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DOMENICA DELLE PALME

  • Immagine del redattore: don Luigi
    don Luigi
  • 11 apr
  • Tempo di lettura: 18 min

Dal Vangelo secondo Luca (22,14-23,56)

Gli evangelisti dedicano uno spazio notevole al racconto della passione e morte di Gesù, ma ciò che a loro preme è farci comprendere l’amore che si è rivelato in Gesù nel momento culminante della sua storia, quando ha donato la vita. Quando parliamo della passione di Gesù, facilmente noi colleghiamo passione con dolore, sofferenze… ed è vero; la croce era un supplizio spaventoso. I Vangeli sono molto sobri nel presentare le sofferenze di Gesù, per loro la passione è passione d’amore. Ciò che a loro preme è farci comprendere che amore si è rivelato in Gesù. Avrebbe potuto rimanere a Nazareth tranquillo. Gesù ha dato la vita per introdurre un mondo nuovo, uno Spirito nuovo, lo Spirito dell’amore del Padre del cielo, ha pagato con la vita questa nascita del mondo nuovo.

Tutti gli evangelisti raccontano questi episodi e, più o meno, riferiscono gli stessi fatti, tuttavia ogni evangelista si sofferma di più su alcuni episodi che su altri e introduce particolari dettagli che gli altri evangelisti tralasciano. In queste scelte rivelano l’attenzione, l’interesse per alcuni temi di catechesi che ritengono significativi per le loro comunità e che naturalmente sono validi e belli per noi oggi.

Sentiamo il primo dettaglio che ha soltanto l’evangelista Luca: Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e, durante la cena, prese del pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Tutti noi conosciamo a memoria il racconto dell’istituzione dell’Eucarestia perché lo sentiamo ripetere ogni volta che partecipiamo alla Santa Messa, tuttavia, non tutti sanno che soltantol’evangelista Luca ci riferisce l’ingiunzione del Signore: “fate questo in memoria di me”. Cosa intendeva dire Gesù? Cosa significa “fare memoria di Lui”? Cosa si aspetta da noi? Durante l’Ultima Cena, Gesù sapeva che era giunto alla conclusione della sua vita in questo mondo … che cosa desiderava di più in quel momento? Una cosa soltanto… che il mondo nuovo al quale Lui aveva dato inizio, il regno di Dio, l’uomo nuovo capace di amare e soltanto di amare anche il nemico, anche colui che gli toglie la vita, questo mondo nuovo avesse una continuità, si rivelasse poi in pienezza, cominciando con questo gruppo di discepoli che gli aveva dato la propria adesione. Per questo ha presentato tutto se stesso, tutta la sua vita, tutta la sua storia in un segno … ha preso del pane e ha detto questo sono io, mi sono fatto pane, non ho risparmiato neanche una briciola della mia vita e del mio tempo che non fosse donato per amore anche al nemico … volete unire la vostra vita alla mia? Assimilate me e lo fate nel giorno del Signore mangiando questo pane e assimilando la mia storia. Se voi celebrate l’Eucarestia autentica, voi mi rendete presente, fate memoria di me, il mondo, in questa comunità che ama, vedrà me. Ecco che cosa significa fare memoria di Lui, ecco ciò che Lui si aspetta da noi quando celebriamo l’Eucaristia.

Sentiamo adesso il secondo dettaglio che compare soltanto nell’evangelista Luca: Nacque tra i discepoli anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande. Egli disse: “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Fra voi, però, non così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve.

I Vangeli riferiscono spesso episodi spiacevoli, discussioni frequenti e meschine fra i discepoli desiderosi di definire le precedenze, di stabilire bene chi fra di loro era il primo. Questa pulsione di voler far qualcosa di grande, di significativo ce l’ha messa il buon Dio, si tratta di sapere come rispondere a questa pulsione. Ci sono due modi, uno è quello che si realizza nel mondo vecchio dove comanda il maligno. E come si fa ad essere grandi secondo i criteri del mondo vecchio? Il maligno ti suggerisce: mettiti in mostra, fatti valere, cerca di salire sempre più in alto, anche a costo di schiacciare gli altri, conquista i primi posti, accumula denaro, prestigio e tutti si inchineranno davanti a te, tu sarai grande, felice.

C’è il suggerimento invece, che viene dato da Gesù per chi appartiene al mondo nuovo: non salire, scendi all’ultimo posto. Questa è la grandezza autentica, quella che è apprezzata da Dio, quella che ti fa simile al Padre del cielo, quella che fa presente l’uomo nuovo che è Gesù di Nazareth… quando tu ami tu sei davvero grande. Come far comprendere ai cristiani questo insegnamento che per Gesù è la legge fondamentale che deve guidare la sua comunità? Luca ha avuto un’idea geniale, ha trasportato queste discussioni che hanno accompagnato tutti i tre anni della vita pubblica di Gesù – i discepoli hanno discusso continuamente su chi doveva comandare – Luca ha portato questa discussione durante l’Ultima Cena, proprio subito dopo che i discepoli avevano mangiato quel pane, quindi avevano promesso di rendere presente l’uomo nuovo, il mondo nuovo, il regno di Dio.

Si collocano in questo contesto le parole del Maestro: “io sono colui che diventa servo; grande nel mondo è colui che siede a tavola, nel mondo nuovo è colui che serve”. Significa trasformare queste parole di Gesù nel suo testamento. È il modo più forte per dirci quanto sono importanti e come non possono essere trascurate queste parole del Maestro, nessuno di noi avrebbe il coraggio di non fare ciò che il padre ha chiesto prima della sua morte.

Sentiamo adesso il terzo particolare che ha soltanto l’evangelista Luca: Gesù uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: “Pregate, per non entrare in tentazione”. Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Gli apparve un angelo dal cielo per rafforzarlo”.

Nessun evangelista insiste tanto come Luca sulla preghiera di Gesù nel Getsemani e sulla sua raccomandazione ai discepoli. Gesù ha trascorso tutta la sua vita, sempre in sintonia col pensiero e con la volontà del Padre, ci sono stati altri momenti in cui aveva capito che i suoi nemici volevano toglierlo di mezzo, nella preghiera aveva capito che non era giunta la sua ora ed era scappato; nel Getsemani adesso, nella preghiera scopre la volontà del Padre e capisce che gli chiede di dare la dimostrazione massima dell’amore, di consegnare la sua vita. La raccomandazione che Gesù fa ai discepoli, è rivolta non solo a Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, è rivolta a tutti coloro che vogliono essere suoi veri discepoli: Pregate perché ci saranno sempre dei momenti in cui sarete chiamati a fare scelte coraggiose e anche eroiche, sarà nella preghiera che riceverete la forza per essere fedeli all’uomo nuovo che siete diventati quando avete unito la vostra vita a quella di Cristo. Nella preghiera interviene un altro particolare che ha soltanto l’evangelista Luca: “appare un angelo dal cielo a Gesù per rafforzarlo”.

Ecco da dove deriva la forza per vincere nel momento della prova, per non scappare … nella preghiera compare un angelo dal cielo! Quando nella Bibbia si parla di angeli non identifichiamoli immediatamente con esseri spirituali che poi assumono sembianze umane, nella Bibbia indicano spesso una rivelazione interiore che si manifesta quando l’uomonella preghiera accoglie la luce di Dio. È questo l’effetto della preghiera di Gesù, nel dialogo con il Padre ha capito quale sarebbe stato il senso della sua morte, il senso del dolore che adesso doveva affrontare; non era una sconfitta, nella preghiera ha capito quale sarebbe stato il risultato. Ha chiesto al Padre se non era possibile dilazionare la sua ora, se davvero era questa la sua ora… è stato illuminato e sostenuto dallo Spirito, ha dato la sua adesione incondizionata al Padre. Luca vuole dire ad ogni discepolo che la forza per superare la debolezza alla fragilità, viene dalla preghiera intensa che ti mantiene unito alla volontà del Padre del cielo.

Sentiamo adesso altri dettagli che ci sono soltanto nel Vangelo secondo Luca: Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano… per la tristezza. E disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione”.

Soltanto Luca parla dell’agonia di Gesù, “entrato in agonia pregava più intensamente”. Per noi “agonia”, indica gli ultimi momenti, quelli che precedono la morte, non è questo il significato che l’evangelista Luca dà a questo termine che compare solo qui in tutto il Nuovo Testamento. Il significato etimologico è “lotta, competizione degli atleti”, è in questo senso che Luca lo impiega. Subito dopo che l’angelo ha rafforzato Gesù, gli ha fatto capire che quella che gli uomini considerano una sconfitta è la vittoria dell’amore, ecco che Gesù allora entra in questa lotta.

La vita di Gesù è stata sempre un confronto fra le forze del male e le forze del bene e adesso, questo confronto è giunto al culmine, al momento più drammatico. Gesù deve mostrare la vittoria dell’amore incondizionato e fedele anche a coloro che gli tolgono la vita. Il conflitto è tra odio e amore, fra menzogna e verità. Ecco il combattimento interiore di cui facciamo l’esperienza anche noi. Quando siamo chiamati per esempio a perdonare chi ci ha fatto un grave torto, una violenza, forse della quale portiamo le conseguenze per tutta la vita … siamo tentati di essere vinti dal rancore, dalla voglia della vendetta, dal risentimento. La vittoria viene se nella preghiera noi accogliamo lo Spirito di Gesù di Nazareth, allora vinciamo come l’amore ha vinto in Lui.

Altro dettaglio che c’è solo in Luca… “il sudore di sangue di Gesù”. L’interpretazione tradizionale spiegava questo fatto come un effetto dello sconforto, della delusione di Gesù, ma non è questo il senso che vuole dare Luca, perché avviene proprio subito dopo che l’angelo lo ha rafforzato, ha appena capito Gesù, che quella che gli uomini considerano una sconfitta, era la sua vittoria. Questo fenomeno, che era conosciuto nell’antichità, assume per l’evangelista un significato legato proprio all’agonismo sportivo, indica la tensione dall’atleta quando è in prossimità della gara … suda, è concentrato, è colto da tremori; è ciò che accade in Gesù in quel momento drammatico della sua vita, ma Lui sa di essere più forte del male.

Altro dettaglio: “i discepoli che dormono per la tristezza”. Gesù, rialzatosi dalla preghiera, vede i discepoli che dormono. “Perché dormite?” L’evangelista dice “dormivano per la tristezza”. Durante la passione, i discepoli fanno una pessima figura, Giuda consegna il Maestro, Pietro lo rinnega, tutti scappano e gli evangelisti notano questo comportamento davvero vile; solo Luca cerca in tutti i modi di scusare gli apostoli. Lui non è un apostolo, lui si è convertito a Cristo una decina di anni dopo, cerca di scusare questi primi discepoli deboli, fragili e lo fa. Anzitutto in Luca non c’è l’accenno al fatto che loro sono scappati, anzi dice che “sul calvario, tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano”, quasi a lasciar intendere che anche gli apostoli, da lontano, erano anche loro presenti sul calvario. Poi, non riferisce Luca, il rimprovero di Gesù a Pietro “Simone dormi, non sei riuscito a vegliare un’ora con me”; e poi qui… no perché dormivano, sì, ma era per la tristezza.

Luca è l’esempio del pastore d’anime che non giustifica il male, il peccato, ma lo sa capire, lo attribuisce – come farà poi anche Gesù – all’ignoranza, alla fragilità umana che ci accomuna tutti. Luca non sottolinea l’errore commesso dagli apostoli perché non vuole che ci rinfacciamo anche noi gli errori, perché sappiamo che chi viene umiliato, svergognato perché ha sbagliato nella vita, non si sente accolto, stimato e allora finisce per ripiegarsi pericolosamente su se stesso, ritenersi una persona che non vale e quindi più difficilmente può essere recuperato. L’invito che ci fa Luca, in questo modo di considerare la fragilità dei discepoli, è per noi una lezione pastorale molto importante, saper sempre capire gli errori che vengono fatti dai nostri fratelli e anche i nostri errori personali.

Sentiamo adesso un altro dettaglio che ha soltanto l’evangelista Luca: Giuda, uno dei Dodici, si avvicinò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: “Giuda, con un bacio tu consegni il Figlio dell’uomo?”. Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: “Signore, noi adesso mettiamo mano alla spada”. E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: “Adesso smettetela!”. E, toccandogli l’orecchio, lo guarì.

La reazione istintiva di fronte all’aggressore che ci vuole uccidere è l’autodifesa, questo comportamento che viene spontaneo è comprensibile e dal punto di vista umano, anche un po’ giustificabile, difatti, nell’orto degli ulivi, gli apostoli non hanno esitato a porlo in atto. Quando sono giunte le guardie inviate dai sommi sacerdoti del tempio per compiere un sopruso, una violenza, un’ingiustizia … la prima cosa che hanno pensato di fare, è stata quella di mettere mano la spada. La frase che viene posta nelle nostre traduzioni “Signore, dobbiamo colpire con la spada?”, nel testo originale non è una domanda, è una decisione che loro hanno preso “Signore, noi adesso ricorriamo alla spada”.

Difatti, prima di attendere il parere del Maestro, uno di loro ha iniziato la colluttazione ed è passato alle vie di fatto, ha staccato l’orecchio destro al servo del sommo sacerdote. Ci dirà l’evangelista Giovanni che era Pietro. Gesù è intervenuto, anzitutto ha rimproverato severamente chi aveva compiuto quel gesto sconsiderato, evangelista Matteo aggiunge una frase pronunciata da Gesù, “rimetti la spada al suo posto, nel fodero. Chi colpisce di spada, poi verrà colpito dalla spada”. Non è con la violenza che si costruisce il mondo nuovo. Poi viene il dettaglio che ha soltanto l’evangelista Luca … “Gesù si è preso cura del ferito”. Il messaggio che l’evangelista vuole dare è chiaro, il discepolo non solo non aggredisce chi gli vuole fare del male, ma è sempre pronto a rimediare ai guai provocati dagli altri, si prende cura anche di chi gli ha fatto del male, e forse, vuole continuare a fargli del male.

Adesso vengono i particolari più commoventi che ha soltanto l’evangelista Luca, il primo dolcissimo … lo sguardo di Gesù a Pietro. Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; ì anche Pietro sedette in mezzo a loro. Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: “Anche questi era con lui”. Ma egli negò dicendo: “O donna, non lo conosco!”. Poco dopo un altro lo vide e disse: “Anche tu sei uno di loro!”. Ma Pietro rispose: “O uomo, non lo sono!”. Passata circa un’ora, un altro insisteva: “In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo”. Ma Pietro disse: “O uomo, non so quello che dici”. Allora il Signore volse lo sguardo a Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte”. E, uscito fuori, scoppiò a piangere.

Gli evangelisti concordano nel dire che tutti i discepoli sono scappati, soltanto Pietro ha seguito da lontano il Maestro ed è riuscito a entrare nella casa del sommo sacerdote, poi si è seduto attorno al fuoco in mezzo agli altri, sperando di non essere riconosciuto. È da solo, quindi, è stato molto coraggioso Pietro. La proposta di discepolo che viene fatta a ognuno di noi, quella di colui che segue il Maestro fino alla fine; qui Pietro è da solo ed è stato molto coraggioso, viene riconosciuto e abbiamo sentito che ha rinnegato il Maestro. L’evangelista Marco è molto duro nel presentare il rinnegamento di Pietro, dice che a un certo punto Pietro per salvarsi, ha cominciato a maledire, a invocare maledizioni chiaramente contro Gesù, per convincere tutti che lui non aveva nulla da spartire con Gesù di Nazareth … Pietro ha famiglia e a un certo punto non ce l’ha fatta a dichiararsi discepolo. Tutti gli evangelisti, i 3 sinottici, ci dicono che Pietro è uscito fuori ed è scoppiato a piangere, soltanto l’evangelista Luca nota un dettaglio commovente … dopo il rinnegamento, dopo le maledizioni che Pietro ha pronunciato, c’è stato uno sguardo di Gesù a Pietro e molti purtroppo, lo interpretano come un rimprovero rivolto da Gesù a Pietro, non è così!

Basta guardare il testo originale greco che significa “ha guardato dentro Pietro, ha guardato nel suo cuore”, ha capito che Pietro gli voleva bene, altrimenti non sarebbe lì in quel momento, si è messo in pericolo proprio perché gli vuole bene, ma è debole e fragile. Quello sguardo di Gesù ha detto a Pietro: “ti capisco Pietro, tu a Cafarnao hai famiglia, so che mi vuoi bene”. È stato quello sguardo, che quando Pietro è uscito, lo ha fatto scoppiare a piangere! Sottolineando questo sguardo, Luca dice a tutti i cristiani di ogni tempo, come devono essere considerate le fragilità dei fratelli e anche le proprie fragilità … sentendosi guardati in questo modo da Gesù, gli occhi di Gesù infondono fiducia, ridonano speranza sono occhi che scoprono anche nel più grande peccatore una scintilla di amore, è questo sguardo di amore che aiuta a ripartire.

Adesso un altro particolare che soltanto Luca ci presenta: Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla. Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nell’accusarlo. Allora anche Erode, con i suoi soldati, avendolo annientato (trattato come una nullità … Tu sei nessuno) si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia.

Pilato aveva interrogato Gesù e si era reso conto che non aveva fatto nulla di male, ma non voleva inimicarsi Anna e Caifa, i capi religiosi che glielo avevano consegnato. Quando ha sentito che Gesù era un Galileo, ha pensato di aver trovato la soluzione per uscire da questa situazione che cominciava a diventare troppo ingarbugliata, apparteneva quindi alla giurisdizione di Erode che in quei giorni si trovava a Gerusalemme per la Pasqua e allora ha pensato di inviarglielo. Soltanto l’evangelista Luca ci riferisce l’incontro fra Gesù e il re Erode. Questo re Erode era il figlio di Erode il grande, non era un abile politico come suo padre, era un debole, un corrotto, Gesù lo chiama “volpe, che significa un uomo senza personalità, un collaborazionista dei romani, un rinnegato dal punto di vista religioso. Costui abitava a Tiberiade, quindi lì sul lago e Gesù predicava in tutti i villaggi attorno a quel lago; Erode ne aveva sentito parlare, che faceva miracoli e prodigi e voleva incontrarlo, immaginava che Gesù fosse un mago, un indovino, un esperto di arti occulte. L’evangelista Luca, narrandoci questo incontro, mostra tutto un susseguirsi di stati d’animo nel cuore di Erode e primodi questi stati d’animo, è stata la grande gioia quando ha visto Gesù. Per quale ragione? In quel tempo tutti i re, gli imperatori, i governatori, avevano loro fianco maghi, indovini, astrologi perché servivano loro per fare delle scelte, prevedere il futuro; lui che aveva sentito parlare di Gesù e lo immaginava un mago, ha pensato “costui fa miracoli, per me sarà un successo averlo al mio fianco, io lo colmo di favori, Lui compie prodigi, magari mi fa vincere guerre, chissà dove possiamo arrivare noi due”. Questa è stata la prima reazione, il primo stato d’animo, una grande gioia, poi è venuta la delusione, ha fatto a Gesù un’infinità di domande… Gesù non l’ha degnato di una parola, non gli ha dato risposta. Gesù lo conosceva molto bene, era stato lui a decretare la morte del Battista. Terzo stato d’animo: deluso ha cominciato a insultare Gesù. Il verbo greco non vuol dire insultare, vuol dire annientare, lo annientò, lo ha considerato un nulla … “Tu non sei nessuno, pensa che delusione mi hai dato, io credevo di essere di fronte a una star, a un fenomeno, non vali nulla”… ed è vero! Secondo i criteri di questo mondo, i criteri e i valori di Erode Antipa, Gesù è una nullità. Difatti lo riveste di una tunica regale, proprio per prendere in giro questo fantoccio.

Che messaggio vuole dare Luca raccontandoci questo incontro? Vuole mettere in guardia tutti coloro che anche oggi cercano Gesù come facitore di miracoli, non riceveranno alcuna risposta, non troveranno ciò che cercano perché Gesù non ha mai promesso di fare dei miracoli. Il cristianesimo è la proposta di una parola di vita prodigiosa perché, se accolta con fede, crea un uomo nuovo, è messaggio dell’amore, del dono della vita per il fratello, non il luogo dove si possono ottenere dei miracoli; i miracoli non li fa Gesù, non li fa Dio, li fa la fede! Quando noi accogliamo il Vangelo, accadono prodigi nel mondo! Gesù, chiama chi da Lui si aspetta miracoli “gente perversa e senza fede”, teniamolo presente questo messaggio che viene per coloro che si accostano a Gesù per ottenere miracoli, Gesù non dà risposta.

Adesso c’è l’incontro con le donne nel cammino che Gesù fa verso il calvario e anche questo dettaglio ci è riferito soltanto da Luca: Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?”.

Luca è l’evangelista che più di ogni altro mette in risalto l’amore, l’attenzione di Gesù per i poveri, i peccatori, le persone più deboli, più fragili … ed è anche l’unico evangelista che ci parla delle donne che durante la vita pubblica hanno accompagnato Gesù e il gruppo dei discepoli. All’inizio del capitolo 8 ne cita alcune per nome: la Maddalena, Giovanna che era la moglie di Cusa amministratore del re Erode, Susanna e molte altre. Tutti gli evangelisti, poi ci diranno che alcune di queste donne hanno accompagnato Gesù fino sul calvario. L’evangelista Luca è l’unico però, che ci dice che lungo la via verso il calvario, Gesù ha incontrato un gruppo di donne che piangevano e si battevano il petto,come se si sentissero corresponsabili del crimine che si stava commettendo; loro non erano responsabili di quanto stava accadendo, piangevano per colpe commesse da altri.

Richiamando questo particolare, Luca vuole ancora una volta prendere le difese delle persone più deboli, di coloro che pagano le conseguenze di peccati commessi da altri. Lo sappiamo che il più delle volte sono gli uomini che combinano disastri, sono loro che scatenano le guerre, commettono violenze … ma chi ne paga le conseguenze più degli altri? Chi è che piange? Sono i più deboli, sono le donne. È un invito, quello dell’evangelista, ad ascoltare di più il cuore e la sensibilità delle donne, che si rendono conto prima e più degli uomini, dove conducono certe scelte insensate. Se noi ci sintonizzassimo di più sulla sensibilità delle donne, credo che il numero delle guerre e dei crimini diminuirebbe tanto.

Sentiamo adesso un altro particolare nel racconto della passione di Gesù che si trova soltanto nel Vangelo secondo Luca: Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. L’altro invece lo rimproverava dicendo: “Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male”. E disse: “Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”.

Tutti gli evangelisti riferiscono che Gesù non è morto da solo, ma che al suo fianco aveva due criminali; Matteo e Marco dicono che tutti e due questi criminali insultavano Gesù; l’evangelista Luca racconta il fatto in un modo diverso, dice che uno dei due insultava Gesù, ma l’altro rimproverava il suo collega dicendo: “Noi due siamo dei criminali, lui no”, e ad un certo punto si rivolge a Gesù e chiamandolo per nome gli dice: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. E Gesù gli risponde: “Oggi sarai come nel paradiso”.

Proviamo a ripensare … chi troviamo noi accanto a Gesù quando leggiamo il Vangelo secondo Luca? Quando Gesù nasce, al suo fianco, accanto alla culla, noi troviamo gli ultimi della società, i pastori, la gente impura, disprezzata; poi quando inizia la vita pubblica, Luca ci dice che Gesù è andato a farsi battezzare in mezzo ai peccatori; Matteo riferisce anche la reazione del Battista che dice a Gesù: “Tu sei fuori posto, tu devi stare con i buoni non con i peccatori” … anche il Battista ha dovuto cambiare idea dell’immagine di Dio che si era fatta. Al termine della vita, chi potevamo aspettare noi che ci fosse accanto a Gesù quando lascia questo mondo? Gli ultimi, coloro che hanno sbagliato tutto nella vita, i poveri infelici.

Gesù è venuto da Dio, ha fatto il suo esodo su questa terra e adesso torna al Padre… e chi porta con sé? Uno che ci rappresenta tutti, uno che ha sbagliato nella vita, perché tutti errori ne commettiamo, lo conduce nella casa del Padre, perché un giorno “dopo tutto il male che ci siamo fatti, il Padre del cielo ci aspetta tutti alla sua mensa”.

Adesso ascoltiamo le ultime parole di Gesù, quelle del perdono per coloro che gli stanno togliendo la vita: Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Ci sono stati dei martiri che sono morti disprezzando coloro che li uccidevano e minacciando la vendetta del cielo su di loro. Nel secondo libro dei Maccabei al capitolo 7, viene narrato il martirio dei sette fratelli; uno di loro, ad un certo punto, rivolto al carnefice dice: “Non credere che rimarrai impunito”, cioè un giorno tu la pagherai per il crimine che stai commettendo. Il discepolo di Cristo non conosce questo linguaggio, non può maledire, non può invocare castighi su coloro che gli fanno del male, sulla croce Gesù ha mostrato come si comporta il figlio di Dio con coloro che gli fanno del male.

Luca ricorda che pochi istanti prima di spirare sulla croce, Gesù ha avuto ancora la forza di dire: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. E non si riferiva ai soldati che stavano dividendosi le sue vesti, ma ai veri responsabili della sua morte, Anna, Caifa, i capi religiosi. Durante la vita pubblica era stato molto chiaro Gesù con i suoi discepoli, aveva detto: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male, a chi ti percuote sulla guancia tu porgigli anche l’altra, a chi ti strappa il mantello, se ha bisogno, tu dagli anche la tunica, perché è così che si comportano i figli di Dio”.

Ma Gesù non si è limitato a dare ordini su come ci si deve comportare se si vuole essere suoi discepoli, Lui ha dato l’esempio con la sua vita, sulla croce ha mostrato tutto il suo amore in quelle parole di perdono. Luca nella seconda parte della sua opera, negli Atti degli apostoli, racconta la morte di Stefano, il primo martire e dice che mentre lo stavano lapidando, a un certo punto, piegate le ginocchia sotto i colpi delle pietre, ha gridato forte: “Signore, non imputare loro questo peccato”. Eccolo l’atteggiamento del vero discepolo, l’unico compatibile con il comportamento del Maestro.

Pietro, scrivendo ai cristiani del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, della Bitinia che stavano subendo persecuzione, che cosa fa? Ricorda l’esempio del Maestro, il quale oltraggiato non rispondeva con oltraggi, soffrendo non minacciava vendetta. È così che si comporta il figlio di Dio (I Pietro).

 

 
 
 

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