4ª DOMENICA DI PASQUA
- don Luigi
- 9 mag
- Tempo di lettura: 12 min
Dal Vangelo secondo Giovanni (10,27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Per cogliere il significato e il messaggio delle parole di Gesù che sono riferite nel brano evangelico di oggi, bisogna richiamare il contesto in cui Gesù le ha pronunciate. Si trova nel tempio e sta passeggiando sotto il portico di Salomoneche corre lungo il lato orientale della spianata. Era sotto questo portico che si riunivano i rabbini per dare le loro interpretazioni della Torah a coloro che magari avevano qualche questione giuridica. I capi religiosi, quando vedono Gesù, gli si fanno attorno e tentano di cogliere dalla sua bocca qualche affermazione che permetta loro di accusarlo di bestemmia, perché hanno già deciso di toglierlo di mezzo.
È la “festa della dedicazione”, in ebraico “hănukkāh” che è la “festa delle luci”. Al tempo di Gesù, come oggi, questa festa durava 8 giorni e celebrava la purificazione del tempio che nel 165 a.C. era stata fatta da Giuda Maccabeo dopo che aveva liberato il suo popolo dalla soggezione dei re seleucidi che avevano profanato il tempio. Questa era la festa, ed è ancora, la festa della luce, ancora oggi per tutta la settimana, la città di Gerusalemme splende delle luci di quel candelabro a 9 braccia, non a 7 braccia, quello che noi siamo abituati a vedere che è il simbolo della Torah, della luce della Torah del popolo d’Israele, ma è a 9 braccia perché ricorda un prodigio accaduto in questa celebrazione della purificazione del tempio.
È questo il contesto in cui i capi si accostano a Gesù e gli chiedono: “Fino a quando tu terrai nell’incertezza tutti noi, se sei il Cristo diccelo”. La domanda è subdola, è maliziosa, perché la festa celebra proprio la liberazione di Israele dai Seleucidi pagani e adesso Israele è sottomesso ad altri pagani che sono i Romani… che cosa si aspettano queste persone? Si aspettano quel Messia che è stato promesso che libererà loro dal potere dei pagani, il Messia potrebbe essere Gesù, ma se Gesù si pronunciasse e dicesse “sono io il Messia”, subito sarebbe accusato di bestemmia perché non è Lui che si deve presentare come Messia, sono i capi religiosi che riconoscono in Lui quel figlio di Davide, promesso.
Difatti Gesù tronca bruscamente questo discorso e dice loro molto chiaramente: “Voi non c’entrate nulla con il progetto di mondo nuovo che io sto portando avanti, voi non appartenete al mio gregge”. Aveva appena pronunciato parole durissime contro i capi religiosi, li aveva definiti ladri, briganti, mercenari, lupi … non erano certamente gli agnelli del mondo nuovo al quale Lui stava dando inizio. Loro erano i rappresentanti del mondo vecchio, il mondo in cui i rapporti fra le persone sono regolati dalla competizione, Il più forte domina sul più debole, questo a livello di nazioni, a livello di popoli, a livello di tribù, di famiglie… chi comanda è chi ha il potere, il più forte, gli altri devono stare sottomessi.
Questa è la legge del mondo antico. È quel mondo descritto dal profeta Daniele al capitolo 7, quando presenta i regni di questo mondo che si susseguono gli uni agli altri in base alla forza che hanno, quando diminuisce la forza ne arriva uno più forte, schiaccia il precedente … è il regno delle belve. Non è questo il mondo voluto da Dio, questo mondo vecchio è ben rappresentato da un obelisco che ho scelto, celeberrimo, l’obelisco di “Salmanassar III” che si trova al British di Londra. Su questo obelisco sono raffigurate 5 scene in cui Salmanassar schiaccia, domina, 5 re che lui ha sconfitto e che gli devono stare sottomessi prostrandosi davanti a lui; tra le 5 scene ho scelto quella che riguarda il re d’Israele “Jehu” che si prostra davanti a Salmanassar. Ma non solo Salmanassar, tutti i sovrani dell’antichità non desideravano altro che ostentare il loro potere, la loro forza, la loro violenza e tramandare poi ai posteri le loro vittorie.
Chiediamoci, cos’è l’uomo in questo mondo vecchio? Quanto conta l’uomo? Quanto vale? Vetamos dice: “vale meno di un paio di sandali”; Gesù nel Vangelo dice: “l’uomo a volte vale meno di una pecora”. Perché? Perché se uno è forte riesce a schiacciare. Veramente Israele si aspettava, secondo le promesse dei profeti, un Messia che cambiasse il mondo e che introducesse il regno di Dio, ma come lo intendevano questo regno? Come un dominatore alla stregua di coloro che lo avevano preceduto, unica differenza è che adesso sarebbero diventati loro i dominatori, guidati da questo figlio di Davide.
Ecco la ragione per cui alla domanda che viene rivolta a Gesù “Sei tu il Messia?”, Lui cambia immediatamente discorso e va al concreto. Il Messia che loro hanno in mente non ha nulla in comune con il messianismo portato avanti da Gesù; il nuovo regno che è venuto a instaurare nel mondo, non è un po’ diverso da quello che loro hanno in mente, è l’opposto, è il regno delle belve capovolto. In alto, nel nuovo regno al quale Gesù sta dando inizio, chi starà in alto? Chi sarà onorato? Non saranno i Salmanassar … saranno i poveri da servire. Questo è il regno nuovo che ha come re Gesù, il pastore che precede e guida chi accetta questa sua proposta di mondo nuovo.
Nell’Apocalisse al capitolo 7, viene presentato questo pastore che precede coloro che aderiscono alla sua proposta di mondo ed è chiamato “Agnello”, è bello il pastore che guida questi agnelli che lo seguono, è Lui stesso agnello. I capi religiosi non seguono questo Agnello, sono altri i pastori che loro seguono, sono quelli che seguono i criteri del mondo antico. Gesù ha chiarito subito che loro non appartengono al suo gregge e sentiamo adesso cosa si aspetta questo pastore da chi accetta di appartenere al suo gregge: In quel tempo Gesù disse: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
I capi religiosi, i capi politici non appartengono al gregge di questo agnello, l’agnello che dona la vita. Adesso, coloro che accolgono la sua proposta di mondo nuovo, che cosa fanno? Che rapporto hanno con questo pastore? 3 verbi caratterizzano il rapporto fra il “Pastore bello” e le sue pecore. Oggi è la festa del Pastore bello perché è una persona bella, quella che noi vediamo splendere in Gesù di Nazareth, quel Salmanassar che ho presentato prima, non era una persona bella, era ancora una belva che sbranava gli uomini, non era uomo ancora, non era un uomo autentico, uomo autentico è colui che ama, questo è ciò che caratterizza l’uomo. Gesù è venuto a farci questa proposta di mondo nuovo, si può seguirlo o si può fare come quei capi religiosi che gli tendevano insidie e continuare con il mondo vecchio. Adesso Gesù ha presentato il rapporto che ha con coloro che lo seguono con tre verbi che vogliamo esaminare.
Il primo: “le sue pecore ascoltano e riconoscono la sua voce”. Questo verbo “ascoltare” è importante per la tradizione religiosa di Israele, la preghiera che 3 volte al giorno il pio israelita già al tempo di Gesù recitava, era lo “Shemà Israel”: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua vita e con tutti i tuoi beni”.
Ecco, secondo la Bibbia il rapporto tra Dio e Israele non è caratterizzato dalla visione, dall’estasi come accadeva nel mondo greco, ma dall’ascolto della Parola del Signore. Il Dio di Israele è diverso dagli altri dei, Zeus non parlava al suo popolo, non era coinvolto nella vita di coloro che lo veneravano, il Dio di Israele è coinvolto, è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, è coinvolto con le persone e le vuole felici, indica con la sua Parola il cammino della vita. Il Dio di Israele è un Dio che parla e Israele è invitato sempre ad ascoltare.
Nel libro del Deuteronomio ricorre un centinaio di volte questo verbo “shemà”, ascolta. Nel Deuteronomio al capitolo 4, Mosè dice al popolo, al Sinai: “Voi avete udito il suono delle sue parole, non avete visto alcuna figura, vi era soltanto una voce”. Ecco, ascoltare è ciò che caratterizza il rapporto di Israele con il Signore e Gesù è cresciuto con questa spiritualità, ma ascoltare biblicamente non significa udire con le orecchie, ma dare la propria adesione alle Parole che ti vengono rivolte dal Signore, fidandoti di Lui che vuole la tua gioia, vuole la tua libertà. È il modo accorato con cui il Padre si rivolge al figlio che ama e che vuole felice e gli raccomanda “ascoltami, dammi retta, fai ciò che ti dico”, sta mostrando la sua premura.
Notiamo che Dio chiede di ascoltare, parla ma non impone, chiede ascolto, adesione alle sue 10 Parole, ascoltarle è scegliere la vita, chiudere le orecchie è scegliere cammini che ti portano alla morte. Chi appartiene al gregge di questo Agnello, che cosa deve fare? Ascolta la sua voce! E questa è la prima caratteristica e sottolineiamo, ascolta non una voce qualunque, la sua, quella dell’Agnello.
E come si fa a distinguere questa voce dalle altre? Beh, bisogna imparare perché sono tante le voci che si sovrappongono ad essa e che ci fanno proposte che sono ben diverse da quella dell’Agnello, interferiscono e tentano di tacitarla, in questo entra il discernimento che viene dalla testimonianza interiore dello Spirito. Noi siamo fatti bene e se non con corrompiamo il nostro cuore, lo Spirito ci dice, quando ascoltiamo una Parola che è quella dell’Agnello, lo Spirito dentro di noi ci dice: “Lui ha ragione, ascolta Lui perché sono parole di vita”.
C’è una beatitudine che è riservata a chi ha il cuore puro, la ricordiamo: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”. Potremmo parafrasarla così: “Beati coloro che hanno il cuore puro perché sapranno riconoscere la voce dell’Agnello”.
È una voce che testimonia la verità e ci propone una luce che è lontana dai fuochi fatui della terra, come il cielo è lontano dal nostro mondo, è una voce che porta dentro di sé l’amore, la bontà, alla verità di Dio e dobbiamo imparare a riconoscere questa voce, a distinguerla dalle altre e poi, ascoltarla in senso biblico, cioè aderire alla proposta che l’Agnello ci fa… allora apparteniamo al mondo nuovo.
Il secondo verbo: “io le conosco”. Quel verbo “conoscere”, dobbiamo intenderlo in senso biblico, non è soltanto una conoscenza di tipo intellettivo. Il verbo conoscere biblico, implica una relazione, conoscere nella Bibbia indica la comunione di vita dello sposo con la sposa che coltivano gli stessi sogni, gli stessi progetti, loro si conoscono. Anche l’incontro coniugale è detto conoscenza perché è uno scambio di amore, è dono di sé all’altro, è comunicazione … se manca questo non è un rapporto umano.
È una scoperta reciproca e Gesù impiega questo verbo conoscere per mostrare la piena comunione di vita che c’è fra Lui Agnello, con gli agnelli che hanno accolto la sua proposta. Direi che è il segno dell’innamoramento di Cristo, a volte noi sentiamo parlare di cristiani, di discepoli di Cristo, che però non sono praticanti … non è possibile! O sei innamorato di Cristo e quindi lo conosci e Lui ti conosce, quindi c’è questo incontro sponsale, comunione di vita con Lui, oppure non possiamo dire di essere credenti.
Terzo verbo “lo seguono”. Dove sta andando questo Agnello? Lui ha una meta, il dono totale di sé, il dono della vita, seguirlo significa andare insieme con Lui, fare la scelta di non ripiegarci mai su noi stessi, ma di pensare sempre alla gioia e al bene del fratello, donare la vita … la direzione che l’Agnello ci indica è ben tracciata. È necessario essere sue pecore per ricevere da Lui quanto adesso ci promette.
Io dono loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo uno. Abbiamo visto 3 verbi che caratterizzano il rapporto tra gli agnelli e il Pastore, l’Agnello che li precede e che indica il cammino della vita.
Adesso ci sono 3 verbi che indicano le promesse che il Pastore bello fa a coloro che lo seguono.
Prima promessa “Io dono loro la vita eterna”. Che cos’è questo dono? Il termine che viene impiegato non è “bios”, qualcosa di biologico, quello l’abbiamo ricevuto da questa creazione materiale, ma se non ci venisse data un’altra vita, quando finisce la vita biologica che ha lo stesso destino di quella degli animali e delle piante, noi torneremmo da dove siamo venuti … nel nulla. Gesù cosa promette a chi lo segue? La vita eterna, “zoè aionios”, non bios, zoé. La vita eterna non è una vita che ha una durata infinita, cioè ha una durata infinita questa vita che voi avete … no, questa finisce, è la vita dell’Eterno che Lui è venuto a donarci, e questa vita non è un premio futuro. “Oggi – dice Gesù – io dono a coloro che accolgono la mia proposta, la vita dell’Eterno”.
Quindi è un dono che noi abbiamo già, abbiamo due vite, una che perisce ad un certo punto, dura un certo numero di anni, ma la vita dell’Eterno va sviluppandosi e crescendo come un germe e cresce. Quando noi manifestiamo la vita dell’Eterno, ci adeguiamo alle pulsioni che vengono da dentro, di questa nostra identità di figli di Dio, questa vita si sviluppa e quando finisce la vita biologica, questa vita che già oggi noi abbiamo, perché siamo oggi già figli di Dio, si manifesta in pienezza, esplode proprio questa vita, come quando un feto esce dal grembo materno ed entra in una condizione di vita completamente nuova.
Gli dei pagani erano gelosi, non volevano donare la vita eterna e lo dicono i miti dell’antichità, “gli dei si tengono la vita immortale, noi siamo destinati a perire”. Difatti gli dei pagani erano gelosi dalla gioia della vita, Prometeo che volevo portare sulla terra, il fuoco e la sapienza di Atena cioè la scienza della tecnica, è stato incatenato a una roccia e un corvo gli rode il fegato. Il Dio biblico coinvolge nella sua vita eterna l’uomo, ci ha creato per questo, per donarci la sua stessa vita, altrimenti non avrebbe senso questa creazione, ci avrebbe preso in giro, non può esistere un Dio che entra in dialogo con noi, che ci ama e che chiede a noi di entrare in un rapporto di conoscenza, di amore e poi alla fine ci distrugge … non può esistere! “Se esiste un Dio – giustamente diceva Dostoevskij – Io sono immortale”.
Secondo verbo: “non potranno in alcun modo perire nei secoli” “eis ton aiona”. Non lascia perire… che intende dire? Nessun briciolo di amore andrà perduto! Qual è la nostra paura? La nostra paura è che vedendo questa vita che va passando, non riusciamo a trattenerla, allora che cosa tentiamo di fare? Di goderci ogni istante perché la vediamo perire. Come dare senso? Come conservare questa vita che è destinata a perire? Gesù ci dice: “Buttala, donala per amore e tu la conservi”. Cioè se tu doni tutta la tua vita per amore, fai crescere in te il figlio di Dio.
Ecco, nessun briciolo di amore andrà perduto! Noi abbiamo paura di amare perché dobbiamo uscire da noi stessi, pensare ai bisogni del fratello, dimenticare proprio noi stessi, essere figli di Dio che ama in pura perdita, gratuitamente e questo ci fa paura perché la nostra pulsione è quella di trattenere per noi stessi la vita, ma così la perdiamo. Gesù ci assicura: “Io faccio una proposta di vita che è un dono, chi mi segue non deve aver paura, non perirà nulla dell’amore che ha costruito”.
Terzo verbo: “nessuno rapirà i miei agnelli dalla mia mano”. Ci sono dei pericoli in questa vita – lo ha detto Gesù – perché ci sono i ladri, i briganti e i lupi; il pericolo che ci siano momenti in cui non si segue quel Pastore bello, ma che si venga sedotti da pastori brutti, è sempre incombente. La promessa che Gesù fa a coloro che seguono Lui, che ascoltano la sua voce, è che non verranno rapiti da questi lupi e da questi briganti, ci potranno essere delle miserie morali, manchevolezze, scelte infelici … non riusciranno a sconfiggere l’amore di Cristo. Mettiamo in conto le nostre fragilità, ma ricordiamo che se anche il nostro cuore ci rimprovera, Dio è più grande del nostro cuore, se abbiamo dato la nostra adesione a questo Pastore bello, siamo al sicuro.
E poi continua Gesù, “Il Padre mio… quindi siamo nelle mani di questo Pastore che non ci abbandona, mani già sicure, ma Gesù continua dicendo che “il Padre è più grande di tutto e nessuno può rapire dalla mano del Padre”. Quindi non solo Gesù non lascia che i suoi agnelli vengano rapiti, ma il Padre ha nelle sue mani questo disegno di salvezza sull’umanità e nessuno li potrà rapire dalla mano del Padre. Finché la vita indistruttibile che noi abbiamo ricevuto non si sarà manifestata in pienezza, sarà sempre soggetta pericoli di uscire di strada, di dimenticare i passi che sta facendo l’Agnello, possiamo anche perdere il contatto con la voce del Pastore bello, ma Lui non perderà mai d’occhio i suoi agnelli e condurrà questo gregge fra le braccia del Padre perché è venuto proprio per questo. Pensare che qualcuno degli agnelli che seguono Cristo possa andare perduto, significa pensare che Gesù non sia stato capace di salvare tutto il suo gregge.
Conclude dicendo Gesù: “Io e il Padre siamo uno”. È la piena perfetta comunione di intenti, il figlio realizza, porta a compimento l’unico progetto di amore del Padre, è in perfetta piena sintonia con Lui. Quindi il messaggio di questa domenica, in queste parole del Pastore bello, è che siamo avvolti da un grande amore … questa è la ragione della nostra gioia.
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