, li manda nel mondo. Invia i discepoli a mostrare al mondo le loro mani che devono essere come le sue, invia i discepoli a fare al mondo una proposta di mani diverse, mani che si impegnano per la vita, non per la morte, mani che non commettono violenza ma che costruiscono un mondo di pace. La Chiesa esiste per rendere presenti e visibili le mani del Signore, per realizzare le sue opere, per portare a compimento quel mondo nuovo cui Lui ha dato inizio. Ecco, il mondo è in diritto di vedere nelle nostre opere, nell’opera delle nostre mani, l’opera delle mani di Gesù.

E poi, come mai Gesù compiva queste opere? Perché si muovevano così le sue mani? Solo per l’amore, perché era mosso dallo Spirito. Questo Spirito, nel giorno di Pasqua, Lui lo ha comunicato alla comunità dei suoi discepoli. Il verbo che viene impiegato dall’evangelista Giovanni è “ha soffiato dentro di loro”. È un verbo rarissimo, ricorre nell’Antico Testamento soltanto due volte, una è quando è stato creato l’uomo, “Dio ha soffiato dentro il Suo alito”; poi ricorre un’altra volta, nel Libro di Ezechiele, quando questo alito dà vita a quelle ossa aride che sono sparse nella pianura; nel Nuovo Testamento soltanto qui ricorre questo verbo. Allora comprendiamo il significato che l’evangelista vuole dare a questo soffio del Risorto … è l’uomo nuovo che viene creato dal dono dello Spirito di questa figliolanza divina.

E continua: “a coloro che rimetterete i peccati saranno rimessi; a coloro che li ritenete, saranno ritenuti” Il Concilio di Trento ha detto che Gesù ha istituito il Sacramento della penitenza. Certamente, il Sacramento della riconciliazione è un dono prezioso che ci è stato fatto per ricuperare la vita che è stata cancellata o incrinata dal peccato, ma le parole di Gesù hanno un significato più profondo, perdonare il peccato vuol dire: portare via, significa far scomparire il mondo ingiusto, quel mondo in cui si usano le mani per far del male all’uomo. Ecco, questo è il mondo del peccato, i discepoli adesso hanno ricevuto lo Spirito e devono cancellare, portar via, spazzar via il peccato, il mondo vecchio. Gesù sta dando una enorme responsabilità alla sua comunità, se il peccato non viene spazzato via, la responsabilità è proprio dei discepoli che non si lasciano guidare dallo Spirito che il Risorto ha donato loro nella Pasqua.

Questa è stata la manifestazione del Signore ai discepoli riuniti nella sera di Pasqua, mancava Tommaso; otto giorni dopo, quindi nel giorno del Signore, la domenica, quando la comunità si riunisce, c’è anche lui. Nel Vangelo secondo Giovanni i personaggi sono reali, Pietro, Giovanni, Andrea, Nicodemo … però questi personaggi divengono anche simbolo di un modo diverso di rapportarsi con il Maestro. Tommaso è stato scelto come il rappresentante della difficoltà ad accogliere il Risorto, colui che cerca prove razionali, verificabili della risurrezione. Tutti gli evangelisti ci dicono che i discepoli non sono arrivati subito alla fede nel Risorto, hanno fatto fatica, hanno avuto tanti dubbi. Non soltanto Tommaso ha dubitato e ha fatto fatica a credere nel Risorto, ma tutti hanno avuto dei dubbi, degli interrogativi. Quando Giovanni scrive, verso il 95 – 90, Tommaso è già morto da tempo, come mai prende questa figura? Forse perché ha fatto più fatica degli altri, ma diventa il simbolo di tutta questa difficoltà che hanno provato i discepoli e che proviamo anche noi. Hanno fatto fatica a credere, si sono chiesti – come ci chiediamo noi – quali sono le ragioni che ci possono indurre a credere, a vedere il Risorto? Per noi oggi è ancora possibile fare questa esperienza? Ci sono delle prove che è vivo? Sono le domande che noi oggi ci poniamo e Giovanni sceglie Tommaso come simbolo della difficoltà che ogni discepolo incontra.

Quando viene presentato, l’evangelista aggiunge sempre il suo soprannome “Didimo” che significa gemello. È già la terza volta che compare nel Vangelo secondo Giovanni e compare sempre come gemello, gemello di qualcuno, ci insiste troppo l’evangelista … gemello di ogni discepolo. E allora vogliamo capire come mai siamo gemelli di questo Tommaso che ha difficoltà ad accettare il Risorto. Siamo gemelli suoi perché gli assomigliamo, ma Tommaso si è allontanato dalla comunità dei discepoli, ma non è gemello di chi abbandona la Chiesa e se ne va disprezzando gli altri perché si sente lui il vero discepolo, si sente superiore. Ecco, Tommaso non è gemello di chi, magari scandalizzato di ciò che accade nella comunità cristiana, abbraccia l’ateismo, oppure sceglie un’altra religione. Tommaso non ha mollato tutto per andare per la sua strada, ha mantenuto un legame con chi ha condiviso con lui la scelta di seguire il Maestro, difatti, otto giorni dopo lo ritroviamo di nuovo con la comunità. È gemello di chi soffre, di chi è amareggiato in certi momenti dell’esperienza ecclesiale e si allontana per un momento da questa comunità, magari perché non capisce certe scelte, è gemello di chi ha creduto nel mondo nuovo, di chi ha dato l’anima per la proposta di Cristo … pensiamo a quei catechisti che per vent’anni si sono impegnati nell’annuncio del Vangelo, hanno dedicato tempo e energie e hanno un momento di scoraggiamento.

Qualche esempio… qualcuno anche oggi si allontana dalla Chiesa a causa degli scandali che emergono fra i discepoli e che hanno conseguenze devastanti; oppure chi è deluso da una struttura ecclesiale monolitica, centralizzata, paludata, dove si compete ancora per salire nel potere, la Chiesa che si presenta ancora con un certo sfarzo, con la ricchezza; oppure chi è deluso da una chiesa ancora medioevale o costantiniana, clericale, trionfalista, poco evangelica … Se si allontana, se ne va disprezzando questa Chiesa con i suoi limiti, non è gemello di Tommaso, quello va per conto suo; gemello di Tommaso è chi ha un momento di difficoltà, ma poi torna nella comunità, perché sa che lì è presente qualcuno, lo scoprirà dopo chi, il Risorto, che mantiene unita questa comunità e che con questa comunità porta avanti il suo progetto di mondo. I discepoli, i 10, hanno già visto il Risorto e “dicevano a Tommaso” … È bello, il verbo originale non è “dissero a Tommaso”, ma “dicevano a Tommaso”, quindi è un’azione continuata, cercavano di convincerlo, “noi abbiamo visto” e raccontavano la loro esperienza. Tommaso è uno che avrebbe avuto un altro tipo di prove, quelle razionali, quelle verificabili, in questo è nostro gemello perché anche noi desidereremmo avere delle prove della risurrezione di Cristo. Non sono possibili perché si tratta di esperienze che non riguardano il nostro mondo, ma il mondo di Dio. L’incontro con Dio noi lo possiamo fare anche nella nostra intimità personale, stando nella nostra stanza, pregando individualmente, il Risorto può essere visto e incontrato solo nella comunità dei discepoli che è riunita nel giorno del Signore.

Otto giorni dopo con i discepoli è presente anche Tommaso, l’allusione è alla domenica. “Gesù sta nel giorno del Signore in mezzo ai discepoli” e si presenta sempre con le stesse parole “pace a voi”. È il saluto che sentiamo nel giorno del Signore pronunciato da colui che presiede alla celebrazione eucaristica, “la pace sia con voi”, è il saluto che il Risorto rivolge ai discepoli … lo ha rivolto ai 10 e ora a Tommaso. I discepoli lo hanno abbandonato, lo hanno anche rinnegato, ma il Risorto non rimprovera, dona sempre la sua pace anche quando nel giorno del Signore noi ci presentiamo con tutte le nostre fragilità e debolezze, non riceviamo alcun rimprovero, il saluto è sempre “la pace io dono a voi”. Poi si rivolge a Tommaso: “Metti qua il tuo dito, guarda le mie mani, stendi la tua mano e mettila nel mio costato”. Non è un rimprovero rivolto a Tommaso, Gesù realizza il desiderio che aveva Tommaso, quello di toccare, di vedere le sue mani e la ferita che ha lasciato aperto il suo fianco. È l’invito a Tommaso a tenere sempre il suo sguardo fisso su quelle mani e su quel costato ed è esattamente l’invito che viene fatto a noi nel giorno del Signore, a contemplare quelle sue mani e quel costato perché, se noi teniamo sempre davanti agli occhi che cosa hanno fatto quelle mani che hanno costruito soltanto amore, quando noi usciamo di chiesa, durante la settimana, avremo sempre presente il compito che il Risorto ci ha dato, quello di mostrare a tutto il mondo le sue mani nelle nostre mani.

E come possiamo guardare quelle mani? Come possiamo tenere gli occhi fissi su quel costato che ha donato tutto il suo sangue, cioè tutta la sua vita? Ci viene presentato nell’Eucarestia, nel pane eucaristico. Gesù quando ha riassunto, ha voluto presentare in un segno tutta la sua storia di vita donata, l’ha presentata nel pane. Noi siamo invitati, nel giorno del Signore a fare esattamente quello che desiderava fare Tommaso: guardare quelle mani e contemplare quel costato. Tommaso fa la sua professione di fede, la più bella che noi troviamo, proprio lui che era stato presentato come colui che faceva fatica a credere, è sulla sua bocca che è messa la più bella delle professioni di fede, “Mio Signore e mio Dio”. È importante nel contesto storico questa espressione, perché siamo al tempo di Domiziano che voleva essere celebrato come il “Signore e Dio”; i suoi ordini venivano formulati in questo modo: “Domiziano, nostro Signore e nostro Dio, ordina che…”. Tommaso dice che il discepolo di Cristo, non ha come punto di riferimento questo Signore e questo Dio che è l’imperatore di Roma, quello che l’Apocalisse ci presenta come la bestia perché rappresenta il mondo antico; il nostro Signore e nostro Dio adesso, è colui che ci presenta quelle mani che hanno costruito soltanto amore e quel costato che indica il dono di tutta la sua vita.



 
 
 

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