top of page
Cerca
Immagine del redattoredon Luigi

DOMENICA 4ª DI AVVENTO

Mensa della Parola: 2Sam 7,1-5.8b-12.14.16; Sal 89/88,2-3. 4-5.27.29; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38 La 4a domenica di Avvento nella 1a lettura ci parla di dinastia e di discendenza giocando sul significato del termine ebraico che, a seconda del contesto, significa «casa/abitazione/tempio», e per dilatazione anche «casato/dinastia»; in italiano si può rendere con l’assonanza casa/casato per concludere che i pensieri e le vie di Dio non sono le vie e i pensieri degli uomini (Is 55,8-9). Ai progetti di grandiosità di Davide che vuole costruirgli una «casa/tempio», Dio risponde con l’incontro in un’oscura casa con un’anonima ragazza in una regione, la Galilea, che tutti ritenevano abbandonata da Dio. La chiamavano con disprezzo: «Galilea delle genti/dei pagani» (Mt 4,15). Gli uomini si agitano e credono di essere indispensabili, fanno progetti come se l’eternità dipendesse da loro: pensano in grande e sognano nuove torri di Babele (Gn 11,4) e intanto non si accorgono che la Storia passa veloce e spedita, non curandosi di loro che si perdono in vacuità. Da una parte Davide vuole costruire un tempio al Dio che i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere (1Re 8,27; 2Cr 2,5; 6,18). Dall’altra un’umile casa dove l’arcangelo Gabriele, il custode del segreto messianico, rivela e affida a una ragazza del popolo il progetto di Dio. Da una parte la volontà di potenza di un re che usa la religione per dare consistenza al suo regno traballante. Dall’altra una sconosciuta ragazzina che si abbandona alla volontà di Dio e col quale par-la faccia a faccia come i patriarchi suoi antenati, Mosè (Es 33,11) e Giacobbe (Gn 32,31). Da una parte la religione usata a fini di potere (ieri come oggi il vizio dei potenti di servirsi del-la religione per consolidare il loro potere è sempre attuale, ma anche la «servitù volontaria» della classe sacerdotale che si vende senza problemi al miglior offerente). Dall’altra una donna fedele, credente e cresciuta alla scuola della Parola che ora in lei di-venta carne (Gv 1,14). Con queste contrapposizioni, l’autore del vangelo afferma il capovolgimento della storia della salvezza: la vera erede dei patriarchi, di cui ha conservato nel suo cuore la speranza intatta della promessa messianica, è lei, solo lei, una inconscia ragazzina quindicenne di Nazareth. Come dire proveniente da un paese malfamato. Qui si applica quella che definiamo «la legge della impossibilità», di cui è intessuta tutta la Scrittura: «Una “legge”, cioè una costante invariabile di tutta la rivelazione e che noi codifichiamo così: Dio sceglie ciò che agli occhi della logica umana è impossibile per realizzare il suo progetto di salvezza. Questa norma, descritta attraverso i comportamenti nell’AT, giunge a diventare espressamente “parola rivelata” nel NT con Paolo: “27 Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confonde-re i forti; 28 quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, 29 perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1Cor 1,27-29)». Che cosa c’è di più stolto di una «ragazzina» anonima, via sicura di fallimento per la svolta definitiva della storia? Se Dio volesse portare a «compimento» l’alleanza del Sinai, scegliendo come veicolo una donna che è anche una fanciulla, appena maggiorenne per il suo tempo, farebbe un pessimo affare perché si esporrebbe al ridicolo. Eppure, nella scelta di Mýriam di Nazareth, c’è qualcosa di più perché travalica i protagonisti e si estende a tutti i tempi: «Quasi a dire che quello che capita a Maria adesso, può accadere a chiunque in qualunque ora e tempo. È iniziato il tempo del Messia, il tempo «del compimento», che Paolo descrive in modo magistrale, fissando non il momento storico dell’incarnazione, ma lo stato permanente del farsi uomo di Gesù: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge” (Gal 4,4)». Di che cosa parlano Dio (attraverso l’angelo) e Maria nell’intimità della casa di Nazareth, lontano dal lusso della corte e della sontuosità del tempio? L’apostolo Paolo non ha dubbi: della «rivelazione del mistero taciuto per secoli eterni» (Rm 16,25). Se il vangelo fosse un’invenzione umana, se fosse una costruzione ideologica, nessuno sarebbe stato così perverso da immaginare che Dio avrebbe potuto affidare la rivelazione del «mistero» a una ragazzina la cui testimonianza per legge non aveva valore e la cui consistenza giuridica era inesistente. Nel tempio gli specialisti della religione consultano i documenti, fanno ricerche e sanno «tutto» del Messia che deve nascere: luogo, data, circostanze, simboli (Mt 2,4-6), tranne una cosa: non conoscono Dio che ormai identificano con la loro sapienza. Dio è un ingranaggio del loro sistema, è la scusa del loro stile di vita, del loro potere, della loro vanagloria. È il rischio di tutti gli addetti al culto: Dio può diventare il loro idolo e la loro religione tramutarsi in cassa di risonanza di un suono muto che si parla addosso con nulla da annunciare. Nazareth sceglie la via semplice dell’incarnazione e dell’esperienza. Maria e l’angelo si misurano col mistero di Dio: nel «Fiat» di Maria c’è già tutto il pentagramma del «mistero pasquale»: la Passione, la Morte, la Risurrezione, l’Ascensione, la Pentecoste. È il segreto di Dio che è rivelato agli uomini perché dalla disobbedienza dell’antenato Adamo entrino in un’intimità di obbedienza. «Com’è possibile?» (Lc 1,34) «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37). Lasciamoci adombrare dallo Spirito Santo perché ci doni la disponibilità di Maria, la generosità della donna per essere capaci di vedere il «mistero» di Dio che l’Eucaristia manifesta, se ci lasciamo educare dalla Parola, dal Pane, dalla Vita. «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce al mio cammino» (Sal 119/118,105). Il Salmista ci invita ad entrare nel Santuario dell’umanità di Dio illuminati dalla luce della Parola, quella luce che noi invochiamo davanti al quarto cero acceso, simbolo della nostra volontà di consumarci di amore e per amore. Preghiamo:


Accensione 4a fiamma di Avvento 1. Signore, è il quarto cero, principio dell’Avvento. Sia luce nella vita, sia fuoco nelle scelte, fiamma che avvolge il cuore, nell’olio dell’attesa. 2. La fiamma il cero arde e mai lo consuma, si abbèvera al tuo pozzo, col secchio di preghiera. 3. Lo Spirito infuocato tu versi nel roveto del cero che si scioglie danzando a piena gioia il dono della vita. 4. Contempli il volto orante, o Santo d’Israele, che resta qui ardente, a farti compagnia, nel simbolo del cero. 5. Di ardere e bruciare ci chiedi ovunque siamo, perché con ambo le tendenze, del cuore il bene e il male, amarti noi possiamo. 6. Si scioglie l’Assemblea, nel mondo noi si torna, restando qui oranti, col cuore modellato in ogni incontro generante e in cera trasformato. 7. È Avvento, Signore! Il tempo dell’attesa, l’eternità del tempo, che segna la tua Chiesa che scava il nostro cuore, donato e ritrovato. Amen.


Consapevoli di avere risposto questa mattina a una vocazione che ci chiama per essere voce e cuore del mondo intero, invochiamo il Nome Santo di Dio su ogni donna e su ogni uomo in ogni contrada del mondo perché ogni paese è il nostro paese e ogni cultura è la nostra cultura, come ogni «dio» è simbolo e immagine dell’unico Dio, Padre di tutti gli uomini. Che l’amore della Trinità si espanda sul mondo intero.

Alla vigilia del Natale la corsa al regalo, non più espressione di gratuità, ma dovere di circostanza, è un obbligo che esaspera anche gli animi più pacifici. Tutto è pronto per annegare in un mare di banalità l’evento per eccellenza del Cristianesimo: l’incarnazione di Dio. Nessuna religione accetterà mai l’idea stessa d’incarnazione perché è «blasfema». Si accetta la presenza «separata» di Dio «tra» gli uomini, ma non si può tollerare che sia «uno di noi». La Sapienza eterna viene a piantare la tenda della sua umanità nel cuore di ciascuno di noi.

L’atto penitenziale è omesso, se, dopo l’omelia, si celebra la liturgia penitenziale con confessione e assoluzione generale.

Esaminiamo la nostra coscienza e lasciamoci interpellare, perché le novità di Dio possano spalancarci ancora di più il senso di comprensione degli eventi. Siamo nel mondo, ma non vogliamo assumere il costume del mondo, che insegna a dilapidare come superfluo ciò che è necessario per la sopravvivenza della maggioranza dell’umanità. Il bimbo che nasce ci rimanda alle nostre responsabilità che interrogano la nostra coscienza.

Signore, quando viviamo come se tu non ci fossi, converti la nostra apatia. Kyrie, elèison!

Cristo, nato da donna e sotto la Legge, facci rinascere come creature nuove e libere. Christe elèison!

Signore, hai chiamato Giuseppe custode della Parola, convertici e noi ci convertiremo. Kyrie, elèison!

Dio Signore del cielo e della terra, che chiama Isaia il profeta a guadare al futuro con speranza e fiducia; che invia lo Spirito affinché impariamo a conoscere il Verbo nato da donna; che convoca Giuseppe a guardare oltre le apparenze per farsi carico del progetto di Dio; per i meriti di Isaia e dei suoi discepoli, per i meriti di Paolo e delle sue chiese, per i meriti del «giusto» Giuseppe e della santa Vergine Madre, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.

Spunti di riflessione e preghiera

La liturgia di oggi riporta lo stesso brano di vangelo della festa dell’Immacolata Concezione. Oggi, 4a domenica di Avvento, ci disponiamo a qualche riflessione che ci aiuti a comprendere più in profondità l’incarnazione di Dio nella nostra natura umana attraverso una donna. La prima lettura è tratta dal ciclo di Samuele (Shemuèl – Dio ascolta), profeta di corte che non ha lasciato nulla di scritto, ma di cui ci giungono notizie e parole attraverso le cronache e gli annali che troviamo in 1 e 2 Samuele; 1 e 2 Re; 1 e 2 Cronache. Il brano descrive un gioco all’equivoco: Davide si preoccupa per la sopravvivenza del suo regno e per il futuro del suo popolo, ancora diviso. Per superare questa divisione, pensa di costruire una «casa/tempio» a Dio per depositarvi onorevolmente l’Arca dell’Alleanza, attorno alla quale poter unificare le dodici tribù ancora fragili e divise. È la religione come collante di unità che al tempo di Davide era l’unico elemento politicamente rilevante. Oggi il casato di Davide, in termini moderni, si chiamerebbe «conflitto d’interesse» o più esplicitamente «connubio scellerato» tra trono e altare.

Alla fine del sec. IX e all’inizio del sec. X a.C. tutta l’esistenza è «teocratica» ed è inimmaginabile una forma di vita privata, civile e sociale al di fuori dell’influenza religiosa. Nàtan, profeta cortigiano, approva il desiderio del re e come ogni cortigiano ossequente, incita Davide a dare compimento al suo disegno. Egli, infatti, nel disegno di Davide vede un progetto politico sottomesso a Dio. Peccato che Dio però non pensi come Nàtan perché non può accettare che sia Davide a costruirgli il tempio, espressione della sua Presenza in mezzo al suo popolo, perché le mani di Davide grondano ancora sangue omicida, anche dopo il pentimento e il perdono. Pentimento e perdono non eliminano le conseguenze del male. Davide, avvalendosi della sua autorità e servendosi del suo potere con uno stratagemma infame organizzò e attuò l’assassinio del suo generale militare, Urìa l’Hittita, per potersi impossessare di sua moglie, Bersabèa, di cui si era invaghito (2Sa 11,1-27). Quando il potente si serve del potere e della sua forza per realizzare disegni privati e atti scellerati a danno di altri, di norma i più deboli, perde legittimità e il diritto di essere rappresentativo. Vale per Davide, ma anche per tutti i governanti di tutti i tempi e di tutte le epoche, ovunque sulla terra.

Non sarà Davide a costruire una «casa» al Signore! Perché Dio sa che il tempio è un simbolo e chiunque lo vede o ne varca la soglia sarebbe indotto a pensare a Davide e a ringraziarlo per lo splendore di gloria elevato a Dio; in questo modo Dio stesso diventerebbe complice di Davide, del suo delitto e della sua immoralità. Il salmista canta: «Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronunzia menzogna» (Sal 24/23,3-4). Davide non può varcare la soglia della casa del Signore perché la sua menzogna avvolge la sua vita: il tempio di Dio non può avere ombre, ma deve essere il luogo della trasparenza e della verità. Il brano è di grande attualità: molti si macchiano di sangue, mandando in guerra popoli e contrabbandano come «missioni di pace» queste atrocità, senza sporcarsi le mani direttamente, peggio di Davide; nessuno di costoro può onorare Dio, può nominarlo senza bestemmiarlo o può parlare di Pace, perché la Pace è il primo dei doni messianici (Gv 14,27). Chi ha causato, approvato, condiviso, sostenuto le guerre, da quella personale di Caino contro Abele (Gen 4, 3-16) fino all’ultima dei giorni nostri, avvenga per mano di terroristi o per mano del terrorismo degli Stati, non può nominare il Nome santo di Dio perché le loro scelte grondano sangue.

Il tempio del Signore è una casa di preghiera non una spelonca di ladri e opportunisti o un mercato per usi personali (Ger 7,11; Gv 2,16). In questa prospettiva l’amara costatazione di Sant’Agostino che, già nel sec. V, osservava che uno Stato senza Diritto è solo un sistema di ladrocinio; e la vicenda dell’imperatore Teodòsio cui Ambrogio, vescovo di Milano, impedisce l’ingresso nel tempio di Milano perché colpevole di massacro di folle innocenti ne è un chiaro esempio.

Di fronte alla pretesa di Davide, accade qualcosa d’inaudito. Non solo Dio rifiuta una «casa» dalle mani sanguinanti di Davide, ma egli ribalta la questione e afferma che sarà egli stesso a costruire un «casato» a Davide, garantendogli una discendenzaperenne. È la premessa e la promessa del futuro che si capirà soltanto alla luce di Gesù Cristo: dal «casato» di Davide, infatti, uscirà il Messia Pastore e Re che darà la vita per Israele, per i pagani per l’umanità tutta; come Davide, nascerà a Betlemme; come Davide cavalcherà un asino e non un cavallo; ma a differenza di Davide, offrirà un tempio nuovo, non costruito con il cedro del Libano o con la pietra di Palestina, ma nella carne viva del suo corpo e nella verità della sua umanità (Gv 2,20-23). Il discendente di Davide, il Messia-Salvatore, è l’opposto di Davide: non ruba le donne, ma le libera dalla schiavitù maschilista, come la donna Samaritana (Gv 4, 4-42) e come la donna adultera (Gv 8, 1-11). Al tempo di Gesù si attendeva un Messia condottiero che con le armi in pugno avrebbe guidato il popolo alla riscossa contro il dominatore romano. Gesù arriva a dorso di un’asina e non cavalcando un cavallo: «Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma» (Mt 21,5.7; Gv 12,15; citazione di Zc 9,9).

La tradizione biblica oppone i due animali: l’asino è bestia pacifica, il cavallo (con il suo carro) è macchina da guerra. Infatti, il profeta Zaccaria, citato dagli evangelisti, prosegue così: «Farà sparire i carri da Èfraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco della guerra sarà spezzato, annunzierà pace alle genti» (Zc 9,10). Gesù non manda in guerra i suoi soldati (Gv 18,36), ma invia i suoi discepoli in missione di pace nel mondo (Mc 16,15); non versa sangue altrui (Lc 22,49-51; Gv 18,10-11), ma offre il suo (Gv 19,34); non ruba la vita, ma dona liberamente la sua vita (Gv 10,11-12) in riscatto dei suoi crocifissori (Lc 23,33-25).

Ogni volta che noi facciamo il male agli altri, ogni volta che giudichiamo o siamo ingiusti o superficiali e non pensiamo alle conseguenze delle nostre azioni, parole e omissioni, anche le nostre mani grondano sangue e non abbiamo diritto di nominare Dio, perché siamo vittime dell’idolo della violenza e della superbia. Siamo semplicemente la reincarnazione di Adamo ed Eva che pensano di sostituirsi a Dio. Chi ci salverà da questa disperazione?

Una donna apre uno spiraglio dal quale irrompe la potenza di Dio che travolge ogni indizio di male e inonda il mondo con la luce della sua Shekinàh/Presenza: «Entrando da lei, disse: Gioisci /Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è in mezzo a te» (Lc 1,28). Nella preghiera del mattino ancora oggi gli Ebrei maschi pregano: «Benedetto sei tu, Signore, nostro Dio, Re dell’universo che hai dato al gallo l’intelligenza di distinguere il giorno dalla notte… Benedetto sei tu, Signore… che non mi hai creato idolatra/pagano… che non mi hai fatto nascere schiavo… che non mi hai creato donna». La donna ringrazia Dio come gli uomini per non averla creata idolatra/pagana e schiava, ma poi alla terza invocazione prega così: «Benedetto sei tu, Signore, nostro Dio, Re dell’universo che hai dato al gallo l’intelligenza di distinguere il giorno dalla notte… Benedetto sei tu, Signore… che non mi hai creato idolatra/pagana… che non mi hai fatto nascere schiava… Benedetto sei tu, Signore, nostro Dio, Re dell’universo, che mi hai creata secondo la tua volontà».

La risposta che Maria dà all’angelo è la sintesi di un abbandono alla volontà di Dio sulla quale si è educata a riposare fin da bambina. Ogni mattina Maria s’immerge nella volontà di Dio e ora nel momento in cui Dio la chiama per essere lo spiraglio di luce per tutta l’umanità, lei non trova altre parole che quelle che ha recitato ogni giorno nel suo cuore: «Oh, sì! Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38).

Luca, evangelista di seconda generazione, non ha conosciuto Gesù, ma è discepolo di Paolo, conosce Pietro e forse qualche altro discepolo. Egli probabilmente ha accesso a una fonte particolare che si può identificare nella cerchia della famiglia/parenti di Gesù che dopo la morte hanno cominciato a tramandare ricordi ed episodi della sua infanzia e di quella di Giovanni il Battista. Il racconto dell’annunciazione si inserisce in un quadro molto più ampio che espone una grande teologia della storia attraverso i nomi dei protagonisti.

1. Zaccarìa = Dio si è ricordato

L’Onnipotente si è ricordato dell’alleanza con Abramo,

2. Elisabetta = Dio ha giudicato

ha giudicato il mondo

3. Giovanni = Dio fa grazia

e ha fatto grazia;

4. Gabriele = Dio è potente

5. Giuseppe = Dio ha aumentato/aggiunge

ha aggiunto un amore sconfinato

6. Maria = Amata da Dio

7. Gesù = Dio salva/è salvezza

e ha dato la salvezza,

8. Simeone = Dio ascolta

ascoltando la preghiera del suo popolo Israele.

9. Anna = Dio favorisce/ fa grazia


La storia per Lc è il luogo dove Dio opera e coloro che sceglie sono non solo i testimoni, ma gli strumenti consapevoli e liberi che rendono possibile l’intervento di Dio.

Con il «Fiat» di Maria, «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37) perché il cuore e l’intelligenza di una donna hanno condiviso da un lato la desolazione dell’umanità e dall’altro la volontà di salvezza di Dio. Ancora una volta, come sempre, ogni salvezza, ogni progresso di vita e di amore si coniuga al femminile perché passa attraverso la donna che è da sempre il cuore e la periferia del creato.


9 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page