Mensa della Parola: Gn 9,8-15; Sal 25/24, 4bc-5ab. 6-8bc. 8-9; 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15
La Quaresima è il 2° «tempo forte» dell’anno liturgico dopo l’Avvento. Si chiamano «tempi forti» perché precedono i due pilastri della fede cristiana: l’incarnazione in chiave escatologica, cioè la nascita nel contesto della salvezza che si fa storia (Avvento-Natale), e il «mistero pasquale», l’atto trinitario supremo in cui si compie l’«alleanza nuova ed eterna» di cui parla Ger 31,31 (Quaresima-Pasqua) e che Gesù fa propria nell’ultima cena (Lc 22,20).
Nella quarantena che precede la Pasqua, si sospende il ciclo della lettura continua della Scrittura e si segue lo schema tematico penitenziale precedente la riforma del concilio che Paolo VI non volle toccare per rispetto della tradizione o meglio per venire incontro a chi contestava la riforma. Ne consegue che l’Anno-A ha mantenuto le letture esistenti, mentre sono state aggiunte le letture per gli Anni B e C, arricchendo la liturgia di nuovi testi e inserendo le narrazioni di Mt e Lc.
Lo scopo primario della Quaresima è l’imitazione della quarantena trascorsa da Gesù nel deserto, oggi localizzato nel deserto di Giuda sul monte Qarantàl, custodito dai monaci greci ortodossi, nei pressi di Gerico. Gesù digiunò «quaranta giorni e quaranta notti», rivivendo personalmente l’esperienza che il suo popolo fece dopo l’uscita dall’Egitto, peregrinando quarant’anni nel deserto del Sinai, tentato dalla fame, dalla sete, dall’idolatria e dall’infedeltà. Imitare ciò che vissero Israele prima, e il Signore dopo, è per noi quasi un sacramentale, un momento privilegiato della fede.
Fino al concilio di Nicèa (anno 325) non si hanno testimonianze dell’istituzione del tempo quaresimale e «non sappiamo con certezza dove, per mezzo di chi, né [sic!] in quali particolari circostanze sia sorto l’istituto quaresimale», possiamo quindi dedurre che esso si sviluppò dalla fine del sec. V, quando la Chiesa cominciò a organizzarsi come «curia» dell’impero costantiniano e ristrutturando il tempo delle celebrazioni, non solo come narrazione della vita del Signore, ma anche come tempo di formazione e di catechesi per i «catecumeni». Quest’ultimi, a motivo delle invasioni barbariche, aumentarono e si rese necessario predisporre elenchi di penitenti che dovevano ricevere una formazione, di-sposta nei quaranta giorni precedenti la Pasqua. Lo sbocco catecumenale era naturalmente la Veglia pasquale del Sabato Santo, quando si rinnovava il fuoco, simbolo della rinascita della vita nuova, si benediceva l’acqua, in memoria del Mare Rosso, immergendovi i nuovi cristiani, che risalivano battezzati e santificati nella «nuova alleanza». Inevitabilmente la quaresima acquistò un carattere esclusivamente penitenziale, come ancora oggi sancisce il Codice di Diritto Canonico (CJC nn. 1249 a 1253).
La Quaresima inizia il mercoledì delle ceneri, che segue immediatamente l’ultimo giorno di carnevale, e termina il Giovedì Santo, portando così, di fatto, il periodo quaresimale a 44 giorni. L’anticipo al mercoledì fu certamente legato alla fine del carnevale, in origine festa campestre invernale per scongiurare i rischi della semina nei campi e auspicarne la rinascita a primavera. Nelle campagne in inverno spesso non si lavorava, a causa del maltempo, per cui si trascorreva il tempo raccontando saghe e fugando la tristezza invernale con la «risata», come rito scaramantico col potere di respingere gli spiriti maligni, da cui nacque l’usanza di portare maschere ridenti.
Come ogni evento umano, con il passare del tempo si registrarono deviazioni e storture, trasformando il carnevale in un’occasione di licenziosità sessuali sfrenate in due direzioni: da una parte si sviluppa una sorta di liturgia orgiastica per mimare la fecondazione e il risveglio della terra perché si apra alla sua fecondità rigogliosa; dall’altra, come era inevitabile, la trasgressione simbolica s’estende anche alla vita individuale e collettiva in contrapposizione dell’ordine sociale e religioso costituito, troppo ossessivo e repressivo.
Il giorno dopo il carnevale, dunque, inizia la Quaresima con un giorno di digiuno e di astinenza dalle carni, cioè con un processo di purificazione totale per tutte le licenziosità e impurità commesse fino al giorno prima. Il digiuno poi proseguiva per tutti i quaranta giorni restanti, come plastico ed effettivo invito all’essenzialità e alla sobrietà della vita. Il tempo recuperato doveva essere dedicato alla preghiera e alle pratiche caritative, ritrovando così la trilogia ebraico-cristiana del digiuno, della preghiera e della elemosina/carità, come segni caratteristici del tempo di Quaresima. Oggi il digiuno e l’astinenza dalle carni sono riservati solo al Mercoledì delle Ceneri e al Venerdì Santo, mentre nei venerdì diQuaresima è suggerita solo l’astinenza dalle carni che può essere sostituita da un atto di carità o da un tempo più consono di preghiera.
Digiunare significa assumere l’austerità come criterio e dimensione di vita sobria. La riforma liturgica di Paolo VI, infatti, ha ripreso la natura interiore del digiuno cristiano, superando la formalità di un gesto puramente simbolico. Non è il digiuno materiale che salva, ma l’atteggiamento del cuore e la disponibilità dell’anima a lasciarsi abitare dallo Spirito, sulla linea del profeta Isaìa.
Iniziamo il pellegrinaggio verso la Pasqua santa «con i fianchi cinti, i calzari ai piedi, il bastone in mano» (Es 12,11), con la forza e il sostegno dello Spirito Santo, la cui pienezza riceveremo ai piedi della Croce (Gv 19,30) e da Gesù risorto (Gv 20,22).
Pellegrini verso la Pasqua attraversiamo le cinque settimane di quaresima, imitando gli Ebrei che ai piedi del Sinai attendono Mosè che sta sul monte quaranta giorni e quaranta notti prima di ricevere la Parola scritta e subito dopo pellegrinano nel deserto per quarant’anni. Accompagniamo gli abitanti di Nìnive che prima dello scadere dei quaranta giorni annunciati da Giona si convertono. Seguiamo, infine, il Signore Gesù che spinto dallo Spirito (Mc 1,12) va nel deserto per esservi tentato. Andiamo con fiducia perché lungo è il cammino, ma grande la forza che a noi viene.
Dio rinnova l’alleanza con Noè, l’alleanza di Abramo e la rinnova per sempre. Egli appende sulle nubi l’arco di guerra e lo trasforma in un arcobaleno, simbolo dell’armonia dell’universo e della pace universale che possono coesistere ed esistere in tutto il mondo a condizione che il nostro cuore sia disposto a dare accoglienza all’armonia e alla pace. Nulla può esistere nel mondo che prima non sia stato nel nostro cuore. Fondamento e premessa della conversione interiore è il perdono di Dio che rinnova e purifica per una nuova prospettiva e un’avventura. Invochiamo su di noi, sulla Chiesa e sul mondo il suo perdono che è la sua pace.
Esame di coscienza
Signore, tu hai rinnovato l’alleanza con Noè per una nuova umanità. Kyrie, elèison!
Cristo, che nell’arca di Noè hai prefigurato la Chiesa, sacramento di salvezza. Christe, elèison!
Signore, ricòrdati di noi nella tua misericordia e per la tua bontà. Kyrie, elèison!
Cristo, che nell’acqua del battesimo ci salvi come salvasti Noè dal diluvio. Christe, elèison!
Signore, fosti tentato nel deserto perché noi resistessimo agli assalti del nemico. Kyrie, elèison!
Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
Spunti di preghiera e riflessione
A noi sembra che il racconto del battesimo e quello delle tentazioni, narrazioni essenziali in Marco, a differenza di Mt e Lc, abbiano una corrispondenza tematica che mette in opposizione i due racconti, come paradìgmi di due mondi e di due prospettive, messe in evidenza da Gesù nel battesimo e da Satana nelle tentazioni. Lo sfondo è costituito dalla presenza ombrosa di Adamo ed Eva, i progenitori di cui Gesù è presentato come il modello opposto e contrario. Approfondiamo il testo come ce lo può permettere lo spazio liturgico.
L’espressione «Avvenne in quei giorni» è tipicamente semitica e viene usata quando si vuole rendere contemporaneo un evento o un fatto o se si vuole attirare l’attenzione del lettore di fronte all’importanza di ciò che sta accadendo. L’autore avrebbe potuto dire: «In quei giorni Gesù venne da Nazareth e fu battezzato»: così infatti lo rendono le traduzioni. L’autore invece vuole mettere l’accento sull’importanza dei fatti che sta raccontando. L’espressione «in quei giorni» si riferisce al tempo di Giovanni il Battezzante, che ora giunge al suo compimento, come sappiamo da Mc 1,14: «Dopo che Giovanni fu arrestato», che indica la continuità tra Gesù e il Precursore, quasi vi fosse un passaggio di testimone affinché il messaggio di Giovanni non sia interrotto perché non può essere fermato.
Dal vangelo di Mc apprendiamo una cosa inaudita: le tentazioni sono un’iniziativa dello Spirito: «lo Spirito sospinse Gesù nel deserto» (Mc 1,12), idea che mantengono anche gli altri due sinottici (Mt 4,1; Lc 4,1), con una variante in Lc per il quale «Gesù pieno di Spirito Santo ritornò dal Giordano» e quasi protetto da lui si recò nel deserto per esservi tentato: «nello/con lo Spirito se ne andava nel deserto» (Lc 4,1).
Per iniziativa propria Gesù passa da Nazareth al Giordano come se andasse a un appuntamento fissato; ma dal Giordano al deserto passa per iniziativa dello Spirito, come se in Gesù vi fosse una qualche resistenza. Tra i due movimenti c’è correlazione perché non si prende coscienza di essere figli di Dio senza sperimentare nel contempo la tentazione di ripudiare il padre per fare la propria volontà. Sta accadendo quello che accadde nel giardino di Èden, dove il primo primogenito, Adamo, volle usurpare l’autorità di Dio creatore, mentre ora il nuovo Adamo (1Cor 15,45.22) si lascia condurre dallo Spirito per entrare nella tentazione del mondo, viverla fino in fondo, fino alla lacerazione dello spasimo dell’anima e abbandonarsi filialmente alla volontà del Padre.
Nell’azione dello Spirito che «sospinge Gesù nel deserto» c’è un’indicazione di violenza, di forzatura, come se il figlio volesse resistere al tentativo di sottomettersi alla prova che vuole misurare la forza del suo rapporto col padre. La direzione è verso il deserto, qui inteso nell’accezione di antitesi al mondo abitato: è il luogo della solitudine e della morte, del rischio e della non vita. Non è solo un deserto geografico, ma un «luogo» interiore che ciascuno si porta con sé ovunque vada. A volte il deserto, spesso imposto dall’esterno, è il prezzo da pagare alla fedeltà della propria coscienza e quindi a Dio.
Come il battesimo, anche le tentazioni pongono un problema grave: può il Figlio di Dio essere battezzato in fila con i peccatori e può essere tentato da Satana? I due racconti (battesimo e tentazioni) sono controproducenti a fini propagandistici: gli Ebrei restano scandalizzati e i Greci allibiti (1Cor 1,23). Colui che è accreditato come il Messia è l’ultimo dei peccatori e quello che è proposto come Dio Salvatore è in balìa di quel Male che dovrebbe combattere. Battesimo e tentazioni restano un mistero ed è dentro questo mistero che dobbiamo entrare con l’aiuto dello Spirito Santo, lo stesso che conduce Gesù vero la tentazione.
Prendiamo atto che tutti e tre gli evangelisti sinottici riportano il racconto delle tentazioni; e nonostante i problemi che ciò comporta, significa che la tradizione nei suoi vari filoni è unanime a questo riguardo: Gesù è stato tentato. Gesù è una persona unica e in lui natura divina e natura umana, pur distinte, non sono separate, almeno secondo la teologia comune, affermata dai concili dei primi secoli. In modo particolare noi non possiamo separarle perché i contemporanei di Gesù vedevano «l’uomo» e solo per indotto vedevano «Dio». A rigore di logica dovremmo accentuare l’umanità di Gesù se volessimo davvero incontrare la sua divinità.
Costatiamo che se i tre evangelisti sinottici riportano il racconto (che ognuno interpreta secondo le sue esigenze), nonostante che fosse controproducente e creasse dei problemi seri alla loro predicazione, ciò vuol dire che il fatto è vero e solo per questo deve essere divulgato. Se il racconto delle tentazioni è vero, e se Gesù era solo (tutti i testi sono unanimi nell’affermare il fatto che Gesù fosse solo), come hanno fatto gli evangelisti a conoscerlo? Da chi lo hanno appreso? Non c’è che una risposta. Gesù stesso deve averne parlato ai suoi discepoli, forse in un momento di intimità, forse nel tempo tra la risurrezione e l’ascensione. Non sappiamo, ma possiamo dire che non vi sono altre spiegazioni. Se Gesù ne ha parlato sicuramente il fatto ha un’importanza capitale per noi e per tutti i credenti di tutti i tempi. Qual è il senso allora delle tentazioni? Ci fermiamo solo a Mc, perché gli altri due testi si leggono negli altri anni liturgici (A e C).
Mc, nella sua brevità fulminante (due versetti appena: Mc 1,12-13), ci offre alcuni indizi che aprono interi orizzonti sul versante della salvezza che si fa storia. Per prima cosa ci dice che Gesù è nel deserto spinto dallo Spirito e vi rimane per quaranta giorni, cioè il tempo dell’attesa in funzione di un compimento. Queste parole ci proiettano nel cuore stesso dell’evento che sancì l’inizio della storia di Israele come popolo di Dio: l’esodo. Come allora, anche adesso sta per iniziare una nuova liberazione:
- Gesù è l’incarnazione del popolo d’Israele inviato per ricominciare una nuova avventura, per riprendere dalle fondamenta.
- Gesù è nel deserto come il popolo di Israele vi si è diretto dall’Egitto.
- Gesù vi è condotto dallo Spirito come il popolo nel deserto era guidato dalla nube (Es 13-21-22).
- Gesù resta nel deserto quaranta giorni come Israele vi erra per quarant’anni.
- Gesù è tentato come è tentato il popolo d’Israele (Dt 8,1-4; Sal 95/94).
- Gesù assume una valenza collettiva e s’identifica con il suo popolo di cui si assume la fatica e la speranza, l’angoscia e il desiderio di liberazione come farà il «Servo di Yahwèh» descritto da Isaia (Is 42,1-4; Is 49, 1-6; Is 50, 4-11; Is 52, 13-53, 12).
Nell’ultimo versetto Mc ci dice che Gesù «stava con le fiere e gli angeli lo servivano» (Mc 1,14). Le fiere hanno un duplice senso.
- Sono le fiere selvatiche e feroci del deserto (Dt 8,15; Sal 91/90,13) che egli domina perché è Dio creatore e tutta la terra e i suoi abitanti sono di Dio: «Tema il Signore tutta la terra e lo riveriscano tutti gli abitanti della terra» (Sal 33/32,8.14; Gl 2,1).
- Sono anche le fiere a cui Adamo nel giardino di Èden diede il nome (Gn 2,19) prima della sua ribellione. Gesù sta con le fiere nel deserto come Adamo sta con le fiere nel giardino di Èden: è l’inizio della nuova creazione e della nuova umanità. Quell’ordine primordiale che Adamo ha perso «in principio» ora è ripreso dal Messia d’Israele e Salvatore del mondo. In questo contesto le tentazioni sono il nuovo «principio» dei tempi nuovi: finisce l’èra di Adamo e inizia il tempo del regno che trova in Gesù il suo profeta e il suo compimento.
Ancora: anche «gli angeli lo servivano» (Mc 1,14) come era previsto dal Sal 91/90,10-12: «10 Non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda. 11 Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. 12 Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede». Gesù servito dagli angeli richiama tutta una tradizione che i contemporanei di Gesù conoscevano molto bene: quando Dio creò Adamo chiese il parere «degli angeli del servizio» ed essi dissero che non bisognava creare l’uomo perché avrebbe peccato e sarebbe stato ingiusto e crudele. Dio creò Adamo lo stesso perché vide uscire da lui i giusti, e non volle privare il mondo della loro presenza e intercessione. Anche la Toràh sconsiglia Dio di creare l’uomo, ma Dio vide che solo attraverso l’uomo creato il mondo avrebbe conosciuto la misericordia divina. Quegli angeli che non volevano l’uomo, ora sono «angeli del servizio» dell’uomo nuovo, il Messia benedetto, il redentore del mondo.
Il testo greco usa il verbo «diakonèō» per indicare che non è un lavoro servile, ma un servizio di natura liturgica, come quello che si svolgeva nel tempio di Gerusalemme. Chi supera la tentazione dopo avere preso coscienza di essere figlio, non se ne va per la sua strada, né si chiude nel proprio egoismo, ma si apre al servizio, alla diaconia, cioè alla relazione con gli altri in un atteggiamento di totale disponibilità e ascolto.
Mc situa la tentazione subito dopo il battesimo, nel quale Gesù prende coscienza di essere Figlio del Padre, ma subito è assalito dalla tentazione che cerca di distoglierlo dalla sua scelta di fedeltà al Padre alla sua missione, quasi a volere verificare se questa scelta sia veramente fondata e forte. Subito dopo la tentazione Gesù inizia la predicazione, annunciando la vicinanza di Dio. Egli ora, dopo la tentazione, è abilitato a portare la Parola di Dio nel mondo e ad esserne il custode e l’interprete. Se Gesù non fosse stato tentato, noi non potremmo combattere contro gli assalti del male perché saremmo fragili come fuscelli in un fiume in piena.
Gesù si lascia tentare per essere nostro modello e nostra forza. La tentazione non è una prova per misurare la propria ascesi, ma è una condizione essenziale della vita, essa appartiene all’esistenza in quanto tale ed esprime la lotta interiore tra l’egoismo individuale e la prospettiva del regno che è sempre una dimensione «politica» in quanto esige che siano tutti partecipi della salvezza, simboleggiata nel giardino di Èden che Gesù viene a restituire ai figli di Adamo, il progenitore chiuso in se stesso e per questo causa di morte.
L’Eucaristia che celebriamo è la sorgente dove luce e forza diventano il nostro equipaggio per andare nella vita e cogliere la «vicinanza di Dio» per noi e per tutti quelli che sperano in un nuovo esodo e una nuova liberazione.
Buon cammino di Quaresima.
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