Mensa della Parola: Es 24,3-8; Sal 116/115, 12-13; 15.16bc; 17-18; Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26
La solennità del Corpus Domini – Corpo del Signore è un ulteriore prolungamento della Pasqua che abbiamo vissuto in una notte di veglia attorno ad un banchetto, consumato «in fretta e con i fianchi cinti» segno e modello di liberazione. Ora siamo seduti attorno al banchetto della alleanza nuova, senza più fretta, ma sempre pronti a ripartire per essere segno e strumento di ogni liberazione in favore di ogni singolo individuo e popolo. È il banchetto che anticipa quello finale della fine della storia: è il Corpus Domini. Dal banchetto al banchetto: è questa la dimensione storica della Chiesa pellegrina che di Eucaristia in Eucaristia cammina verso la Gerusalemme celeste. Il banchetto eucaristico è il «memoriale» della consegna a noi del «mistero pasquale» nel sacramento «fonte e culmine» della Chiesa e anticipo del banchetto escatologico alla fine dei tempi, descritto da Isaia:
«Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte [Gerusalemme] un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati… E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio”» (Is 25,6.9).
Oggi operiamo un passaggio: dal simbolo alla realtà e prendiamo coscienza che il banchetto a cui siamo convocati come invitati è partecipazione diretta e attiva alla comunione con il Signore che mette nel «piatto» la sua stessa vita come premessa e dono con chiunque la voglia conoscere e condividere. Chi, infatti, si accosta a questo «cibo», a sua volta, è chiamato a coinvolgersi e a compromettersi in un mondo in cui la maggioranza del popolo di Dio, i poveri, non hanno cibo a sufficienza. Nulla di spiritualistico e intimistico. San Paolo lo aveva capito da tempo e lo ha espresso in termini forti e sconvolgenti:
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini (Fil 2,5-7).
Qui ci troviamo immersi in un atto rivoluzionario e profetico, capace di sconvolgere l’abisso nel quale ci troviamo immersi con le strutture dell’economia, della politica, della Chiesa. «Mangiare e bere la vita» è un’esigenza universale e di ciascuna persona umana perché su di esso si fonda l’alleanza di Dio in Gesù Cristo, esempio sconvolgente di esempio totale: non imbandisce solo una mensa di pane e vino, ma offre la sua stessa vita, spezzandola e donandola senza calcolo, senza contropartita, senza ritegno. Solo impegnando la propria vita nel dono agli altri si può essere in comunione di vita con il Signore, cioè celebrare l’Eucaristia.
L’espressione «carne e sangue» oggi fa sorridere perché potrebbe accusarci, come durante le persecuzioni del sec. I, di cannibalismo. È un’espressione tipicamente ebraica per dire «fragile vita». Per gli antichi il sangue era sede della vita, mentre «carne» indica tutto ciò che è opposto a «spirito» e quindi fragile, caduco, morituro. Nella «carne e sangue» Dio si fa accessibile a noi perché assume la nostra fragile umanità nella quale trasfonde la sua vita immortale facendosi «comunione» con noi, in noi e per noi. Il «mistero» è tutto qui ed è un mistero molto chiaro ed evidente: Dio Padre, Figlio e Spirito Santo restano per sempre con noi, pongono la dimora divina in noi e fanno di noi la tenda del convegno, la tenda dell’incontro e della comunione. Noi possiamo accedere al mistero trinitario perché Dio s’incarna ancora una volta nella fragilità della parola annunciata e nella povertà del pane e del vino, scelti come simboli d’identità per assimilazione. Dio consegna a noi la sua vita come nutrimento, diventando così «esemplare» per noi, invitati a imitarlo, lasciandoci mangiare e bere come fa lui, cioè vivendo la vita come dono, dato senza pretendere in cambio nulla. È evidente che questo significa che dobbiamo squartarci e distribuirci pezzo per pezzo perché l’espressione «prendete e mangiate, questo è il mio corpo» non ha una portata letterale, ma simbolica. I simboli non sono immaginari, essi sono profondamente reali perché esprimono nella maniera loro propria l’intimità della vita e le sue manifestazioni.
Questa mensa è il giudizio sul mondo: guai a noi se spezziamo questo pane e beviamo questo vino, segni della vita del Signore risorto, solo per noi per saziarci ulteriormente. Essi sono il giudizio sul mondo e impongono a noi la scelta di decidere da che parte stare: «Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Gv 15,18). Siamo nel mondo, ma non apparteniamo alla logica di quel mondo per il quale nemmeno Cristo ha pregato (Gv 17,9.11.15.16). L’Eucaristia strappa da cima a fondo il velo del tempio perché ci introduce nel «sancta sanctorum» dell’intimità con Dio (Mc 15,38) che passa sempre attraverso la carne dei poveri che è la vera carne di Dio.
Nota esegetica
La parola «Eucaristia» deriva dal verbo greco «eu-charistèō/rendo grazie», verbo composto dall’avverbio augurale «eu-…-bene» e «chàirō-mi rallegro/sono contento». Nei vangeli sinottici al momento dell’ultima cena (Mt 26,27; Mc 14,23; Lc 22,17.19 [Gv 6,11]), Gesù prese il pane e la coppa di vino dopo che «eucharistêsas/avendo reso grazie», da cui ben presto il termine passò a indicare tutta la celebrazione che vive il «rendimento di grazie» per eccellenza: ringraziamo Dio per il dono del Figlio, Parola, Pane e Vino/Relazione, Vita e Sangue, alimento perenne di chi vuole essere nel mondo simbolo e testimone dell’amore gratuito di quel Dio che ci ha amati per primo (1Gv 4,19).
Esame di coscienza
Mangiare vuol dire diventare «uno» con chi si mangia attraverso ciò che si mangia. Non si mangia tra estranei con i quali tutt’al più si può fare un briefing anonimo o un buffet in piedi. Chi mangia lo stesso pane e beve lo stesso vino sedendo alla stessa mensa esprime una vita di unità con gesti di comunione. Entriamo alla Presenza di Dio, segnandoci con il sigillo trinitario proprio di ogni azione liturgica: La comunione, cioè con-vivere una dimensione effettiva di amore, è l’obiettivo di ogni vita di relazione. La fede genera chi crede a una vita di comunione orizzontale con i fratelli, le sorelle e la natura come segno della comunione verticale con Dio. Noi pecchiamo ogni volta che ci allontaniamo da questa prospettiva che Gesù sintetizza nell’unico comandamento dell’amore verso Dio e il prossimo. Non possiamo celebrare il sacramento per eccellenza della «comunione» se prima non mettiamo a posto le nostre coordinate spirituali e relazionali. Per questo la Chiesa ci chiede di fermarci sempre prima di accedere alla Parola e al Pane e verificare le congruenze e le incongruenze nei confronti della nostra vocazione alla «comunione»: solo Dio sa leggere nella nostra coscienza e solo lui può abilitarci alla coerenza nella verità del rito che celebriamo.
Signore, hai dato la manna come cibo per affrontare il deserto. Kyrie, elèison!
Cristo, hai detto: questo è il mio corpo… prendete e mangiate. Christe, elèison!
Signore hai detto: questo è il mio sangue, prendete e bevete. Pnèuma, elèison!
Signore, resti con noi tutti i giorni come Parola, Pane e Vino. Kyrie, elèison!
Cristo, ti nutri della volontà del Padre tuo e Padre nostro. Christe, elèison!
Signore, invochi con noi il pane quotidiano per i poveri. Pnèuma, elèison!
Cristo, sei Pane e Vino, sigillo della speranza, Christe, elèison!
Dio santo, che ha nutrito il popolo d’Israele nel deserto e ha inviato Gesù «Pane vivo disceso dal cielo» abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen!
Spunti per la riflessione e la preghiera
Oggi celebriamo il corpo, anzi la carne. La parola carne indica in rapporto ai viventi tutto ciò che è corruttibile, fragile, mortale. Carne si oppone a Dio che è eterno, onnipotente e spirituale. Nel NT la parola carne ricorre 158 volte circa e ha sempre il significato di creaturalità/uomo/essere vivente finito. Il suo opposto è ciò che si riferisce a «spirito/spirituale». Tutta la fede cristiana è una tensione tra carnalità e spiritualità: questa tensione non si risolve nella negazione della prima a vantaggio della seconda perché la fede cristiana è tutta carnalità e tutta spiritualità, in forza dell’audace affermazione di Gv 1,14: «Il Lògos-carne fu fatto».
Nota esegetica
Della contrapposizione «Carne/Spirito» San Paolo ne fa il cuore del suo «vangelo». Sàrx-carne nelle lettere maggiori (Rm, Gal, 1-2 Cor) ricorre 57 volte, mentre Pnèuma-spirito non meno di 102 volte. Paolo è segnato dell’esperienza di Adamo ed Eva nel giardino di Èden, «fatto» che legge al modo rabbinico. Per lui l’uomo carnale è Adamo e quindi i suoi discendenti, mentre chi eredità lo spirito del risorto non può che essere anti-Adamo e produrre frutti spirituali. A titolo di esempio, basti un brano molto esplicito della lettera ai Galati: «16 Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. 17 La carne, infatti, ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
18 Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. 19 Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, 20 idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, 21invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. 22 Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23 contro queste cose non c’è Legge. 24 Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. 25 Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. 26 Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri» (Gal 5,16-24).
La solennità del Corpo e del sangue del Signore ci conferma in questa prospettiva e ci obbliga a prendere coscienza che l’Eucaristia è il sacramento principe di questa realtà «materiale», che al tempo stesso è «simbolica» e per questo non meno reale. Il Cristianesimo non è nemico della materia, del corpo e della sensibilità, al contrario esso valorizza ciò che è materiale perché lo riconosce e lo assume nella sua creaturalità, svuotandolo di ogni presunzione di sacralità. Oggi, infatti, noi celebriamo il «pane», il «vino» o per usare un linguaggio biblico: «la carne e il sangue».
La solennità del «corpus domini» è quindi l’immersione nella materia fisica, anzi nella gracilità della condizione umana che ora è anche la dimensione di Dio, l’eterno incarnato nella fragile consistenza di un pane e di un vino poveri alimenti della mensa dei poveri. Non è un banchetto succulento o ricco, è solo un pane e un vino: la desolazione della povertà. Nel sacramento dell’Eucaristia come in tutti i sacramenti, la materia simbolica che esprime il senso profondo della realtà è sempre un elementodella natura che è anche alimento dell’umanità come l’acqua, l’olio, il pane, il vino oppure elementi portanti della relazione umana, come il perdono e l’amore. Il senso di questi elementi/alimenti/relazione è rivelato da una parola formale che nel momento in cui li sottrae al loro significato materiale, li svela e li rivela come veicoli di un senso nuovo e vitale: «Questa è la mia carne… questo è il mio sangue» sono affermazioni da brivido che non possono essere più intese nel senso materiale, ma siamo costretti dalle parole stesse a entrare in una dimensione nuova che solo la rivelazione può esprimere: carne e sangue sono la natura del Figlio di Dio, la sua vita, e questa vita comunicata a noi in forma di cibo che alimenta la vita. Si forma così un circuito di comunione che alimenta in forma costante vita da vita.
Nota liturgica
Chi partecipa all’Eucaristia sale come Mosè sul monte Sinai per ricevere l’alleanza eterna e definitiva (Ger 31,31). L’Eucaristia non è «un momento», ma tutto l’insieme perché essa è il sacramento del «Lògos [che] carne fu fatto» (Gv 1,14). Il Lògos è la Parola, cioè il Progetto, la Prospettiva, l’Orizzonte, il Mondo di Dio, assunto negli elementi/alimenti umani: parola, pane, vino, acqua, fraternità = ekklesialità. Chi partecipa all’Eucaristia, concelebra con l’intera comunità e facendo di fatto la comunione due volte: una volta con le orecchie, ascoltando il Lògos e la seconda volta con la bocca mangiando lo stesso Lògos. Mentre ascoltiamo facciamo l’esperienza del prof. Ezechiele che mangiò il rotolo della parola e gli fu dolce al palato come il miele: «1Mi disse: “Figlio dell’uomo, mangia ciò che ti sta davanti, mangia questo rotolo, poi va’ e parla alla casa d’Israele”. 2 Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo, 3 dicendomi: “Figlio dell’uomo, nutri il tuo ventre e riempi le tue viscere con questo rotolo che ti porgo”. Io lo mangiai: fu per la mia bocca dolce come il miele. 4 Poi egli mi disse: “Figlio dell’uomo, va’, rècati alla casa d’Israele e riferisci loro le mie parole» (Ez 3,1-4).
Se questa è la prospettiva, l’Eucaristia è il cibo di chi è fragile perché senza quel pane e quella bevanda non potrà raggiungere il monte del Signore, esatta-mente come Elia che deve mangiare e bere se vuole reggere le difficoltà della vita e del deserto e rivivere l’esperienza a ritroso del suo popolo: «4 Egli s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”. 5 Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: “Àlzati, mangia!”. 6 Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pie-tre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. 7 Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: “Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”. 8 Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb» (1Re 19,4-8).
Nessuna condizione umana, nessuna situazione intricata, nulla può impedirci di mangiare il «cibo degli angeli» (Sap 16,20) perché è il cibo dei poveri, il cibo di chi ha fame e sete di Sapienza (Is 55,1 e Sir 51,25). Siamo stati creati per l’Eucaristia ed essa è la via per giungere all’alleanza annunciata da Gesù e testimoniata dal dono della sua vita. Gesù ha voluto il banchetto non per l’esclusione, ma per l’inclusione perché il suo sangue cioè la sua vita, è stato versato «per tutti». Nulla è estraneo a Dio, non lo spirito, non la materia, non il nostro corpo che partecipa della sua stessa identità. Ogni giorno, facendo la comunione, noi diventiamo «Parola di Dio» ascoltando e «Corpo di Cristo», mangiando e nel momento in cui lo riceviamo Parola/Carne noi ne prendiamo atto e lo attestiamo solennemente rispondendo: «Amen/Tu, mio Dio, sei il mio Re Fedele», inserendoci così anche noi in una dimensione di fedeltà. Il nostro corpo è anche sede di passioni, di tendenze, di fratture, di ansie, di bisogni, di aneliti, di stanchezze, di malattie, di fatica, di pesantezza, di forza, di gioia, di tenerezza… tutto ciò fa parte della fragilità umana e in quanto tale appartiene a Dio perché oggi «nella carne di Dio» noi celebriamo «un Dio di carne».
In ebraico la parola «cuore» si dice «lebàb» (pronuncia: levàv) e insegnano i rabbini che le due «b» stanno a significare le due tendenze che animano il cuore umano: quella verso il bene e quella verso il male che non possono essere estirpate per cui bisogna amare Dio con tutte e due le tendenze, anche con la tendenza verso il male. Per questo nello Shemà Israel si dice «amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze (= tutti i tuoi averi)» (Dt 4,5). Coloro che separano lo spirito dalla carne, l’anima dal corpo, fanno un’operazione antistorica e contraria alla fede. Oggi è il giorno della «fisicità» di Dio il quale raggiunge il culmine di un lungo processo di incarnazione iniziata nell’esodo attraverso segni anticipatori del sacramento che oggi viviamo come realtà di fede. Tutta la storia della salvezza prepara al punto di arrivo che è il discorso del «pane» di Gv 6. Un lungo percorso per giungere alla carnalità di Dio:
- Nel deserto il popolo è nutrito con la manna che Dio provvede (Es 16,13-15), quasi a dire che il sostentamento della vita e la vita stessa sono opera esclusiva di Dio. L’esodo della libertà è segnato e nutrito dal pane e dall’acqua che piovono dal cielo, senza concorso umano. Si direbbe che l’esodo è la fatica di Dio che porta il peso della sopravvivenza del suo popolo. Nell’esodo Dio si fa manna.
- Pane al mattino e carne alla sera ricevette anche Elia, quando fuggì dalla regina Gezabèle e rifece al contrario il cammino del suo popolo: dalla terra promessa alla montagna di Dio, l’Òreb = Sinai (1Re 17,6). Camminare verso la montagna di Dio non è una passeggiata, ma un esodo che impegna la vita stessa e bisogna essere equipaggiati per non morire lungo la strada: «Alzati, mangia perché il cammino è troppo lungo per te. Si alzò, mangiò, bevve e camminò con la forza di quel cibo quaranta giorni e quaranta notti verso il monte di Dio, l’Òreb» (1Re 19,7-8).
- La vedova di Sarèpta prepara un pane per il profeta Elìa, anticipo del pane eterno perché la farina della sua madia non si esaurì (1Re 17,11-16).
- Gesù stesso ricorda la manna come anticipazione del pane disceso dal cielo che ora è lui stesso, mandato dal Padre a nutrire gli uomini con la sua volontà di salvezza (Gv 6,31-33).
Ogni volta che celebriamo l’eucaristia facendo memoria condivisa del pasto di Gesù in cui volle «legarsi» definitivamente a noi e alla dimensione della nostra vita umana, noi entriamo nel «mistero pasquale» della passione, della morte, della risurrezione, dell’ascensione e della pentecoste e sperimentiamo la vita di Dio come alimento, cibo e bevanda, comunione di vita, sacramento di unità, anticipo della vita eterna. Nel giorno in cui veneriamo e viviamo Dio in quanto corpo/carne, non possiamo non pensare ed essere uniti e solidali con tutti i corpi/carne dilaniati, squartati, violati, violentati e stuprati nel mondo. Oggi il nostro cuore è accanto ai bambini e alle bambine vittime della pedofilia, di cui si rende colpevole anche chi dovrebbe essere maestro e custode dei corpi indifesi. Oggi vogliamo essere accanto e solidali con le donne violate e vilipese nel loro corpo e quindi nella loro anima. Vogliamo essere un argine alle violenze immonde e per questo chiediamo di diventare «ostie» di frumento fragile e fragrante, simbolo di fedeltà alla Vita.
Celebrare il «corpo del Signore» significa anche prendere coscienza che questo «corpo» di Dio patisce la fame a causa della miseria causata da sistemi d’ingiustizia e di potere che si autodefiniscono cristiani. La fame di tanta parte dell’umanità, dopo duemila anni dall’incarnazione di Cristo nella nostra umanità, è la bestemmia più grave che grida al cospetto di Dio. «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» è ancora l’urlo dei «corpi di Cristo» abbandonati alla morte per fame e miseria: fame di dignità e di decoro, fame di giustizia e decenza, fame di diritti e di ospitalità, fame di vita e di amore.
Nel ricevere «il corpo e il sangue di Cristo» nella comunione, prendiamo consapevolezza e coscienza di essere responsabili di quella di affamati nel corpo da non avere nemmeno la forza di accorgersi di avere un’anima. La nostra dimensione, quando sperimentiamo l’impotenza e la solitudine di fronte alle grandi sfide della storia, non può essere che la prospettiva sacerdotale della lettera agli Ebrei 10,5-7, quella prospettiva esige da noi che diventiamo come Lui «corpo e sangue» che si spezza e si effonde per la condivisione dei poveri: «5 Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. 6 Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. 7 Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”».
Queste parole, oggi, solennità del Corpus Domini, sono Parola di Dio, profezia annunciata su ciascuno di noi, perché ora, qui e adesso, nel momento della comunione con la Sua Carne e il Suo Sangue, ciascuno possa dire: «Ecco, io vengo, o mio Re Fedele, per fare la Tua Volontà!», cioè «Amen! Amen!».
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