ASCENSIONE DEL SIGNORE
- don Luigi
- 30 mag
- Tempo di lettura: 9 min
Dal Vangelo secondo Luca (24,46-53)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
Oggi la liturgia ci fa riascoltare un brano evangelico sul quale noi abbiamo già riflettuto due domeniche fa, ci viene riproposto perché contiene la promessa che Gesù ha fatto durante l’Ultima Cena, avrebbe donato il suo Spirito. È tornato più volte sull’argomento Gesù, ma pare che i discepoli non si siano lasciati coinvolgere, come se questo argomento non li toccasse molto da vicino, difatti Pietro, Tommaso, Filippo, Giuda Taddeo, hanno posto delle domande a Gesù, ma nessuno di loro ha chiesto chiarimenti sull’eredità che Lui avrebbe lasciato … il suo Spirito; non avevano idea di cosa avrebbe prodotto, in loro e nel mondo, la venuta dello Spirito.
La festa di oggi ha come obiettivo farci prendere coscienza dell’eredità che abbiamo ricevuto. Lo sappiamo, se uno ha ricevuto un’eredità, ma questa rimane in banca perché lui non sa di averla a disposizione, è come non averla ricevuta. Vogliamo capire bene allora … che cosa ci ha lasciato Gesù? È venuto nel mondo proprio per portarci il suo Spirito. E dove giunge il suo Spirito, che cosa accade?
Sentiamo anzitutto quale promessa ci ha fatto: Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto.
Nella nostra vita, spesso siamo posti di fronte ad avvenimenti di cui non comprendiamo il senso, guerre, violenze, soprusi nei confronti di chi è debole e indifeso, vediamo persone buone e rette che subiscono ingiustizia e allora ci chiediamo, ma non verrà il giorno in cui Dio mette le cose a posto? Il giorno in cui mostra chiaramente chi aveva ragione e chi aveva torto, chi era il giusto e chi il malvagio.
A questi interrogativi che riguardano direttamente ciò che è accaduto a Lui, il Risorto nella sera di Pasqua risponde: “Questo giorno verrà! Il terzo giorno, il Cristo messo a morte dagli uomini risorgerà”. “Il terzo giorno”, che cosa significa questa espressione? Non è la profezia che Lui sarebbe risorto esattamente tre giorni dopo la sua morte, no! La profezia non è cronologica, è teologica! Vuol dire che alla fine è Dio che pronuncia il giudizio definitivo e inappellabile sulla riuscita o sul fallimento di una vita.
Risuscitando Gesù, il Signore ha mostrato a tutti che Gesù aveva ragione, che è Lui il giusto, il vincitore e lo è perché ha fatto della sua vita un dono d’amore. Tutti coloro che come Lui porranno la loro vita a servizio dei fratelli, forse gli uomini li considereranno dei falliti, ma il terzo giorno, quando Dio pronuncia il suo giudizio, anch’essi come Cristo, saranno accolti dal Padre del cielo nella pienezza della vita dei risorti.
Tutta la Bibbia – dice Gesù – è stata scritta per preparare gli uomini alla comprensione di questo disegno di Dio sull’umanità. E non basta però aver capito questo disegno di Dio, è necessario poi accettare, adeguare la propria vita al modo come Gesù di Nazareth l’ha vissuta, cioè è necessario abbandonare il cammino vecchio e accogliere la proposta di uomo nuovo. Poi, chi lo ha capito, non solo deve incarnarlo, ma deve annunciarlo a tutti i popoli. Ecco la missione che il Risorto affida ai suoi discepoli: “Annunciate a tutti i popoli, la conversione per il perdono dei peccati”. Notiamo bene, non devono annunciare la conversione e il perdono dei peccati, no! Devono annunciare la conversione, cioè il cambiamento della direzione nella vita, affinché il peccato sparisca.
Questo è il perdono! Il perdono del peccato non significa un colpo di spugna, perché il peccato non è una macchia da lavare, è la direzione sbagliata della vita. Chi orienta la propria vita nella ricerca del proprio interesse, l’accumulo dei beni, pensa a se stesso, vuole asservire tutti gli altri, dominare su tutti … costui è un disumano, sta distruggendo la sua vita, deve cambiare direzione.
Cosa fa Dio che ama questa persona che è sulla strada sbagliata? Lo vuole perdonare! Il perdono non è altro che il risultato dell’opera di salvezza del Signore, quell’opera che Lui mette in atto per far cambiare la direzione e quando questo accade, il peccato è perdonato. Chiaramente, è solo dopo che Dio è riuscito a perdonarmi, cioè a portarmi sulla strada dritta, quella che mi viene indicata da Gesù, solo allora io mi pento! Dopo che Lui mi ha perdonato. Non che mi perdona perché io mi sono pentito e gli ho chiesto scusa, no!
Ma perché Lui è riuscito a farmi rendere conto che ero fuori strada, allora mi pento e cambio la vita. “Questa conversione deve essere annunciata a tutti i popoli, cominciando da Gerusalemme”.
Questo è piuttosto sorprendente perché chi abitava in Gerusalemme, la città santa, riteneva di non aver bisogno di convertirsi, loro erano già uniti a Dio, praticavano la religione. Invece il Risorto dice che è proprio da questa istituzione che deve iniziare la conversione, devono capire il nuovo volto di Dio e il nuovo volto della religione, cioè quali sacrifici sono graditi a Dio, chi è il nuovo tempio del Signore che è Cristo e tutta la comunità dei discepoli uniti a Lui.
Di questo progetto di Dio sull’uomo, sull’umanità, i discepoli sono chiamati ad essere testimoni. Per essere testimoni bisogna aver fatto questa esperienza del dono gratuito della vita, essersi resi conto che è bello vivere così e quindi testimoniare … non bisogna discutere e litigare! C’è solo da mostrare che è bella la vita vissuta come Gesù ha proposto! Questa testimonianza di vita è possibile solo se ci si lascia guidare dallo Spirito, da questo dono della vita nuova che Gesù ci ha portato nel mondo, questo dono del Padre. Se i discepoli mostreranno al mondo che è possibile amare come Gesù ha amato, cioè si lasceranno muovere dalla vita divina che hanno in loro, quindi questa capacità di amare anche il proprio nemico, sarà una prova inconfutabile che nel mondo è giunta una forza divina che trasforma da dentro l’umanità.
E adesso c’è il saluto con cui Gesù passa le consegne ai suoi discepoli, alla comunità, questo saluto è la sua benedizione. Ascoltiamo: Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio. Il brano che abbiamo ascoltato è la conclusione del Vangelo secondo Luca e credo che ascoltandolo sono forse sorti in noi alcuni interrogativi … Come mai il Risorto non è asceso al cielo, lì dal Cenacolo? Che motivo c’era di condurre i suoi discepoli fuori dalla città di Gerusalemme? Ricordiamo che notte fonda. E poi per quale ragione condurli verso Betania? Come cronaca, capite che non ha molto senso, ma se comprendiamo il linguaggio delle Scritture, allora cogliamo il messaggio.
Anzitutto il verbo impiegato dall’evangelista per dire ciò che Gesù ha fatto: “ha condotto fuori da Gerusalemme i suoi discepoli”. Il verbo è “egsagē ” che non è banale perché è lo stesso verbo che viene impiegato nel Libro dell’Esodo, per dire ciò che Dio ha fatto per il suo popolo, lo ha condotto fuori dall’Egitto, dalla terra di schiavitù per introdurre il suo popolo negli spazi ampi dove si può vivere, la terra della libertà. Come mai il Risorto conduce la sua comunità fuori da Gerusalemme? Perché Gerusalemme è la terra dove non si è liberi, la terra dove risiede un’istituzione religiosa che insegna a venerare e a servire un Dio che non esiste, non è il Dio che noi vediamo riflesso sul volto di Gesù di Nazareth.
Nel tempio di Gerusalemme si adora un Dio che offre il suo amore a chi lo paga, a chi gli offre sacrifici, incensi, concede le sue benedizioni ai buoni e ai giusti, non ai malvagi … la Pasqua ha cancellato questo volto di Dio, perché in Gesù di Nazareth Dio si è rivelato amore e solo amore gratuito, concede i suoi favori e il suo amore a tutti gli uomini. Ecco, il Risorto conduce fuori la sua comunità da questa istituzione religiosa. Il luogo verso il quale li conduce … Betania. Che cosa indica questa Betania? La conosciamo questa Betania, è il luogo dell’amicizia, il luogo della famiglia dove Gesù viene accolto, una famiglia dove ci sono soltanto fratelli e sorelle, non ci sono padri, non ci sono padroni, non ci sono sudditi … questa casa della famiglia di Betania è l’immagine della comunità cristiana, la casa dalla quale emana il profumo del nardo, simbolo dell’amore.
Noi potremmo fare una verifica e chiederci: coloro che si accostano oggi alla nuova comunità, quella dei cristiani che dovrebbe essere come quella di Betania, dove si versa il profumo dell’amore, coloro che si accostano a questa comunità oggi, musulmani, buddisti, pagani, atei, chiunque, avvertono immediatamente che da questa casa esce un profumo firmato, quello dell’amore vissuto da Gesù di Nazareth, amore che giunge anche al nemico. È questo profumo che sentono coloro che oggi si avvicinano alle nostre comunità cristiane?
Che cosa fa il Risorto? “Alza le mani”. Le mani, lo sappiamo, sono il simbolo delle opere che noi compiamo, con le mani possiamo dare la vita o la morte, accarezzare o colpire, offrire il pane all’affamato o rubare … Ecco l’ultima scena, Gesù alza le sue mani e le mostra, sono le mani che hanno sempre benedetto e l’ultimo gesto sarà proprio quello della benedizione. Barak = benedire, in ebraico significa volere la vita e solo la vita. Questo gesto di Gesù, descrittoci da Luca, è ripreso dall’Antico Testamento, è il gesto sacerdotale, nel Libro del Levitico al capitolo 9, si dice che “Aronne alzava le mani verso il popolo e lo benediceva”, poi c’è una descrizione stupenda fatta dal Siracide nel suo libro, quando fa l’elogio del sommo sacerdote Simone, figlio di Onia, l’uomo pio, giusto, retto e la descrizione della sua benedizione è commovente. Egli alzava le sue mani su tutta l’assemblea dei figli di Israele, per dare poi con le sue labbra la benedizione del Signore, gloriandosi di poter pronunciare questo nome, e quando lui alzava le mani, tutti si prostravano per ricevere la benedizione dell’Altissimo.
È la stessa scena che Luca ha ripreso dall’Antico Testamento per dirci l’ultimo gesto di Gesù … lasciarci la sua benedizione. E noi ricorderemo anche come inizia il Vangelo di Luca, con una benedizione che Zaccaria non riesce a pronunciare perché è muto. Adesso invece c’è una benedizione che è data dal Risorto e che rimane per sempre sull’umanità. “E mentre li benediceva – una seconda volta viene richiamata questa benedizione – si staccò da loro e fu portato verso il cielo”.
L’evangelista non sta facendo una cronaca, impiega il linguaggio della sua epoca in cui Dio era immaginato in cielo, anzi erano 7 i cieli, e sopra il settimo cielo c’era il trono dell’Altissimo … è per dirci che chi è vissuto per amore è stato accolto nella casa del Padre. E questo rapimento verso il cielo, non l’ha inventato Luca, è un genere narrativo conosciuto nella letteratura biblica, ricordiamo il rapimento di Elia sul carro di fuoco, ma anche è presente nella letteratura greco-romana, c’erano anche lì dei rapimenti, erano stati rapiti verso il cielo, Romolo, Empedocle, Alessandro, Eracle … Si tratta di immagini, di cui Luca si serve, non per descrivere un racconto materiale, ma per formulare in modo plastico la verità … Gesù è stato accolto tra le braccia del Padre.
Questa verità che vuole comunicare che la vita donata non è distrutta, entra nel mondo di Dio, dove nessuna goccia di amore va persa. C’è un distacco da questo mondo corruttibile per entrare nel mondo dell’incorruttibilità “e discepoli si prostrano”, riconoscono questo giudizio di Dio su ciò che è accaduto nella vita di Gesù. E nota la gioia adesso in questi discepoli Quando una persona cara ci lascia, noi non ci rallegriamo, siamo tristi … per quale motivo questi discepoli sono nella pienezza della gioia? È che dopo la Pasqua, hanno capito che lasciare questo mondo corruttibile non è motivo di tristezza, ma di gioia.
Chi ha visto qual è il destino che attende chi è vissuto per amore, ama sì questo mondo e questa vita, ma vive nell’attesa di quelle cose che, come ha scritto Paolo ai Corinzi: “Occhio non vide, orecchio non udì, né mai è entrato in cuore d’uomo ciò che Dio ha preparato per coloro che amano”. Dobbiamo smetterla quindi di pensare alla morte come una cosa brutta, brutta e cattiva è la vita sbagliata, brutta sarebbe anche una vecchiaia interminabile. La conclusione naturale di una vita spesa per amore è bella ed è desiderabile.
Proviamo a guardare la morte da credenti, non da pagani. Può apparire strano poi, che questi discepoli siano tornati a Gerusalemme, sì è la Gerusalemme materiale dove sono tornati, ma sono usciti dalla Gerusalemme che rende schiavi, cioè da una certa immagine di Dio e da un certo modo di rapportarsi con Dio che è la pratica religiosa giudaica. E poi “erano per tutto il tempo nel tempio del Signore”. Sarebbero quindi tornati al tempio a fare sacrifici, olocausti … no, non possono rimanere tutto il tempo nel tempio di Dio, del Signore. Il tempio è quello nuovo, quello che è Gesù di Nazareth con tutta la sua comunità. È questo il nuovo tempio dal quale salgono a Dio i sacrifici a Lui graditi, che sono le opere di amore. Sono tornati sì a Gerusalemme, ma adesso non appartengono più all’istituzione giudaica ma sono entrati nel mondo nuovo, quello nato dalla Pasqua.
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