3ª DOMENICA DI PASQUA
- don Luigi
- 2 mag
- Tempo di lettura: 19 min
Dal Vangelo secondo Giovanni (21,1-19)
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Siamo a Tabga, nome che deriva da eptapegon, 7 sorgenti, difatti nel luogo ci sono parecchie sorgenti d’acqua, c’è acqua abbondante. La pellegrina Egeria che è passata nei luoghi santi, ha lasciato scritto nel suo diario ciò che ha visto a Tabga, dice che su una roccia ci sono 7 gradini sui quali i discepoli avrebbero visto il Risorto. Qual è il pericolonell’interpretazione di questo brano? È che venga considerato un brano di cronaca redatto da Giovanni, che sarebbe stato il testimone oculare, ma se ci accontentiamo di questa interpretazione non cogliamo ciò che l’evangelista ci vuole comunicare, cioè un messaggio che tocca in profondità la nostra vita.
La prima: leggendo questo racconto si ha la netta sensazione che i discepoli non abbiano mai fatto prima alcuna esperienza del Risorto … non lo riconoscono. Eppure, proprio il Vangelo di Giovanni ci dice che era già la terza voltache il Risorto si manifestava ai discepoli; poi ancora, come mai si meravigliano tanto di fronte alla pesca miracolosa? Luca ci racconta che, proprio quando i discepoli sono stati chiamati, c’è stata una pesca miracolosa, quando Gesù aveva invitato i discepoli a seguirlo e sarebbero poi diventati pescatori di uomini. Perché si meravigliano quando questo personaggio che si manifesta sulla riva dice loro: “Gettate la rete dalla parte destra e prenderete”? Poi ancora, Pietro e un gruppo di altri discepoli – lo vedremo quando leggeremo questo testo – si trovano in Galilea, non a Gerusalemme, in Galilea.
Pare che abbiano ripreso la loro vita normale di pescatori, si ha quasi l’impressione che si siano dimenticati dei 3 anni che hanno trascorso con Gesù e poi, che si siano dimenticati dell’esperienza del Risorto fatta a Gerusalemme e narrata proprio dal Vangelo secondo Giovanni. Ci chiediamo anche, ma dopo la Pentecoste, non si sono dedicati immediatamente e completamente all’annuncio del Vangelo? Come mai troviamo questo gruppo di discepoli in Galilea dove, pare, sono tornati alla loro vita che conducevano prima? Queste osservazioni sono un invito ad andare in profondità, a cogliere ciò che l’evangelista ci vuole comunicare servendosi di immagini e di simbolismi biblici che lui è solito impiegare nel suo Vangelo e nella spiegazione che cercheremo di dare, forse alcuni miei richiami simbolici potranno apparire anche forzati, ma Giovanni, più degli altri evangelisti, impiega questo linguaggio fatto di richiami all’Antico Testamento. Noi quindi, non ci preoccuperemo di sapere esattamente ciò che è accaduto, ci interessa invece tanto, sapere ciò che l’evangelista ci vuole dire.
Sentiamo dove Giovanni ambienta l’episodio: Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. È così che inizia l’ultimo capitolo del Vangelo secondo Giovanni. Nel capitolo precedente, l’evangelista ha ricordato due incontri dei discepoli con il Risorto a Gerusalemme, il primo nel giorno di Pasqua quando non era presente Tommaso, il secondo 8 giorni dopo ed era presente Tommaso. Sono due incontri che l’evangelista colloca nel giorno del Signore, Pasqua, otto giorni dopo, ed è esattamente ciò che accade con noi alla domenica; è la rappresentazione dell’esperienza spirituale che le comunità cristiane di ogni tempo sono chiamati a fare nel giorno del Signore, cioè incontrare il Risorto, il Vivente, presente con la sua Parola e nel pane spezzato.
Il terzo incontro con i Risorto, quello che ci verrà presentato nel brano di oggi, avviene in un contesto completamente diverso … non è più domenica quando si va in chiesa, è un giorno feriale, quando si lavora; e poi la scena non si svolge all’interno di una casa come se fosse una chiesa, ma si svolge all’aperto … allora ecco le domande a cui l’evangelista vuole rispondere: l’attività feriale del discepolo, come si deve svolgere perché raggiunga l’obiettivo dalla costruzione di un mondo nuovo? Il Risorto è presente al nostro fianco nella vita di ogni giorno o lo incontriamo soltanto la domenica e poi lungo la settimana Lui non c’entra più, poi la nostra vita scorre come se Lui non fosse risorto, ci arrangiamo da soli?
Fin dall’inizio di questo brano, viene indicato il luogo dove si svolge l’attività dei discepoli, non in un ambiente religioso, ma in un ambiente profano … il mare. Beh, questo termine non è corretto perché si tratta di un laghetto, il lago di Tiberiade o il lago di Galilea è piccolo … come mai lo chiamano mare quando gli ebrei parlavano del mare “jangaddol”,il mare grande? Era il Mediterraneo, quello era un mare, lo chiamavano mare, questo è un lago; se l’evangelista lo chiama mare, è perché vuol dare un significato al lavoro che faranno in questo giorno feriale i discepoli che sono chiamati a pescare sul mare. Il mare è il simbolo del mondo dell’impurità, del demoniaco, di ciò che è contrario alla vita, i pesci ci stanno benone nel mare, ma gli uomini se affondano in queste acque, se vengono travolti dai marosi, finiscono sul fondo, perdono la vita. E ricordiamo qual era la missione che Gesù aveva affidato i suoi discepoli … tirar fuori gli uomini da queste onde del mare che li travolgono. La pesca rappresenta l’attività apostolica, è simbolo del salvare gli uomini dalla morte, da situazioni disumanizzanti.
Tiberiade era appena stata fondata da Erode Antipa, ed era andato a vivere a Tiberiade, che era diventata la sua nuova capitale, un 5 anni prima dell’inizio della vita pubblica di Gesù; i Vangeli non ci ricordano mai che Gesù sia andato a Tiberiade malgrado gli avessero riferito che il re Erode lo voleva vedere; lì, Erode Antipa aveva fondato la sua città, una città pagana dedicata al potente di turno, Tiberio. Bene, come mai viene ricordato “il mare di Tiberiade”, non di Galilea? È un richiamo al paganesimo di questa città, è in questo mare paganeggiante – eccolo il simbolismo – sul quale la comunità cristiana è chiamata a lavorare, a tirar fuori gli uomini dal disumano e portarli a una vita realmente umana, quella che è proposta da Gesù di Nazareth. È dalla vita idolatra che i discepoli sono chiamati a tirar fuori gli uomini e portarli a essere uomini veri.
È un mondo pagano quindi, quello che i discepoli incontrano e non c’è da spaventarsi … quanti piagnistei noi sentiamo su questo mondo che è sempre più pagano, corrotto, senza valori, moralmente degradato, senza fede, senza costumi e la conclusione è che ci lasciamo scoraggiare. Ma cosa ci aspettavamo? Che Gesù ci mandasse a tirar fuori uomini che si trovano già sulla terraferma? No, è proprio sul mare; il mare è mare, dobbiamo mettere in conto che la situazione dell’umanità che Cristo ha incontrato e che anche noi incontriamo oggi, non è quell’ideale che noi vorremmo, no, dobbiamo lavorare in questo contesto che è mare ed è un mare di paganesimo.
La domanda allora, alla quale l’episodio narrato da Giovanni vuole rispondere è: come il discepolo è chiamato a svolgere la propria attività nel quotidiano perché l’attività lavorativa sia davvero umanizzante? Che influsso ha la presenza del Risorto e che influsso ha la sua Parola nel fluire della nostra vita di ogni giorno? Questa attività è scollegata dall’incontro con il Risorto che si ha nel giorno del Signore quando noi ci uniamo alla comunità per ascoltare la Parola e spezzare il pane? Da lunedì in avanti, il Risorto non c’entra più?
A queste domande l’evangelista risponde con una pagina di teologia che ora cercheremo di comprendere: Ora, Gesù si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare”. Gli dissero: “Veniamo anche noi con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Non dice l’evangelista che i discepoli hanno visto Gesù, ma Lui si è manifestato così, esattamente come si manifesta a noi oggi nel quotidiano se noi siamo attenti a cogliere la sua presenza e la sua luce nella nostra vita, mentre svolgiamo la nostra attività professionale per costruire un mondo come Lui vuole. E a chi si manifesta? Vediamo la composizione di questo gruppo che rappresenta la comunità cristiana, vedremo questi caratteri che riproducono esattamente la composizione delle nostre comunità di oggi.
Il primo è Pietro con la sua storia personale, rappresenta il discepolo che fa fatica ad accogliere la proposta di uomo riuscito secondo Dio, l’uomo grande non perché ha accumulato beni e potere, grande perché è capace di amare, di donare la vita. Pietro è il discepolo che vorrebbe seguire Gesù, ma cerca di mettere d’accordo la sua proposta con i progetti e i sogni che lui coltiva che sono quelli del potere, dell’avere, dell’apparire; è il discepolo di oggi, che ha detto di sì a Gesù ma continua a pensare come prima, è una testa dura Pietro e in certi momenti di difficoltà, non esita anche a rinnegare la propria fede. Anche oggi, quando c’è da scegliere tra il proprio interesse e il Vangelo, non si esita ad allontanarsi da Cristo. Non c’è da scoraggiarsi, è la storia di questo primo discepolo, quello che guida la comunità, una persona fragile, innamorata di Cristo, ma con tutte le fragilità umane… mettiamole in conto anche nelle nostre comunità di oggi.
Il secondo, Tommaso Didimo, gemello. Quello è proprio nostro gemello, è colui che ama Gesù ma poi, a vivere in comunità fa fatica, a un certo punto si allontana, è legato alla comunità ma c’è un qualcosa che lo spinge poi anche ad andarsene. E poi è colui che fa fatica a credere, perché lui vorrebbe verificare … è l’immagine proprio di tanti cristiani delle nostre comunità che sono come Tommaso, a volte sono tentati di abbandonare la comunità, poi ritornano perché non trovano di meglio fuori e poi vorrebbero credere, ma con delle prove, con dei prodigi, dei miracoli a cui non si potrebbe poi opporre alcun dubbio.
Terzo personaggio, c’è Natanaele. Questa è una bella figura. La tradizione lo identifica con Bartolomeo, ma è forzata, Natanaele è un semplice discepolo ed è caratterizzato dal fatto che lui non ha preclusioni, è una persona dal cuore puro, limpido, non crede in Gesù perché ha le sue convinzioni, ma quando lo incontra, quando lo scopre, siccome ha il cuore puro dice: “ma era proprio questo che io aspettavo!”. Il fatto che Gesù gli dica “Io ti ho visto sotto il fico”… chi è sotto ilfico, nella tradizione, rappresenta colui che attende quel mondo di pace che è stato annunciato dai profeti, difatti essere seduti sotto il fico era proprio il simbolo della pace. Ecco, quest’uomo rappresenta quei discepoli sinceri che non credono fino a quando davvero incontrano qualcuno che testimonia Cristo, come ha fatto Filippo con Natanaele. Sono belle queste figure che sono nelle nostre comunità, magari prima erano lontani ma poi si accostano appena scoprono davvero la bellezza del Vangelo.
Poi ci sono i due fratelli, quelli di Zebedeo. Questa è l’anima fanatica della nostra comunità cristiana, quelli che pensano di essere gli unici capaci di fare il bene … “noi siamo quelli bravi, o sono con noi altrimenti non sono buoni”. Lo ricordiamo, Giovanni viene ricordato da Marco al capitolo 3°, quando vede qualcuno che scaccia i demòni e impiega anche il nome di Gesù di Nazareth per fare del bene; loro glielo proibiscono perché “non sono dei nostri”. Poi, al capitolo 9 di Luca, si dice che quando sono stati rifiutati dai samaritani, questi due fratelli dicono a Gesù: “noi invochiamo il fuoco dal cielo perché bruci questi malvagi”. Gesù li rimprovera severamente, li chiama anche con un nome non molto simpatico, “figli del tuono”, gli intolleranti, alzano sempre la voce pronti a far polemica, vedono nemici ovunque. Ci sono anche nella comunità di oggi, guardate come è composta questa comunità che noi troviamo sulla barca.
Infine ci sono altri due discepoli per arrivare al numero 7 che indica la totalità. Chi sono questi due discepoli? Perché non ci viene detto il nome? Perché non dobbiamo chiedercelo chi erano, sono due anonimi! Se non ci riconosciamo in nessuno dei caratteri che sono stati presentati prima, siamo noi quei due discepoli con le nostre caratteristiche buone e meno buone e con tutte le nostre fragilità. Ma potrebbero rappresentare, questi due che sono sulla barca e lavorano insieme con gli altri cinque che invece, conosciamo molto bene, sono i battezzati quelli; questi due potrebbero rappresentare anche chi è discepolo senza saperlo. Sono coloro che lavorano con lo stesso obiettivo dei cristiani, cioè rendere più umano il nostro mondo, sono quelli che vogliono costruire pace, amore, riconciliazione, hanno gli stessi obiettivi dei discepoli di Cristo. Costoro, anche se non sono dei battezzati, sono sulla stessa barca e compiono, svolgono la stessa missione che Gesù ha affidato ai suoi discepoli. Quindi siamo di fronte a un gruppo aperto, c’è spazio per tutti coloro che vogliono mondo nuovo, c’è spazio per tutti gli uomini di buona volontà.
Pietro dice a questo gruppo di discepoli: “Io me ne vado a pescare”. Il racconto a questo punto diventa parabola. Notiamo, Pietro non ordina “andate a pescare”, no, lui va. È un modello da imitare, non dà ordini. Ecco il senso di chi presiede alla comunità cristiana … è uno che trascina i fratelli, lui segue Cristo e trascina i fratelli con la sua vita, essendo un credente è felice di incarnare quella proposta di uomo che ha fatto Gesù e di svolgere la missione che gli è stata affidata. Vediamo che gli altri decidono spontaneamente di andare con lui, non sono dei subordinati, ma delle persone che appartengono a una comunità per una scelta libera, perché ne condividono la missione. È bello ciò che dice Pietro nella prima lettera quando si rivolge agli anziani che presiedono alla comunità e dice: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato sorvegliandolo, non perché costretti ma volentieri, non per interesse ma con animo generoso, non facendola da padroni sulle persone a voi affidate ma facendovi modelli del gregge”. Ecco Pietro, il quale dice “io me ne vado pescare”… ora comprendiamo il significato di questa immagine del pescare.
La prima parte di questa pesca si svolge nella notte, al buio, nella Bibbia la luce è sempre positiva, la tenebra è negativa; l’attività dei discepoli può essere svolta senza la luce che è quella di Cristo, è quella del Risorto, è quella del Vangelo, quell’attività di cercare di umanizzare il mondo ma secondo i criteri e le astuzie umane, oppure portare a compimento questa missione ma seguendo le indicazioni del Maestro. La notte indica il lavoro che gli uomini svolgono, ma seguendo i loro criteri … non ottengono nulla, non catturarono nulla. Notiamo che la giornata in Israele inizia la sera quindi lagiornata inizia sempre con una notte, se noi pensiamo alla storia del mondo, è come la giornata di Israele, c’è una notte che è la notte del paganesimo, del disumano … ma ad un certo punto arriva la luce. Non ci dobbiamo quindi stupire se viviamo in un mondo ancora molto oscuro perché il nuovo giorno ha già cominciato a spuntare. Ricordiamo quello che dice Paolo: “La notte è inoltrata, la luce del nuovo giorno sta spuntando…”. Il vero credente, che sa che è inarrestabile la costruzione del mondo nuovo, sa cogliere i segni di questa nuova luce.
Sentiamo adesso come compare questa luce del Risorto: Ora, venendo l’alba, Gesù stette in piedi sulla riva, ma i discepoli non sapevano che era Gesù. Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”. Allora egli disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci.
E ora viene l’alba, è finita la notte, Gesù stette in piedi sul litorale, tuttavia i discepoli non sapevano che è Gesù.
Il racconto adesso diventa proprio parabola, è in piedi, in piedi perché è risorto e non è sul mare, è sul litorale. Sul mare ci sono i discepoli, Lui è sulla terraferma, è già arrivato a riva, è nel mondo di Dio; ricordiamo Paolo cosa dice scrivendo a Timoteo, è vecchio e dice: “Oramai per me è arrivato il momento di sciogliere le vele”. È bellissima questa immagine perché significa che la conclusione della vita è una partenza per dei lidi meravigliosi, perché una persona quando parte da un luogo è per trovarne uno migliore; se lascia questa terra per andare verso nuovi lidi, scioglie le vele. Gesù è già arrivato sul lido definitivo, ha compiuto la sua missione ma non ha abbandonato a sé stessa la comunità dei discepoli, è sempre interessato all’opera che loro stanno svolgendo in mezzo a quelle difficoltà della pesca sul mare.
E non sanno che è Gesù. È Lui, ma non è più Lui; è sempre la stessa persona, ma in una condizione che non è più quella di prima, quando lo potevano abbracciare, lo potevano vedere con gli occhi materiali. Allora questo personaggio, che loro cominciano a intuire chi è, è Lui ma non è più quello di prima … sentono la sua voce: “Figlioli avete qualcosa da mangiare?”. Il testo originale dice “avete del companatico”, qualcosa da aggiungere all’alimento che io ho già. Questo termine “figlioli” è molto bello, noi non siamo figli di Gesù, siamo figli del Padre del cielo, ma questo termine indica la tenerezza di Cristo che è sempre innamorato dei suoi discepoli ed è attento a ciò che accade loro che sono ancora impegnati in questo mondo.
Quel companatico è un qualcosa che anche i discepoli sono chiamati a portare, ad aggiungere al pane che Lui ha già. La risposta dei discepoli è un secco “No” pieno di delusione, eppure ce l’hanno messa tutta. Quante volte, nonostante il nostro darci da fare con perizia e impegno, brancoliamo poi nella notte e non concludiamo nulla con la nostra attività apostolica. Pensiamo … quanti sforzi gli uomini fanno per costruire la pace duratura? Quante sono le astuzie dei politici che però sono guidati tante volte solo dagli interessi nazionali? Stanno lavorando nella notte, non costruiranno mai un mondo di pace, ci sarà l’interruzione fra una guerra e l’altra quando per raggiungere questo obiettivo di un mondo di pace, si lasciano guidare dai loro egoismi, dalle loro furbizie. Quanti sforzi sono stati fatti per vincere la fame nel mondo?
Se siamo guidati da quelli che sono i criteri umani, siamo ancora al buio, lavoriamo nella notte, non otterremo il risultato; costruiremo delle bombe, spenderemo tutte le nostre risorse, ma non otterremo l’obiettivo umanizzante di far sì che per tutti gli uomini ci sia il necessario per una vita umana dignitosa; oppure gli sforzi che noi facciamo per risolvere il problema dell’inquinamento e dei mutamenti climatici, ma non l’otteniamo perché vogliamo salvaguardare tutti i nostri egoismi; oppure vogliamo costruire una società fondata su valori solidi, vincere le malattie, il dolore, la solitudine, porre fine all’ingiustizia, alla povertà, ma secondo i nostri criteri… non otteniamo risultato. Senza la Parola del Vangelo siamo nella tenebra, se non ascoltiamo la sua Parola non otteniamo il risultato, se invece prestiamo ascolto alla Parola che il Signore ci ha lasciato, ci impegniamo nel vissuto quotidiano guidati dal Vangelo, allora al centro di ogni progetto, di ogni scelta, noi porremo l’uomo non l’egoismo, non l’interesse nazionale o personale, porremo la fratellanza, la pari dignità di tutti gli uomini, porremo la rinuncia al proprio interesse, al proprio tornaconto per donare la vita all’altro.
E Gesù che cosa dice per ottenere il risultato in questa pesca: “Gettate la rete dalla parte destra”. La parte destra è la parte buona dell’uomo, l’istinto aveva portato quei 7 pescatori a gettarla dalla parte sbagliata, la parte cattiva. Ogni uomo ha una parte buone e una parte cattiva, da quale parte noi possiamo agganciarlo per tirarlo fuori dalla situazione disumana in cui si trova? Noi siamo tentati di gettarla dalla parte cattiva con dei rimproveri, con degli insulti, “non vali niente, guarda cosa combini”. Gesù dice no, buttala dalla parte buona, cioè sappi agganciarlo in ciò che lui di positivoha e tu lo tirerai fuori; nella rete che viene poi tirata a terra noi troveremo una moltitudine di persone salvate da queste acque.
Adesso entra in scena il “discepolo amato dal Signore” che sa riconoscere nel Risorto quel Gesù di Nazareth che loro hanno conosciuto: Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore!”. Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Chi è questo discepolo che Gesù amava? Non è Giovanni, rappresenta il discepolo autentico, colui che fra le tante voci che danno dei suggerimenti sa riconoscere la voce del Maestro e indica anche ai fratelli questo Maestro che deve guidare la loro attività. Vediamo che cosa accade adesso, quando questo discepolo amato dice a Pietro: “È il Signore”. A questo punto non può essere cronaca ciò che fa Pietro, perché dice l’evangelista: “si cinse la veste, era infatti nudo, e si gettò nel mare”. Non ci si cinge la veste per gettarsi in acqua, doveva averla già indosso perché quando si pesca di notte fa freddo e bisogna proteggersi, e poi se ci si getta in acqua si toglie la veste. Qui che cosa significa il fatto che Pietro quando ode la voce di questo discepolo amato che gli fa riconoscere la Parola del Signore, lui “si cinge”. Il verbo è importante e quello che viene impiegato è “diazõnnymi”, ricorre qui, quando Pietro si riveste e ricorre quando Gesù si mette il grembiule per servire, quel grembiule che Pietro aveva rifiutato, lui non voleva essere servo e non voleva nemmeno che Gesù si comportasse da servo, perché poi avrebbe dovuto anche lui comportarsi come il Maestro. Quando ode il discepolo amato che gli dice “è la voce del Maestro”, lui si mette questa veste, è il grembiule che lui aveva rifiutato. Notiamo, la prima persona tirata fuori dalle onde del mare è Pietro, è questo il momento in cui lui davvero aderisce pienamente alla proposta del Maestro. “E poi si getta in acqua”. Le immagini sono quelle battesimali perché Pietro si è messo il grembiule che caratterizza il vero discepolo e gettandosi in acqua, sono le acque del battesimo nelle quali vengono affogate le presunzioni, le colpe, la vita antica, le convinzioni che erano quelle che ti portavano a una vita che non era quella del figlio di Dio e poi, quando risali da quest’acqua sei una persona nuova, rivestita di quella veste che caratterizza il cristiano.
Quello che Paolo dice scrivendo ai Colossesi: “rivestitevi di amore vicendevole, di umiltà, di semplicità di pazienza”; e nella lettera ai Romani: “rivestitevi di Cristo”. Eccolo il vero discepolo, è colui che quando è incontrato da qualcuno viene riconosciuto come una immagine del Maestro. Gli altri discepoli vengono con la barchetta, non erano infatti molto lontani da terra, un 200 metri e trascinavano la rete con i pesci. Questa barchetta rappresenta la Chiesa, non è una grande barca, no, è una barchetta, però ha una missione grande da svolgere. È questa barca, che rappresenta la Chiesa che tira fuori gli uomini dalle situazioni di morte e li porta alla vita.
Quale sarà il risultato dell’opera di questi discepoli? Sentiamo: Appena scesi a terra, i discepoli videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso ora”. Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: “Venite a mangiare”. E nessuno dei discepoli osava domandargli: “Chi sei?”, perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quando i discepoli scendono dalla barca vedono sulla riva “brace, pesce e pane”. Non dice il testo che hanno visto Gesù, vedono la brace e questo termine anthrakia ricorre soltanto due volte nei Vangeli, ricorre qui e ricorre quando Pietro rinnega il Maestro. Pietro qui ha il richiamo alla sua esperienza passata, quando ha avuto paura di affidare totalmente la propria vita a Cristo e ora, di fronte a questa brace, quando lui esce dall’acqua incontra quel Cristo al quale adesso consegna tutta la propria esistenza, è uscito dall’acqua adesso, si è rivestito di Cristo, della vita nuova.
E poi vedono, non Gesù, ma l’ “icthus”, il pesce, che è un acronimo Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore e pane che è ancora Cristo che si è fatto pane, tutta la sua vita è stato una vita donata in alimento ai fratelli. “Gesù dice ai discepoli: portate del pesce che avete catturato adesso” e Pietro infatti esce dall’acqua e tira a terra questi grandi pesci che sono stati catturati, è il frutto della missione della Chiesa che va portato a Cristo, gli uomini che sono stati tirati fuori dalla condizione pagana nella quale si trovavano. “È piena di 153 grossi pesci”. Questo numero ha ricevuto un’infinità di interpretazioni, ma tutte giungono alla stessa conclusione, indica la pienezza del risultato che otterrà questa missione che Gesù ha affidato alla Chiesa, quella di catturare tutta l’umanità. 153 in tutte le interpretazioni indica la totalità degli uomini, quindi la salvezza universale che verrà ottenuta.
A questa punto Gesù compie il gesto eucaristico, prende il pane, lo dà loro, così pure il pesce, anche quel pesce che è stato portato. Notiamo adesso, la vita eucaristica di questa comunità, che cosa significa “lasciarsi salvare”? Significa lasciarsi tirar fuori da una condizione dove ci si muove egoisticamente, dove si pensa a sé stessi e quindi si vive in modo disumano. Lasciarsi tirar fuori per diventare cibo, diventare alimento per la vita dei fratelli, come alimento della vita dei fratelli è stata tutta la vita di Cristo che è stata consumata per amore.
Adesso questa nuova comunità è composta da tutti coloro che offrono la propria vita per la gioia e la vita dei fratelli. E con questa immagine eucaristica si conclude il brano evangelico sul quale abbiamo meditato.
Comments