Mensa della Parola: 1Re 19,4-8; Sal 34/33,2-3.4-5.6-7.8-9; Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51
La 19a domenica prosegue la lettura semicontinua del capitolo 6 di Gv.. Nella 1a domenica in cui è stata iniziata la proclamazione di Gv 6 (domenica 17a ordinaria-B) abbiamo assistito al fatto materiale del miracolo, o meglio al segno che la folla assetata di «miracoli» non ha saputo cogliere e riconoscere. Nella 2a domenica (18a ordinaria-B) siamo entrati dentro questo segno per coglierne le coordinate di senso: dal pane materiale si sale al pane che dura per la vita eternae che Gesù assume come criterio di conoscenza e di verità per imparare il metodo della sequela. Assumere il «pane della vita» (o il pane che è la vita o dona la vita) significa decidersi di volere conoscere Gesù da cui imparare ad apprendere il suo progetto per raggiungere il Padre. A questo punto siamo stati invitati a varcare la soglia dell’intimità di Gesù per intravvederne la personalità, scoprendo così la necessità di cercarlo, trovarlo, ma soprattutto incontrarlo nella sua intima identità, superando le impressioni superficiali, tipiche della folla. Proseguiamo l’approfondimento della personalità di Gesù che provoca opposizione e scandalo. La fede è stare nel cuore della lotta e prendere posizioni, spesso scomode che di sicuro condizioneranno la nostra vita e le nostre relazioni. Gesù non è solo il profeta che sfama, ma è il Pane stesso che sfama per sempre; non è solo l’inviato mediatore, ma è «Io-Sono», cioè il Volto visibile del Dio che si è manifestato nella nube del Sinai (Es 19). Gesù è la rivelazione di Yahwèh. Bisogna però fare ancora un passo, un passo personale con un interrogativo che non può essere delegato e che si condensa nella domanda che non può più essere elusa: Chi è, dunque, Gesù per me? Nell’AT, la figura di Elia, più di ogni altra, è legata alla personalità del Messia: secondo la tradizione è lui che deve annunciarne l’arrivo. Gesù è consapevole della funzione di Elia e lo identifica con Giovanni Battista, il precursore.
Il tema del viaggio di Elia al monte di Dio (1Re 19,4-8: 1a lettura odierna) si addice all’Eucaristia, pane durante il viaggio della vita verso la conoscenza, non di una Legge scritta sulla pietra, ma del Lògos che «carne fu fatto» (Gv 1,14) per rivelare a noi il volto della paternità di Dio (Gv 1,18). Durante il viaggio, il cristiano ha un solo metodo, come insegna Paolo nella 2a lettura: «camminare nella carità, nel modo in cui anche Cristo ha amato e ha dato se stesso per noi» (Ef 5,2). Il profeta è colui che riprende sulle proprie spalle e nella propria esperienza l’intero vissuto del popolo di cui è membro vivo. Egli potrà profetizzare in nome di Dio solo ciò che sperimenta: non può fare proclami, ma la sua parola deve essere garantita dalla sua vita e dal suo stile di vita. Un profeta non credibile rende «incredibile» anche Dio. Ieri come oggi il prezzo che il profeta paga è spesso la solitudine ecclesiale, perché egli può essere solo in mezzo al suo stesso popolo, ma è sempre presente davanti alla Shekinàh/Dimora/Presenza di Dio che non lo abbandona e non permette che soccomba. O meglio, Dio è sempre presente al suo profeta anche quando tutto fa pensare il contrario. Ripercorrendo in senso opposto il percorso dell’esodo, dalla terra promessa al monte Sinai, Elia ritorna alla sorgente dell’esistenza del suo popolo e, quasi in un cammino di purificazione, rivive il suo esodo personale come memoriale dell’esodo perduto del suo popolo che si è prostituito con gli idoli. La responsabilità della prostituzione religiosa è dal profeta attribuita alla politica immorale della regina fenicia Gezabèle, sposa del re di Israele, Àcab (875-852). Solo rivisitando il memoriale dell’esodo, Elia può superare e vincere lo scoraggiamento e, di nuovo, affrontare i rischi e gli imprevisti del nuovo viaggio che lo guiderà ad annunciare la Parola senza condizionamenti e senza paura. Anche Gesù nel vangelo, dopo avere sfamato la folla e insegnato ai suoi discepoli, si trova solo e deve chiedere: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Egli intende la moltiplicazione del pane come segno di un mondo nuovo, mentre la gente la interpreta come miracolo materiale da sfruttare. Consapevole dell’incomprensione della folla, Gesù non perde tempo a dare spiegazioni, ma si ritira sul monte tutto solo (Gv 6,15) a ripensare nella sua coscienza il suo ministero alla luce degli eventi. È più facile essere sacerdoti che profeti: il primo gestisce il culto come un’impresa che esige presenza fisica, controllo e ripetitività, ma non coinvolgimento dell’anima; il profeta invece si appella alla coscienza e parla con la vita (le figure tipiche di Elia, Osea e Geremia).
Nella 2 a lettura Paolo è sulla stessa linea: non basta essere battezzati, bisogna incarnare nella vita quest’appartenenza, evitando i peccati di lingua come la menzogna opposta alla verità (Ef 4,25) e la maldicenza (Ef 4,31) opposta alla carità. Per Paolo il contrasto è tra Spirito e lingua: lo Spirito è accoglienza della Parola di verità cioè del vangelo della salvezza predicato da lui, quindi non è più possibile pronunciare parole di menzogna o di malizia che lo negherebbero. Lo Spirito è comunione con Dio e con quanti sono in comunione con lui, formando così quella misteriosa realtà che si chiama corpo mistico o corpo di Cristo, cioè la Chiesa (Ef 1,12; 4,22-23; Col 1,18.24).
Celebrare l’Eucaristia è compromettersi con la profezia della Parola che annuncia la frantumazione del Pane che deve essere distribuito alle folle perché abbiano coscienza degli eventi di Dio. Nella tradizione ebraica da sempre la figura di Elia è legata al Messia di cui sarà il precursore. La tradizione cristiana ha identificato Elia in Giovanni Battista che Gesù stesso presenta come suo precursore in linea con le aspettative giudaiche (Mt 11,13-14). Insieme a Mosè che rappresenta la Toràh, Elia che rappresenta la profezia è il testimone qualificato di Gesù come Messia di Israele. Elia e Mosè rappresentano l’AT dal suo inizio fino al suo compimento nella vita, nelle parole e nella persona di Gesù.
Nel Vangelo troviamo l’equazione tra credere e mangiare perché la fede ha la stessa logica e la stessa struttura della vita biologica: sacco vuoto non può stare in piedi. L’ingiustizia che governa il mondo si regge sui sacchi vuoti della miseria e della povertà che all’inizio del terzo millennio dell’era cristiana rendono schiavi più di tre quarti dell’umanità. Compito della Chiesa che celebra il sacramento del Pane spezzato è farsi pane come Gesù e distribuirsi in cibo a tutti senza differenza e distinzione perché il pane che mangiamo è «il Pane disceso dal cielo» (Gv 6,51). Nel vangelo di oggi, i Giudei mormorano contro Gesù sull’altra riva del mare di Galilea (Gv 6,41), come i loro antenati mormorarono contro Mosè nel deserto. Borbottare significa non assumersi le responsabilità delle proprie posizioni, ma mimetizzarsi nel lamento indistinto degli altri. Spesso la nostra vita è un borbottìo piuttosto che una parola chiara, una scelta consapevole. Chiedere perdono a Dio significa chiedere il dono della «parola» che è trasparenza e senso di dignità. Supplichiamo lo Spirito perché non cediamo mai al mormorìo che ci nasconde nell’anonimato, invocando la misericordia di Dio.
Esame di coscienza
Invochiamo il perdono di Dio, fondamento della nostra libertà con le parole della Chiesa Ortodossa nella Liturgia di San Giovanni Crisostomo:
Signore, abbiamo mormorato contro il pane della volontà di Dio. Kyrie, elèison!
Cristo, alla conoscenza della tua Parola abbiamo preferito il nostro mormorìo. Christe, elèison!
Signore, al Pane disceso dal cielo abbiamo anteposto cibi molto passeggeri. Kyrie, elèison!
Cristo, abbiamo preteso di camminare senza il nutrimento della tua Parola. Christe, elèison!
Signore, risanaci dall’egoismo per essere con te pane spezzato di comunione. Kyrie, elèison!
Il Dio di Elia e di Mosè, di Paolo e dei profeti, il Dio che manda dal cielo il suo Pane sulla terra abbia misericordia di noi perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
Spunti per la riflessione e la preghiera
Nella domenica 17a, abbiamo incontrato il profeta Elia che sfamava la gente con un pane di orzo ricevuto gratuitamente; nella domenica 18a (domenica scorsa) è Dio stesso che provvede la manna per il popolo affamato e stremato nel deserto; oggi è Elia il profeta intransigente ad avere bisogno di essere sfamato e Dio lo provvede di pane e acqua (1Re 19,6). Nel NT, Dio si offre cibo e bevanda di comunione per la vita eterna: nel vangelo di oggi, infatti, si ripete l’affermazione: «pane disceso dal cielo» o simile (Gv 6,41.48.50.51). La figura di Elia è veramente propedeutica alla conoscenza di Gesù perché anticipa i temi che Gesù svilupperà e farà suoi nella sua vita:
- Elia sperimenta lo scoraggiamento come tentazione fino a desiderare la morte (1Re 19,4; Mt 26,36-46) perché è rimasto solo dalla parte di Dio, ricercato dalla polizia di stato, e deve scappare (1Re 19,1-3; Gv 18,3; Mt 26,47). Abbandonato anche da quel popolo che prima lo osannava come profeta di Dio (1Re 18,39; Gv 12,12-13), mentre ora si adegua servilmente al potere e lascia Elia nella più totale solitudine (1Re 19,3-4; Mt 26,36-46).
- Elia annuncia la dilazione del tempo per giungere alla conversione. Il tema della dilazione è descritto nella cifra dei 40 giorni e 40 notti (1Re 19,8) ed è lo stesso tema che Gesù, citando Isaia, annuncia nella sinagoga di Nazareth proclamando «un anno di misericordia» (Lc 4,19; Is 61,2). Anche Gesù sperimenterà i 40 giorni e le 40 notti nel deserto (Mt 4,2) come erede del popolo d’Israele che anche egli assume nella sua esperienza, non solo come profeta della nuova alleanza e guida verso il Regno di Dio, ma come la Presenza fisica di Dio sulla terra. Dio non ha fretta perché a lui interessa solo l’esito della salvezza «perché nulla vada perduto» (Gv 6,12: anche vangelo della dom. 17a -B).
- Elia è accostato a Mosè, il condottiero e il profeta per eccellenza. Ambedue sono legati dallo stesso percorso (40 anni di viaggio per Mosè [Nm 32,13]; 40 giorni per Elia [1Re 19,8]) e dalla stessa montagna da cui Mosè parte verso la Terra promessa, e verso cui Elia si dirige per trovarvi rifugio, fuggendo dalla Terra promessa. Mosè è il legislatore che conosce il mistero di Dio da cui riceve la parola scritta dell’alleanza, mentre Elia è il profeta che ritorna alla sorgente, al monte da dove il mistero di Dio si è svelato divenendo in qualche modo «parola incarnata», che egli deve precedere e annunciare. L’uno e l’altro nella tradizione cristiana saranno associati alla figura di Gesù, l’uomo che svela definitivamente il mistero di Dio nel racconto della Trasfigurazione, di cui sono testimoni Mosè in rappresentanza della Toràh ed Elia in rappresentanza della Profezia (Mt 17,3-4; Mc 9,4-5; Lc 9,30-31).
Gv 6: Gesù | Es.: Mosè |
Sulla scia di Elia il profeta e di Mosè il condottiero, Gesù pone i suoi ascoltatori e noi lettori di fronte ad un bivio: o si viene a lui (Gv 6, 37.44-45) o si «mormora» contro di lui per le cose che richiede (Gv 6,41; Mt 20,1-15), richieste che indicano le esigenze forti legate al suo messaggio. Le mormorazioni dei Giudei (Gv 6,31 e 41) rimandano al parallelo tra Gesù e Mosè:
v. 1 | Gesù ha attraversato il mare di Galilea | 14,21-22 | Mosè il Mar Rosso |
vv. 5.32 | Gesù vuole sfamare la folla con l’Eucaristia in vista del Regno di Dio | 3,8 | Mosè sfamò il popolo con la manna in vista della Terra Promessa |
v. 41 | gli Ebrei di oggi mormorano contro Gesù | 15,24111 | gli Ebrei nel deserto mormorano contro Mosè |
v. 50. (38.41.51) | Gesù è «il pane che discende dal cielo» | 16, 4.8-9 | la manna, «il pane disceso dal cielo»
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Gv 6,49 rende esplicito e diretto il rapporto tra la manna di Mosè e il pane/corpo, svelando così la sua intenzione di mettere in relazione gli eventi del deserto con quelli nuovi che accadono attorno a Gesù. Non si può capire pertanto il senso della manna senza partire dal discorso di Gesù e non si può capire il discorso di Gesù senza comprendere prima il «segno» profetico della manna di Mosè: «I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”. Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero» (Gv 6,31-32).
Gv 6 vuole rileggere il racconto dell’Esodo in chiave attualizzante: l’Eucaristia realizza oggi ciò che l’Esodo aveva anticipato come simbolo. Troviamo qui applicato il metodo di esegesi ebraica, il Midrash, che spiega la Scrittura con la Scrittura. Il brano è un affresco che dipinge la personalità di Gesù e la coscienza che egli ha di sé, inserendo i singoli temi sia nella prima parte (Gv 6,35-47) che nella seconda (Gv 6,48-59). La liturgia non riporta il brano Gv 6,35- 40 contenente due progressioni di rivelazione:
1ª- la personalità di Gesù che si rivela come Pane:
- Gv 6,35: Io-Sono il pane della vita (ripreso al v. 48).
- Gv 6,41: Io sono il pane disceso dal cielo (ripreso al v. 58).
- Gv 6,51: Io-Sono il pane vivo, disceso dal cielo.
2ª- la volontà di Dio che è il perno della vita di Gesù:
- Gv 6,38: Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
- Gv 6,39: Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno.
- Gv 6,40: Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Nella prima progressione si passa dal pane della vita ad un gradino superiore, perché questo pane di vita è disceso dal cielo. Così si conclude che non è solo pane della vita, disceso dal cielo, ma anche pane vivo che rimane. Nella secondaprogressione abbiamo una conoscenza sempre più approfondita della rivoluzionaria volontà del Padre. L’obiettivo di Cristo-Pane è proprio la volontà del Padre, non la propria; questa volontà non è una sudditanza passiva, ma una missione: non perdere alcuno (la salvezza è per tutti), offrendo anche i mezzi di salvezza (la fede nel Figlio come via al Padre). La volontà del Padre è volontà di salvezza universale, attraverso la vita del Figlio. Ecco perché è Pane disceso dal cielo. Offriamo un elenco incompleto dei temi che il brano di oggi ci offre:
a) Domina la figura del Padre citato 9x (Gv 6,38.39.40.44.45.46[2x].57[2x]). La personalità di Gesù non può essere intuita e compresa se non nella «volontà di colui che lo ha mandato». Strano risultato! Gesù viene per rivelare il Padre (Gv 1,18) e nello stesso tempo solo chi ha «udito il Padre e imparato da lui» (Gv 6,45) può vedere Gesù e credere in lui.
b) Gesù rivela la coscienza che ha nel suo rapporto con il Padre (Gv 6,38: non «la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato»).
c) Ad essa si contrappone l’opinione dei Giudei fermi alla paternità terrena di Giuseppe (Gv 6,42).
d) I Giudei danno a Gesù il titolo di «figlio di Giuseppe» (Gv 6,42) a cui Gesù contrappone quello messianico di «Figlio dell’uomo» (Gv 6,53): titoli che costituiscono una cristologia bassa, povera, essendo i due titoli ancora nella dimensione messianica e non in quella della divinità espressa.
e) Le espressioni «vedere il Figlio» (Gv 6,36.40) e «venire a me» (Gv 6,35.36.37[2x].44.45) sono sinonimi di «credere in me» (Gv 6,35.36.40.47).
f) La formula di auto-rivelazione «Io-Sono» ricorre 4x (Gv 6,35.41.48.51), svelando così la personalità di Gesù.
g) Gesù pone a confronto gli effetti dell’azione dei «vostri padri» (v. 49) con ciò che fa il «Padre» suo (Gv 6,37. 44-46.57): «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno»; «I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti» (Gv 6,44. 49).
h) Il tema della manna/pane lo abbiamo riportato molte volte per ritornarci ancora, ma qui è interessante riportare il testo del Targùm che commenta Es 16,4 e 15.
Il Pane conservato è il pane dei comandamenti e quindi dell’alleanza: il Pane della parola di Dio che nella Toràh nutre e vivifica il popolo santo. I il Giudaismo del sec. I era in attesa del tempo del Messia come un tempo in cui Dio avrebbe rinnovato il miracolo della manna (2Bar 29,8; Or Sib 7,148-149; Rut R. 2,14) che non è solo un cibo per sfamare, ma principalmente il cibo che nutre l’obbedienza ai comandamenti del Padre. Gesù mette al centro del suo vangelo il comandamento dell’amore, riducendo ad esso i 613 precetti della tradizione giudàica. Infine, la manna è la Parola di Dio che si incarna nei comandamenti che nutrono chi li vive, come insegna anche la Sapienza (16,20-21.26). Il pane degli angeli diventa il nutrimento dei figli di Dio, infatti sono custoditi e conservati direttamente dalla Parola ascoltata e praticata nel comandamento dell’amore.
Abbiamo visto quanto sia complesso il capitolo 6 di Gv pur nella semplicità del suo messaggio eucaristico. Da ciò apprendiamo come sia pericoloso leggere la Scrittura in modo fondamentalista e quanto sia necessario conoscere lo sfondo giudaico in cui il testo è nato ed è stato proclamato. L’Eucaristia per noi è quello che per gli Ebrei era (ed è) la sinagoga: scuola della Parola che attraverso il linguaggio c’insegna il pensiero di Dio e ci svela la sua vera natura: Pane di vita e Vino di alleanza. L’Eucaristia imbandisce un banchetto con due mense: la mensa della Parola, che è l’Eucaristia attraverso le orecchie, e la mensa del Pane, che è l’Eucaristia attraverso la bocca. Ascoltare e mangiare, in questo contesto, sono sinonimi perché indicano le forme della comunione vissuta: nell’Eucaristia facciamo la comunione due volte: la prima attraverso gli orecchi e la seconda attraverso la bocca realizzando così il cuore stesso dell’annuncio del vangelo del pane disceso dal cielo: «Il Lògos carne fu fatto» (Gv 1,14).
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