Mensa della Parola: Dt 18,15-20; Sal 95/94,1-2; 6-7; 8-9; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28
L’evangelista Mc è l’inventore del genere letterario che va sotto il nome di «vangelo», che ha almeno quattro significati:
1. Indica ciascuno dei singoli libretti con cui i quattro evangelisti, ognuno con un proprio obiettivo, parlano di Gesù.
2. Indica tutti e quattro i libretti raccolti insieme nella 2a metà del sec. II, come un quadrifoglio.
3. Indica la predicazione orale di Gesù e, dopo di lui, degli apostoli.
4. Indica, infine, la Persona stessa di Gesù, descritto in quanto «contenuto» dello stesso Vangelo, per cui egli è al tempo stesso Evangelista ed «Evangelo», colui che annuncia e il contenuto del vangelo.
I primi tre significati sono ovvi, mentre il 4° è il più denso e importante e nella sua direzione ci induce lo stesso Mc fin dal 1° versetto dell’intero vangelo che esaminiamo nel dettaglio. Il testo è: «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, figlio di Dio». Secondo noi è una traduzione riduttiva e superficiale. Mc 1,1 greco, infatti, comincia con la parola «archê» che è il soggetto di tutta la frase.
Nota esegetica
La prima parola di Mc 1,1 è «archê» che volutamente rendiamo con «principio» e non con il banale «inizio». La differenza non è poca:
a. «Inizio» ha valore temporale perché stabilisce l’attimo in cui qualcosa che non c’era «prima» comincia a esserci: e da adesso in poi, cioè «dopo» il primo inizio, si procede secondo la logica del tempo. Si tratta di un significato ordinario, oseremmo dire neutro. In altre parole: «Inizio del vangelo» è uguale a «Comincio a scrivere un vangelo/libro “su” Gesù, Cristo, [figlio di Dio]». Si dà una notizia che prima non c’era.
b. «Archê – fondamento/principio», al contrario, non fa riferimento al tempo, ma alla radice portante, al «fondamento originante», al senso profondo che dirige l’indirizzo di tutto ciò che segue come fonte originante da cui sprigiona un orizzonte che è anche nuovo cambia il percorso della vita stessa; in questo senso, come conseguenza logica, comprende anche l’inizio temporale. In Gn 1,1 la Bibbia traduce l’ebraico «bereshìt – in principio» con «archê» non per dire che Dio ha creato «cielo e terra», ma per affermare teologicamente che è lui «il principio fondativo» del mondo, dell’umanità e di tutto ciò che essi contengono. Allo stesso modo Gv 1,1 comincia il suo vangelo con: «In principio era il Lògos» e non «All’inizio [del tempo] era il Lògos»: si parla, infatti, di «fondamento originante» nella prospettiva del senso di quanto accade. Due ambiti molto diversi e con esiti diversi anche teologicamente e spiritualmente.
c. Allo stesso modo riteniamo che, essendo Mc 1,1 anche il titolo di tutta l’opera marciana, debba necessariamente essere tradotto con «principio» e non con «inizio» perché il vangelo ha un progetto catechetico.
Nell’economia del vangelo di Marco, l’espressione «figlio di Dio» sembrerebbe necessaria perché il suo scritto ha come destinatari sia gli Ebrei, sia i pagani ai quali non si annuncia direttamente il Cristo, termine familiare agli ebrei (= Messia), ma il Figlio di Dio (concetto di divinità).
L’espressione completa «Messia, Figlio di Dio» si contrappone a «Messia, figlio di Davide», usata da Gesù nella disputa polemica con gli scribi nel tempio (Mc 12,35): il Messia degli Ebrei è «figlio di Davide», cioè suo successore ed erede, perché dello stesso casato; il Messia cristiano è «Figlio di Dio», cioè il «Bar-Abbà – l’Unigenito/Prediletto» che ha come orizzonte l’umanità intera.
Questa è la tesi che Mc vuole sviluppare lungo i sedici capitoli del suo vangelo. Se non si mette in chiaro quest’obiettivo, l’intero vangelo, la sua ripartizione, la sua logica, la sua struttura ha un significato ridotto. La prima conseguenza è che Mc 1,1 non è parte del testo evangelico, ma il «titolo» dell’intera opera. Ci troviamo di fronte a una tesi che l’evangelista intende dimostrare, partendo dalla «sua» fede. Ecco perché dobbiamo stare attenti quando parliamo di «racconti storici».
Marco è un credente, è un innamorato di Gesù e inventa il genere letterario del «vangelo» per aiutare altri a credere in Gesù, di cui lui farà conoscere le parole che ha detto e le azioni che ha fatto (Dabàr: detto/fatto). Possiamo, allora, dire che l’opera di Mc non è disinteressata, ma è l’opera con un preciso obiettivo: avvicinare più persone possibili al suo «Vangelo» che non è un progetto di sapienza, una filosofia, una morale, o un eroe passato, o un mito o una brava persona. Il «Vangelo» di Marco è solo ed esclusivamente la «Persona Gesù che s’identifica con quello che dice e fa». Se uno si lascia guidare dal catechista Marco, alla fine si ritroverà davanti a un bivio e dovrà scegliere, cambiando la direzione della propria vita, in base all’esperienza che ha fatto di Gesù attraverso la testimonianza di Marco. Il vangelo di Mc può essere definito come il «vademècum» dei catecumeni, coloro, cioè, che si accostano per la prima volta alla fede cristiana.
Se fosse solo la narrazione della vita materiale di Gesù, sarebbe ben poca cosa, qui ci troviamo davanti a un uomo, Gesù, che si presenta come colui che può far sperimentare la persona stessa di Dio che viene a prendersi cura di ciascuno. In altre parole, Gesù insegna a cambiare mentalità su Dio e a scoprire il suo vero volto. È come se Mc 1,1 dicesse: Io sono Marco, innamorato di Cristo e, se vuoi, ti prendo per mano e ti accompagno a conoscere il Vangelo vivente, cioè Gesù in persona, sì, proprio lui, il Cristo atteso, cioè il figlio di Dio, cioè colui nel quale Dio risplende in modo vero e unico. Se tu che leggi vuoi fare con me la stessa esperienza che ho fatto io, ti aiuto a diventare discepolo suo fino in fondo.
Si tratta di una rivoluzione. Se il Dio dell’AT, pur essendo un Dio vicino, anzi «in mezzo» a Israele, era pur sempre un Dio lontano. Ora Mc aiuta i suoi possibili alunni a scoprire il «Vangelo» che non è un libro o una teoria, o una morale, ma semplicemente la Persona di Gesù, il Cristo atteso dai Giudei (Mc 8,29) e il Figlio di Dio annunciato da Paolo ai pagani (Mc 15,39). È la proposta di una esperienza. Il percorso che ci propone Mc è semplice… [Egli] ci prende per mano e ci accompagna lungo un cammino di catecumenato facendoci assistere a quello che Gesù insegna e opera (= detti e fatti). Il vangelo di Mc è il primo incontro con il Signore e per questo si dice, come abbiamo anticipato più sopra, che è il vangelo dei catecumeni: coloro che non sono cristiani, ma desiderano esserlo e si apprestano a conoscerne le condizioni.
La domanda, infatti, che percorre il Vangelo, in tutte le sue quattro espressioni (Mt, Mc, Lc e Gv), è: Chi è Gesù? Se saremo catecumeni di Mc, passeremo di stupore in stupore e impareremo a conoscere sempre più profondamente Gesù di Nazareth che si rivela a noi con le caratteristiche del Messia e che i suoi discepoli e coloro che ne accettano la predicazione riconoscono come Figlio del Padre. Mc ci aveva promesso il «Vangelo, cioè Gesù Cristo, cioè il Figlio di Dio» (Mc 1,1) e ora ci conduce ad incontrare e a conoscere il Gesù che parla e agisce con autorità. Ecco le tappe catecumenali:
1. Mc 1,1: «Vangelo, cioè Gesù Cristo, cioè il Figlio di Dio». Questa affermazione è il titolo dell’intero vangelo, la tesi che l’evangelista vuole esporre come propria fede personale di credente e innamorato di Gesù. Egli svela il suo intento: prenderci per mano e guidarci all’incontro e alla conoscenza di Gesù che parla e agisce con autorità.
2. Mc 8,29: è la seconda tappa del cammino catecumenale, che geograficamente si svolge nella città di Cesarea di Filippo, a nord della Galilea, là dove, insieme al discepolo Pietro, anche chi inizia il cammino di fede, per la prima volta, fa la propria prima professione di fede: «Tu sei il Cristo», con la quale si è ammessi a essere discepoli di Gesù al pari degli apostoli per essere, come loro, testimoni.
3. Mc 15,39: «Vistolo spirare in quel modo, il centurione romano esclamò: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio». È la terza tappa del nostro catecumenato giunto sul Monte Calvario, là dove contempliamo con il pagano romano il mistero dell’ignominia di Dio, crocifisso nella carne di Gesù, rivelazione del Padre.
4. La quarta tappa tocca a noi. Spetta a noi scrivere il vangelo, oggi, con la vita e nella vita, nella storia che attraversiamo verso il regno di Dio, la nuova umanità che si fonda sulla vita data per amore.
Lineari sono le quattro tappe e formano un metodo, un criterio pedagogico, valido in ogni tempo: al «principio del Vangelo» (Mc 1,1), l’evangelista professa la propria fede, perché nessun testimone può stare ai margini e non coinvolgersi personalmente: la fede non è un insegnamento né una merce in vendita, ma vita che si dona. A metà cammino (Mc 8,29), il catecumeno, divenuto discepolo (Pietro), professa la propria fede, coinvolgendosi, dichiarandosi, professando apertamente di essere innamorato di Gesù. Ai piedi della croce (Mc 15,39), un pagano, il centurione che, in quanto romano, è rappresentativo dell’umanità intera, ci svela la vera personalità del figlio di Maria (Mc 6,3): Il «Vangelo» non è un testo per quanto nobile, ma una Persona viva e attesa che nella morte vissuta come dono diventa il «Cristo» sicché anche i pagani ne riconoscono l’identità di «Figlio di Dio».
Di più, Gesù non è solo «Vangelo», o solo «Cristo», egli è il «Figlio di Dio», cioè colui che svela il volto visibile del Padre, il garante della sua paternità e quindi il principio della nostra fraternità. Da questo momento, inizia per noi la vita di fede come testimonianza. Il vangelo di Mc si chiude senza conclusione (Mc 16,8), in modo aperto, perché spetta a noi scrivere, nel tempo e nella storia in cui ciascuno è chiamato a vivere, la conclusione del vangelo incarnato nella vita personale. Ciascuno deve, non può non scriverla con l’inchiostro della propria anima ed esperienza che nessuno può sostituire. Siamo unici perché figli e figlie di Dio.
È da sottolineare che a cogliere la vera personalità di Gesù non è un discepolo, ma un pagano dopo avere assistito al «segno» per eccellenza: «vistolo morire in quel modo». Nessuno può possedere Dio, il cui «spirito soffia dove vuole» (Gv 3,8) perché nessuno lo può imprigionare in schemi, strutture e religioni. Nessuno. Sta qui il segreto della fede e di ogni catecumenato: noi incontriamo Dio se lo vediamo morire al modo di Dio, cioè senza rivendicazioni, senza recriminazioni, ma con amore e per amore, perdonando anche coloro che lo uccidono (Lc 23,34) e offrendo la propria vita come dono incondizionato. Solo la croce è la porta della risurrezione: questo è Gesù, questo è il Figlio di Dio, questo può essere ciascuno di noi. La croce è la cattedra dell’amore a perdere e la mèta del catecumenato perché svela la verità su noi, quella su Dio e dona la Pace/Shalòm che ansiosamente cerchiamo. Ogni processo di fede che non porti alla croce è una passeggiata, magari con un gelato in mano.
Nel vangelo odierno, Mc narra il primo miracolo, cioè il primo segno con cui Gesù svela qualcosa di sé a chi gli sta vicino. Svela, ma non si manifesta del tutto: Gesù stesso si preoccupa che il segreto messianico non venga svelato prima del momento opportuno. Al tempo di Gesù qualsiasi manifestazione clinica che esulasse dalle malattie note e consuete, era considerata «malattia» percepita come un castigo di Dio per il male fatto dal malato o dai suoi antenati. La società accettava questo schema e pertanto il malato era considerato punito da Dio per scontare peccati propri o altrui (concetto di solidarietà corporativa). Tutti sono rassegnati perché nessuno può opporsi al volere di Dio.
La nozione di Dio è ancora ancestrale perché «tutto» dipende da Dio, il bene come il male, la salute e la malattia, il successo e la sconfitta, la riuscita e i cataclismi. La religione educa alla rassegnazione: se Dio ha voluto così, bisogna accettare senza fiatare. Gesù «uccide» questa nozione di Dio e attraverso parole e azioni educa uomini e donne a essere adulti e responsabili, liberi dalla paura, liberandoci da un «Dio di paura». Il giudizio religioso condensato nell’asserzione «tutto viene da Dio», comporta anche un giudizio etico: il malato, specialmente se è contagioso, deve essere allontanato e nessuno deve avvicinarlo, pena l’impurità che rende inabili al culto di Dio. Alla religione non importa che la persona sia malata, ma che sia «impura», per poterla escludere del recinto della sacralità che è proprio della liturgia e di cui la religione è custode. Si crea un circuito vizioso e nefasto per cui, alla fine, in nome di Dio, si condannano le persone all’emarginazione e alla morte. Dio diventava un privilegio per pochi eletti e una condanna per altri. Con Gesù scoppia la novità, accade il «kairòs/occasione/momento favorevole», che per la mentalità del tempo è una vera e propria rivoluzione. Nessuno aveva mai sentito che un indemoniato, dentro una sinagoga, chiamasse qualcuno con il titolo di «Santo di Dio».
Di fronte a noi c’è una persona «potente» che comanda gli spiriti come comanda il mare agitato (Mc 4,35-41), perché con la presenza del «Santo di Dio» è finito per sempre l’imperialismo degli spiriti immondi che schiacciano l’uomo e la sua libertà. Lo Spirito Santo c’introduca nell’Eucaristia, il sacramento che ci rende giusti di quella giustizia di Dio che genera la comunione della Pace. Gesù entrò nella sinagoga nel giorno del Signore per allargare lo spazio della sua libertà interiore nel rapporto d’intimità col Padre. Egli ha voluto condividerla con chi era imprigionato in catene di schiavitù che deturpavano la dignità di un uomo «posseduto da uno spirito immondo». Anche noi in giorno di domenica veniamo a quest’altare per attingere libertà dagli spiriti immondi che forse abbiamo incontrato nella nostra settimana. Entriamo con fiducia per esercitare il nostro ministero di profeti che, dopo averla vissuta nella vita, ascoltano la Parola di Dio senza della quale non possono vivere.
Gran parte del mondo di oggi è «posseduto dallo spirito immondo» dell’ingordigia e della sete di possesso di quanti, attraverso il denaro e l’uso strumentale del sesso, mirano al potere della società che non è più lo spazio della collettività, ma lo strumento per alimentare i conflitti d’interesse, l’arroganza e l’individualismo esasperato. Il mondo è «posseduto dallo spirito immondo» della guerra, camuffata dietro finte e vuote parole di pace, mentre la povertà di miliardi di figli di Dio avanza inesorabile falcidiando senza pietà vittime innocenti70. Quali sono gli idoli immondi che dominano la nostra vita? Possiamo, dobbiamo chiedere perdono, se vogliamo essere uomini e donne che rispecchiano la libertà per sé e per gli altri avventori della vita. Chiediamo anche perdono per tutte le volte in cui, per opportunismo, abbiamo smarrito e tradito il ministero della profezia.
Esame di coscienza
Signore, per avere anteposto le nostre parole alla tua Parola, lìberaci da noi stessi. Kyrie, elèison!
Cristo, per avere preferito il nostro comodo all’essere uniti a te, perdonaci l’egoismo. Christe, elèison!
Signore, per esserci lasciati dominare dallo spirito del mondo, rendici il tuo Spirito. Kyrie, elèison!
Cristo, insegnaci ad amarti anche con la tendenza al male, tu che domini ogni male. Christe, elèison!
Dio, Padre d’Israele e della Chiesa, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati, lenisca le nostre ferite, consoli i nostri cuori, ci doni la libertà dello spirito, per essere attenti ai segni dei tempi e fedeli alla profezia cui siamo chiamati, e ci conduca alla vita eterna insieme ai fratelli e alle sorelle con cui abbiamo condiviso noi stessi, i nostri sentimenti, il nostro tempo e l’agàpe cristiana. Per i meriti di Gesù Cristo che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
Spunti per la riflessione e preghiera
Prima di lasciare il suo popolo per andare a morire da solo, Mosè promette al suo popolo che Dio non li avrebbe mai lasciati soli, ma avrebbe suscitato per Israele «un profeta in mezzo ai loro fratelli» (Dt 18,18). Mc da parte sua ci presenta Gesù di Nazareth come il profeta promesso da Mosè. Il primo intervento pubblico e ufficiale di Gesù è una lotta, perché questo profeta si butta nella mischia e ingaggia la lotta finale con il male che opprime l’uomo. Se Mosè aveva il compito di guidare il popolo d’Israele alla terra promessa, Gesù annuncia che è venuto per guidare l’umanità a resistere al male e al suo dominio.
Anche Mc, come Gv (1,1-2,1), ci presenta la prima settimana di Gesù come prototipo: basta conoscerne una per sapere come si svolgesse la sua attività: «entrato in giorno di sabato nella sinagoga … venuta la sera … al mattino … dopo alcuni giorni … in giorno di sabato» (Mc 1,21.32.35; 2,1.23). Da un sabato ad un altro sabato è una settimana, anche se Mc non ha l’impostazione settenaria di Gv con il rimando alla settimana della creazione, ma ci fa conoscere un Gesù in movimento, vivace, immerso nell’umano, suscitando stupore e perplessità: oggi diremmo che ci fa conoscere un Gesù impegnato socialmente con tutto se stesso. Gesù inizia la sua attività con due miracoli: l’indemoniato e il lebbroso. Il primo è riportato oggi e il secondo lo vedremo domenica prossima. Se guardiamo attentamente il racconto, scopriamo che l’esorcismo descritto dal vangelo di oggi è parallelo al racconto della tempesta sedata (Mc 4,38-41). Hanno lo stesso schema/canovaccio narrativo, perché ambedue intendono presentarci Gesù come colui che domina gli spiriti che rendono schiavo l’uomo, come fece il serpente nel giardino di Èden (Gen 3), e allo stesso tempo domina gli elementi della natura. Gli ebrei che ascoltavano e i cristiani che conoscevano molto bene la Bibbia, erano spinti ad abbinare la persona di Gesù con Yahwèh creatore, liberatore dalla schiavitù (Esodo) e liberante con la Legge (Sinai). Due interventi sono costruiti sullo stesso schema, hanno lo stesso senso e rispondono alla stessa domanda fondamentale: chi è Gesù? Mc risponde che Gesù è l’inviato di Dio che riprende in mano l’opera creatrice di Dio compromessa da Adamo ed Eva che si fecero assoggettare da Satana-serpente, rimanendo sotto il suo influsso e dominio; ora, il Figlio di Dio libera i loro figli dall’antico serpente/spirito immondo.
Per colpa dei progenitori la creazione intera fu assoggettata alla decomposizione, perché il peccato di Adamo ed Eva immise nel mondo la corruzione, la distruzione e la morte (Gen 6,5-7,24) facendo rimanere l’umanità sotto l’influenza delle potenze malvagie (Gb 38,1-11; Rm 8,19-23); ora invece le potenze del male e della natura ritornano a essere sottomesse al «nuovo» creatore, venuto per introdurle in un regime di vita e di risurrezione (Mc 1,29-30; anche l’attesa sofferente della creazione in Rm 8, 18-23). Ci troviamo di fronte all’affermazione forte di una cristologia abbozzata: in Gesù Cristo si compie e si completa l’opera della creazione rimasta in sospeso col peccato dei progenitori. Con la predizione del rabbì di Nazareth inizia una nuova cosmogonia e una nuova antropologia: la natura e l’umanità restano sbigottiti e attribuiscono a Gesù lo stesso timore e tremore che è dovuto a Yahwèh-Creatore (Mc 1,27-28; 4,41; Sal 65/64, 8-9; 89/88,10; 107/106, 28-30).
Per la mentalità del tempo di Gesù, gli spiriti impuri vagano nell’aria e condizionano l’agire degli uomini, dominandoli fino alla lotta finale (Ef 6,8; Ap 16,13-14), quando il Cristo assoggetterà tutte le potenze al suo dominio liberante (Col 2,15; 1Pt 3,22). La prospettiva della storia come lotta finale tra il bene e il male è una corrente di pensiero che tra il sec. III a.C. e il sec. I d.C. ebbe molto sviluppo sia a Babilonia dove vi era una forte comunità giudaica, sia in Palestina, dove, in modo particolare, la comunità di Qumràn si ritirò nel deserto, separandosi dal tempio, reso ormai impuro dai sommi sacerdoti indegni, per prepararsi alla battaglia finale tra i figli della luce contro i figli delle tenebre. Presentando il Cristo che compie un miracolo di liberazione, Mc ci avverte che è cominciato il tempo della ricongiunzione tra terra e cielo per lungo tempo separati. Se guardiamo la storia della salvezza descritta nella Bibbia, è un lento, ma inesorabile processo di allontanamento dell’uomo da Dio: dalla familiarità dell’uomo con Dio nel giardino di Èden (Gen 2,8) alla totale separazione culminata nel possesso delle forze del male sulla libertà dell’uomo. Ora è lo stesso Mosè che preannuncia un profeta che gli è pari (Dt 18,15) e per Mc non è solo la Dimora o la Tenda dove Dio si rendeva presente in mezzo al suo popolo nel pellegrinaggio del deserto, ma è Dio stesso che viene a restaurare l’Èden perduto e l’umanità smarrita e sconfitta. Comincia il tempo della vita e della risurrezione. Finiscono le cose passate e inizia un’era nuova come aveva profetato Isaia (Is 43, 18-19) e nasce la nuova creatura ricreata a immagine di Cristo (2Cor 5,17). All’indemoniato è restituita la sua dignità di figlio di Dio, creato a sua immagine e somiglianza; l’essere posseduto dallo spirito immondo gl’impediva di vedere non solo il volto di Dio, ma anche il suo, cioè la sua coscienza e la sua identità. La nuova creazione non riguarda più tanto le cose, ma s’innesta nel cuore egli uomini e delle donne che sono chiamati a trasformare il mondo, dominato dal male, per farne un nuovo giardino di Èden, un Paradiso.
Chi è Gesù per me? Da quale spirito immondo devo essere liberato per avere occhi limpidi per «vedere» il mio volto, il mio cuore e il volto di Colui di cui sono immagine e somiglianza?
Vogliamo incontrare veramente Gesù liberatore: andiamo nel mondo e facciamo come lui, scacciando i demoni dovunque li incontriamo.
Comments