Mensa della Parola: Gs 24,1-2a.15-17.18b; Sal 34/33,2-3.16-17.18-19.20-21.22-23; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69
Questa finale del capitolo può essere definita drammatica perché riporta la reazione dei discepoli e la risposta/domanda/provocazione di Gesù: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Gesù non annacqua il «Lògos del Pane» e la sua risposta è un’altra domanda che pone di fronte ad una scelta senza cercare di accaparrarsi la comprensione di chi ascolta. Prima la folla, poi i discepoli, quindi i «Dodici», a cerchi concentrici, tutti lo abbandonano e Gesù resta solo. Hanno mangiato il pane, ma non hanno compreso che Lui era «il» pane disceso dal cielo. Hanno incontrato Gesù, ma lo hanno scambiato per un mago; vedono i «segni» e vogliono subito integrarli nel loro schema di utilità, cercando di farlo re (Gv 6,15). Gesù non cerca il suo interesse (1Cor 13,5): Il pane disceso dal cielo non può essere contrattato, né venduto né comprato: può essere solo accettato o rifiutato. Ora è giunto il tempo della scelta definitiva. È sorprendente che la folla, i discepoli e gli apostoli «non capiscano»! Eppure, Gesù ricorda loro che erano già stati preparati a questo discorso attraverso la manna nel deserto che i loro padri hanno mangiato per grazia di Dio come anticipo e caparra del «Pane-Persona» inviato negli ultimi tempi a sfamare la fame di Dio dei poveri e dei diseredati. Gv ripropone l’attualizzazione e la «nuova» comprensione, secondo la regola esegetica: la Scrittura (antica) s-piegata con la Scrittura (nuova). Il vangelo non si pone il problema del «come», ma l’interrogativo sulla Persona di Gesù e sulla necessità d’incontrarlo nella vita: chi è Gesù? Gv, con il «vangelo del Pane», risponde che egli è il «Lògos-Pane»; intimità e vicinanza lo sanno rivelare.
La prima lettura tratta dal libro di Giosuè ci offre il contesto ampio in cui bisogna collocare il «vangelo del Pane» e cioè il contesto dell’alleanza di Sìchem, quando gli Israeliti entrarono nella terra promessa e s’impegnarono a servire «il Signore, perché Egli è il nostro Dio» (Gs 24,18b), cioè il rifiuto di «abbandonare il Signore per servire altri dèi» (Gs 24,16). Servire il Signore significa non allontanarsi da lui, come dirà Pietro nella sua risposta a nome del gruppo: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). La figura di Giosuè è una figura letteraria, non storica, e l’alleanza di Sìchem è la prima alleanza in assoluto che all’epoca della riforma deuteronomistica di Giosìa (sec. VII a.C.) venne rielaborata e ricollocata in forma solenne sul Monte Sinai. L’alleanza del Sinai è una rielaborazione di quella di Sìchem. Si avrebbe la prova della storia letta in chiave retrospettiva, secondo cui un fatto recente viene collocato nel passato e ingigantito nella forma e nello scenario per dare importanza e lustro al momento «originario», alle proprie radici. Più la storia procede in avanti e più i fatti del passato acquistano ampiezza, spessore, significati che sul momento non avevano. È la lettura dell’oggi con una dimensione e una collocazione rapportata agli eventi del passato. È anche il segno evidente che la Parola di Dio subisce un processo di approfondimento di generazione in generazione perché non è mai una «parola morta» o immobile.
San Paolo, nella seconda lettura, fa un passo avanti dicendo che l’alleanza vissuta da Israele come un rapporto sponsale si «incarna» in ogni stadio della vita umana e in ogni esperienza, compresa l’esperienza fondamentale del rapporto uomo/donna, che nel matrimonio, in quanto alleanza privata tra due singoli, si trasforma in segno visibile di un patto molto più grande e universale, cioè l’alleanza di Dio con l’umanità intera. Il brano della liturgia odierna è spesso frainteso perché una lettura letterale si ferma immediatamente al «senso coniugale», che una cultura maschilista-patriarcale presume di individuarvi il significato esclusivo di sottomissione della donna, ma senza sufficiente analisi. Per questo esso è diventato un brano quasi riservato alla liturgia sponsale. Quando Paolo parla di «mistero grande» (Ef 5,32) non si riferisce al matrimonio come sacramento, ma all’alleanza tra Cristo e la Chiesa, stabilita non più a Sìchem o sul monte Sinai, ma sul monte della croce, nel suo sangue, cioè nell’umanità piena di Gesù donata per amore. L’evangelista Giovanni racconta la moltiplicazione del pane come una riedizione del miracolo della manna nel deserto, facendo di questa una prefigurazione e un anticipo di quella. Il nuovo spiega l’antico e lo attualizza nel nostro contesto. La folla vuole a tutti i costi piegare Gesù alla propria superficialità folcloristica, Gesù invece la obbliga a prendere posizione tra il loro passato di «paesani», che credono di sapere tutto di lui, e il futuro che Gesù annuncia col nome di regno. La vita avanza e l’acqua scorre verso il mare, non scorre al contrario in salita. Non ci resta che rinnovare anche noi l’alleanza di Sìchem-Sìnai, nella santa Eucaristia, il mondo della nostra alleanza, per entrare nel cuore del «mistero grande» che è il patto definitivo ed eterno stabilito da Dio con l’umanità intera nel «Pane vivo disceso dal cielo», conservato anche per noi perché possiamo condividerlo con gli affamati e gli assetati. Noi partecipiamo all’Eucaristia per prendere coscienza di questa realtà: non siamo noi che veniamo a questo altare, ma è il Padre che chiama e ci conduce al Figlio per partecipare alla sua vita, vissuta nello Spirito. Consapevoli che la fede è una vocazione a cui rispondiamo per grazia dello Spirito Santo, disponiamoci ad ascoltare l’ultima parte del «vangelo del pane» che ci pone di fronte alla scelta decisiva della nostra vita: andare o restare con il Signore Gesù, anche quando le folle, i discepoli e qualcuno degli apostoli se ne vanno per la durezza delle sue parole. Coscienti che il mondo intero ha fame di questo nutrimento di conoscenza e di vita, assumiamo nel nostro cuore l’umanità intera. Ancora una volta con parole diverse Gv offre la scelta tra due mondi: quello della luce e quello delle tenebre. Forse non è neppure necessario esaminare la nostra coscienza per chiedere perdono, è sufficiente che ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo perché egli sa dove ci conduce.
Esame di coscienza
Signore, alimenta in noi il dubbio per poterci abbandonare sempre a te. Kyrie, elèison.
Cristo, tu hai parole di vita eterna: perdona l’eccesso delle nostre vuote parole. Christe, elèison.
Signore, la nostra fede è insufficiente, sii tu sostegno, roccia e scudo. Kyrie, elèison.
Cristo, tu sei la Parola che si fa Pane, liberaci da noi stessi e insegnaci a servire. Christe, elèison.
Dio d’Israele e della Chiesa, che nell’alleanza scritta nella vita del Figlio ci ha dato la forza di restare con lui per essere nutriti dalla Parola e dal Pane, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna, per i meriti di G.C. nostro Signore, Pane di vita che ci nutre nei secoli dei secoli. Amen.
Spunti per la riflessione e la preghiera
Il brano del vangelo di oggi si compone di due parti:
a) Gv 6, 60-66: reazione dei discepoli al discorso «eucaristico»;
b) Gv 6, 67-71: reazione dei Dodici al discorso eucaristico.
Le due parti sono costruite secondo l’andamento circolare. Gv si dimostra sempre interessato nel descrivere dettagliatamente le reazioni delle diverse categorie di persone di fronte a Gesù.
Prima parte (Gv 6, 60-66): la reazione dei Discepoli [59 Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafarnao.]
A 60 Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
B 61 Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?
C 63a È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla;
C’ 63b le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita.
B’ 64 Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù, infatti, sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65 E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
A’ 66 Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Ha la sua importanza nell’economia giovannea relativa il riferimento geografico di Cafarnao, la città dove si svolgeva normalmente l’attività di Gesù quando stava in Galilea. Noi ormai sappiamo che in Gv nulla è casuale e quando incontriamo un particolare bisogna fermarsi e chiedere al testo che cosa vuole dirci di più profondo. La città di Cafarnao in Gv 6 ricorre tre volte, costituendo così quasi una inclusione tra la parte narrativa del miracolo della moltiplicazione dei pani (Gv 6,17 e 24) e la conclusione del discorso teologico sul pane eucaristico (Gv 6, 59). Di seguito i tre versetti:
V. | Testo | Osservazione |
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6,17 | «Salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafarnao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti». | I discepoli dopo il miracolo attraversano il mare verso Cafarnao,
Assenza di Gesù. |
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6,24 | «Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù». | La folla va verso Cafarnao,
La folla va alla ricerca di Gesù. |
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6,59 | «Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafarnao». | Gesù nella sinagoga di Cafarnao, Gesù «insegna» il senso del Pane. |
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I discepoli pieni di euforia attraversano il mare, ma senza Gesù restano soli; la folla è sola, ma cerca Gesù e lo insegue per interesse, mentre Gesù se ne sta seduto nella sinagoga a insegnare come trovarlo, dove trovarlo e incontrarlo. Gesù sta nel «luogo della Parola», ma tutti lo cercano «altrove». Gli apostoli inseguono il successo, la folla il proprio interesse, Gesù persiste nello «spiegare» la discriminante del pane del cielo. Essi cercano Gesù partendo da se stessi, non dalle parole che hanno udito, e, infatti, non lo trovano dove lo cercano: egli è già «altrove». Non basta cercare, bisogna sapere «dove» cercare. Gesù non è più nel deserto, ma ora sta nell’abitato, in una città, nel luogo di raduno dell’umanità, dove tutto sembra solido e stabile: le case, gli eventi, le relazioni. Cafarnao è il simbolo visibile del successo umano, è la città cosmopolita, la città che accoglie, ripara e nello stesso tempo apre alle relazioni: Cafarnao è la città che esprime la pienezza dell’umanità dentro la quale Gesù stesso si trova bene, perché è la «sua» città. L’evangelista ci pone di fronte a Gesù che insegna dentro la sinagoga che al suo tempo era casa di studio e di preghiera della Parola. La folla lo cerca per il pane che ha mangiato e Gesù si lascia trovare mentre insegna: L’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore (Dt 8,3; Lc 4,4).
La sicurezza che può offrire la città con le sue strutture solide è solo apparenza se non poggia sulle fondamenta stabili della Parola di Dio. Lo aveva già preannunciato il salmista che la città e la casa se non sono costruite dal Signore diventano vacuità e vuoto (Sal 127/126,1) e Gesù stesso pone la sua parola come roccia sulla cui stabilità è costruita la casa (Mt 7,24-25). Gesù è Maestro e catechista e, nello stesso tempo, il contenuto del suo insegnamento. Egli è consapevole che credere al suo vangelo significhi incontrarsi con lui con conseguenze irreversibili. Egli sa di essere esigente e non si rassegna a facili saldi: «Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono» (Gv 13,13). Come Maestro, di fronte al disorientamento della folla e dei discepoli, non solo non abbassa la guardia, ma addirittura alza la posta. Egli rimanda alla profezia di Daniele sul «Figlio dell’uomo», cioè invita a salire ancora più in alto per comprendere un discorso più difficile: «Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?”» (Gv 6,61-62). In altre parole: se non capite il discorso dell’Eucaristia, come potete comprendere la visione del Figlio dell’Uomo, prevista dai profeti (Dn 7 e 9)? I discepoli, forse accecati dal successo, si lasciano coinvolgere dal dinamismo della folla e assumono anche i comportamenti dei Giudei, prigionieri della loro «mormorazione» (Gv 6, 41-43). Ora anche i discepoli «mormorano» perché si fermano alle apparenze del pane, ma non vanno oltre e non giungono all’ascolto della sua Parola (Gv 6,60-61). La colpa dei discepoli è più grande di quella dei Giudei, perché essi non solo mormorano, ma si scandalizzanoanche e forse temono per la propria vita perché considerano Gesù un esaltato, un uomo pericoloso: per loro il lògos/discorso sul pane è troppo forte e mette in crisi la concezione che loro stessi avevano del rapporto Maestro-discepolo: nessun Maestro mai aveva parlato così apertamente di sé, identificandosi con Dio e addirittura con la vita attraverso il pane disceso da cielo. Chi è costui? Gv dice che la manna dell’esodo era solo un anticipo, una premessa. La realtà è qui, adesso, e non è più pane che discende dal cielo e marcisce, ma è il Pane dato per la vita del mondo, per la vita eterna. Il punto centrale del brano è il Gv 6,63 costruito anch’esso a sua volta in forma circolare:
A 63a È lo Spirito che dà la vita,
B 63b la carne non giova a nulla;
B’ 63c le parole che io vi ho detto
A’ 63d sono spirito e sono vita.
La carne, cioè l’uomo da solo nella sua fragilità, è inutile, mentre la Parola si può fare carne e diventare abitazione dello Spirito e quindi della Vita. Vi si afferma la contrapposizione tra Spirito e carne, tra la Divinità e la fragilità delle creature, ma con una novità: le parole di Gesù, cioè il discorso sul pane «sono spirito e sono vita»: in quanto spirito sono da Dio, in quanto vita fanno vivere quanti le ascoltano. I suoi discepoli hanno ascoltato e mormorano, dichiarando che la sua Parola è dura! Ciò significa che non basta udire la Parole del Signore, bisogna ascoltarla con orecchi “circoncisi” (At 7,51).
Seconda parte (Gv 6, 67-71): la reazione dei Dodici.
La seconda parte esamina più da vicino la reazione dei Dodici che si differenziano, in parte, dagli altri discepoli del brano precedente, perché le parole di Pietro esprimono una professione di fede che però si limita alla natura messianica di Gesù, senza andare oltre nel mistero profondo della sua personalità. In Gv 6,69, infatti, l’espressione «tu sei il Santo di Dio» può indicare la funzione messianica, che non comporta necessariamente la natura divina di Gesù: la fede degli apostoli nasce e cresce lentamente, si sviluppa con un’adeguata frequentazione di Gesù. Le altre osservazioni con le quali Gesù anticipa il «tradimento» di Giuda definito diavolo (Gv 6,70) dicono la stessa cosa: gli apostoli, compreso Giuda, non avevano una consapevolezza della personalità divina di Gesù, perché Giuda si fa portavoce della tradizione che attendeva un Messia liberatore politico e restauratore del sacerdozio. Gesù invece ribalta quella prospettiva: il Figlio di Dio «mette» la sua vita nelle mani degli uomini perché sia consumata come si consuma il pane. Questa 2a parte è strutturata sempre con andamento a ondate, circolare:
A 67 Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?»
B 68 Gli rispose Simòn Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna
C 69 e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
B’ 70 Gesù riprese: «Non sono forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!».
A’ 71 Parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: costui infatti stava per tradirlo, ed era uno dei Dodici. In questa seconda parte, sulla bocca di Pietro troviamo altri due titoli attribuiti a Gesù: «Signore - Kýrie» (Gv 6, 68) e «Santo di Dio» (Gv 6, 69), espressione unica, detta una sola volta, in Gv. È una dichiarazione di fede di Pietro che parla, come è consuetudine nel vangelo, a nome del gruppo: «noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,69). Due sono le conclusioni a cui Gv ci conduce:
a) La prima riguarda l’abbandono delle folle e l’abbandono dei Discepoli, come testimonianza che la fede non è opera della carne che «non giova a nulla» (Gv 6,63b), ma essa può provenire soltanto dallo «Spirito che dà vita» (Gv 6,63a). Il cerchio si stringe, la solitudine aumenta, il successo è effimero e fuorviante: Gesù ne è consapevole e sembra non dispiacersene, perché si ha la sensazione che non fa nulla per trattenere sia la folla che i discepoli. L’iniziativa umana, lo sforzo di volontà, l’impegno dei mezzi puramente umani che mirano alla spettacolarizzazione dell’evangelizzazione non approdano a nulla, se non ad abbandonare Gesù, quando ci si stanca degli atteggiamenti e si scopre che credevamo di pregare e invece abbiamo parlato solo con noi stessi; pensavamo di essere amici privilegiati di Gesù per l’assidua frequentazione dei suoi «luoghi» (Parola, Eucaristia, Confessione, ritiri, esercizi spirituali, ecc.) e invece avevamo trasformato questi incontri in atteggiamenti di convenienza e in riti vuoti di vita, pieni di apparenze e convenevoli. «Questo vi scandalizza?» (Gv 6,61). Gesù coglie lo scandalo solo in coloro che avrebbero più degli altri dovuto capire e quindi seguirlo. Essi sono peggio dei Giudei, perché non solo si scandalizzano, ma «da allora molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,66). La profezia non ha altri interlocutori che la coscienza di chi parla e quella di chi ascolta, ambedue consapevoli che il profeta non ha interessi da difendere, perché egli è disposto a «dare» la sua vita per coloro a cui è mandato. Gesù è pericoloso anche oggi ed è meglio starne alla larga. Questo pericolo non è generico, ma concreto e reale più di quanto possa apparire.
b) La seconda conclusione riguarda il contesto pasquale dell’abbandono dei discepoli che ritroveremo, in forma ancora più drammatica, al momento della crocifissione: «Gesù disse loro: “Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse”» [Mc 14,27; Zc 13,7] … Tutti lo abbandonarono e fuggirono» (M 14,50). L’abbandono è già preludio di quanto avverrà al momento della crocifissione e quindi ci introduce in un contesto pasquale. Anche il duplice riferimento al tradimento di Giuda e il richiamo all’ascensione (Gv 6,62: «E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?») ci invitano a vedere come l’intero mistero pasquale è già cominciato. Se questo accostamento è vero esso sta anche a significare che l’intero discorso/logos sul «pane di vita» può intendersi solo alla luce del mistero pasquale e che il mistero pasquale può essere letto e compreso nel contesto dell’Eucaristia che ne svela la natura e la missione.
Tutto il lungo capitolo 6 di Gv con un discorso complesso sul pane ha la forma di una «mistagogìa», cioè un insegnamento che conduce i credenti ad entrare nel «mistero» della personalità di Gesù fino a sperimentarne l’intimità reale nella celebrazione del sacramento eucaristico. Di fronte alle difficoltà dei discepoli, la reazione di Gesù non si ferma e non s’impressiona nemmeno se dovessero andarsene anche gli ultimi Dodici suoi amici: non li trattiene, non cerca di facilitare il loro «restare», non dice nemmeno che potranno capire piano piano. No! la sua risposta è diretta, immediata e senza equivoci: «Volete andarvene anche voi?»
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