Mensa della Parola: Is 60,1-6; Sal 72/71,1-2.7-8.10-11.12-13; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12
Epifania è nome greco «io manifesto/appaio/rivelo». Con questa festa si conclude il tempo liturgico del Natale iniziato con la Veglia del 24 dicembre. Dal II al III secolo dell’èra cristiana le due memorie, Natale ed Epifania, erano unite in una sola: in tutto l’Oriente, infatti, il 6 gennaio si celebrava una festa generica, detta Epifania – manifestazione, che inglobava in uno tre eventi riguardanti la persona di Gesù:
- La memoria di Natale, inteso come «incarnazione del Lògos.
- La visita dei Magi, letta come convocazione di tutti i popoli non ebrei.
- Il Battesimo di Gesù al Giordano, dove è «rivelato» Figlio di Dio tra i peccatori.
La Chiesa latina, con papa Libèrio nel 354, separò le due festività fissando definitivamente il Natale al 25 dicembre, intorno al solstizio d’inverno, mentre fissò l’Epifania al 6 gennaio, cioè dodici giorni dopo. La Chiesa ortodossa, fin dal suo nascere (1054) e quella armena (554), ancora oggi, mantengono accorpate le due feste al 6 gennaio come al principio. Tra Natale e l’Epifania c’è un legame profondo simile a quello che intercorre tra Pasqua e Pentecoste. A Natale prendiamo atto dell’incarnazione del Lògos/Verbo/Parola/Figlio di cui veniamo a conoscere il volto, il nome e la missione. All’Epifania, volto, nome e missione acquistano una dimensione universale. A Natale c’è l’Uomo consegnato da Dio all’umanità e quindi è considerato nella sua natura; all’Epifania quest’Uomo è visto dalla prospettiva umana che lo riconosce «Dio», venuto con una missione: dichiarare l’amicizia di Dio verso il mondo.
Il bimbo nato giudeo da giudei, osservante della Toràh, valica i confini del «particolare» d’Israele e accoglie i Magi che vengono dall’Oriente e che non appartengono alla tradizione ebraica. Come Pasqua è la presa di coscienza della liberazione di Dio e la Pentecoste è la stessa liberazione affidata come missione per tutti i popoli della terra, così a Natale prendiamo atto che Gesù è nato ebreo per sempre e all’Epifania siamo certi che questa nascita è progetto di alleanza per tutti i popoli, per tutte le culture e nazioni. I Magi provengono dall’oriente da dove Gesù li ha chiamati a un’avventura straordinaria, il regno di Dio. Agli occhi dei popoli africani, asiatici e cinesi ancora oggi il cristianesimo appare come frutto e strumento dell’occidente colonizzatore: dell’Europa e del suo prolungamento oltre oceano cioè gli Stati Uniti e il Canada o le Americhe latine. Il cristianesimo è nato per essere «incarnato» in ogni cultura di qualunque latitudine. Al vangelo di Cristo che non mortifica una civiltà a favore di un’altra si può bene applicare l’affermazione sublime di Terenzio Afro: sono uomo e nulla di ciò che è umano mi è estraneo. Esso, invece, proprio per questo, sa cogliere l’anelito di Dio che c’è in ciascuna cultura e identità di popolo per portarla a compimento oltre i confini del singolo popolo per fare di tutti i popoli il regno di Dio.
Il racconto dei Magi, venuti dall’estremo oriente, guidati dalla stella, non è storico, ma è un genere letterario teologico, usato da Mt per affermare l’universalità della fede cristiana. L’ignoranza materiale della Bibbia è uno dei drammi non solo delle Chiese cristiane, ma anche della civiltà che si vanta di farvi riferimento, basandosi solo su «sentito dire» sentimentale, ma senza fondamento. I lettori di Mt sono abituati alla lettura sinagogale della Scrittura attraverso il metodo esegetico plurimo, tra cui eccelle il midràsh, che illustra gli avvenimenti presenti alla luce delle Scritture antiche, mettendo in relazione tra loro testi diversi per contesto e tempo, in base al principio che la «Scrittura spiega la Scrittura». L’evangelista si preoccupa di vedere nella nascita una corrispondenza parallela con alcuni testi dell’AT allo scopo di individuare e descrivere Gesù bambino che i segni premonitori indicano come manifestazione della divinità, in cui si sono realizzate tutte le vocazioni più importanti della storia d’Israele. Il bambino Gesù non è forse il compimento della «speranza e la gloria d’Israele» (Ger 14,8; Lc 2,32)? San Leone Magno papa (440-461) dice che nell’Epifania «la grande massa delle genti» entra «nella famiglia dei Patriarchi» e ottiene la «dignità del popolo eletto». Nel giorno dell’Epifania, i Magi sono il volto di tutti i pagani e di tutte le genti che entrano nell’elezione d’Israele, con gli stessi diritti e doveri del popolo di elezione (1Pt 2,9). Oggi tutti diventiamo eredi delle promesse, tutti diventiamo Israele.
Esame di coscienza
Con i santi Magi, prostriamoci in adorazione del Dio d’Israele che oggi si rivela al mondo Signore delle Genti/Popoli e consapevoli di avere ricevuto il dono della fede, invochiamo con gioia e gratitudine il Nome Santo di Dio su ogni popolo e nazione, su ogni uomo e donna perché nessuno resti escluso dal sigillo della grazia che oggi riceviamo. Solidali con il mondo degli uomini e delle donne, noi che abitiamo nel mondo, con gli occhi rivolti alla patria del cielo (Fil 3,20; Gv 15,19), andiamo per le strade dell’umanità a cogliere ogni frammento dell’immagine e somiglianza che Dio ha seminato nel cuore di ciascuno. Carichiamoci del peso del mondo e domandiamo perdono per noi, per la Chiesa e per lo stesso mondo affinché la misericordia divina ci liberi da ogni forma di particolarismo e ci apra al respiro della fraternità/sororità che si fonda sulla paternità di Dio. Invochiamo il perdono e la pace su di noi, mentre ci riconosciamo peccatori davanti alla Maestà divina.
Signore, ti sei rivelato a noi Dio dei popoli e degli individui. Kyrie, elèison. Kyrie, elèison.
Cristo, sei venuto a raccontarci il volto di Dio, Padre e Madre. Christe, elèison. Christe, elèison.
Signore, nei Santi Magi hai aperto il Tempio a tutti i peccatori. Kyrie, elèison. Kyrie, elèison.
Cristo, che nel Battesimo ti sei messo in fila coi peccatori. Christe, elèison. Christe, elèison.
Signore, alle nozze di Cana hai manifestato la Gloria divina. Kyrie, elèison. Kyrie, elèison.
Cristo, che nel vino e nel pane manifesti il tuo fragile volto. Christe, elèison. Christe, elèison.
Dio, che sei apparso a noi nella debolezza della fragilità umana e manifestato all’umanità intera simboleggiata dai Magi, che ci libera da ogni particolarismo e ci apre all’anelito di Dio che si manifesta a tutti i popoli nel rispetto dei loro mezzi di conoscenza, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen!
Annuncio del giorno di Pasqua
Fratelli e sorelle carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno. Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza. Centro di tutto l’Anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il 31 marzo. In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte. Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi: le Ceneri, inizio della Quaresima, il 14 febbraio, l’Ascensione del Signore, il 12 maggio, la Pentecoste, il 19 maggio, la prima domenica di Avvento, il 1 dicembre. Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli, dei santi e nella commemorazione di tutti i fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore. A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode pe-renne nei secoli dei secoli. Amen.
Spunti di riflessione e preghiera
I capitoli 1 e 2 di Mt, come anche quelli di Lc, formano i «vangeli dell’infanzia» di Gesù. Questi capitoli sono molto delicati e devono essere maneggiati con cura. Se si prendono alla lettera si rischia di travisare del tutto non solo la comprensione, ma specialmente il messaggio. Questi capitoli non sono da leggere in «modo storico» come oggi noi intendiamo questa espressione, perché essi sono «teologici», scritti per veicolare il processo di divinizzazione lento e costante di Gesù da parte della Chiesa nascente dopo la morte e risurrezione e dopo/contemporaneamente la predicazione di Paolo. Mc non accenna per nulla alla nascita di Gesù e a tutto ciò che vi ruota attorno, ma resta il vangelo canovaccio di cui si servono sia Mt che Lc per la redazione dei loro rispettivi scritti, che adattano alle esigenze delle rispettive comunità. In altre parole, Mt e Lc dipendono da Mc, ma per la narrazione dei «vangeli dell’infanzia» si servono di fonti proprie e indipendenti e perseguono «teologie» differenti. Mt e Lc, infatti, riportano «due» vangeli dell’infanzia di Gesù molto differenti tra loro. Anche Gv non parla della nascita di Gesù, perché in modo solenne nel Prologo del suo vangelo, forse un inno in uso nella chiesa di Efeso, egli descrive non la «nascita», ma l’«origine» eterna del Lògos che entra nella storia per rivelare il volto del Padre (Gv 1,18).
La liturgia oggi è armonica e nelle quattro letture (compreso il salmo) vi è lo stesso messaggio. Isaia vede un afflusso di popoli nella città santa, provenienti dall’oriente, che portano ricchezze abbondanti. Gerusalemme è la patria del mondo che si ritrova unito nella fede in Dio. È il tema dell’universalità della fede. San Paolo, in forza della sua vocazione, partecipa agli Efesini il mistero che gli è stato rivelato e per il quale è stato chiamato: i Gentili, coloro che provengono dal mondo greco, esclusi dalla figliolanza di Abramo, in Gesù Cristo, sono ammessi con gli stessi diritti e doveri degli Ebrei alla mensa della salvezza e della giustificazione, senza obbligo di passare attraverso il giogo della Legge (Ef 3,6). Il velo del tempio che separava Dio dal mondo ora è spezzato e nessuno può più ripararlo, perché il Tempio di Dio è l’umanità del Figlio di Dio, Uomo tra gli uomini. Tutti gli uomini hanno diritto alla redenzione.
Il vangelo dice la stessa cosa, ma in maniera ebraica, cioè utilizzando l’esegesi del Midràsh per spiegare il fatto nuovo della fede aperta a tutti i popoli. Mt è un ebreo che parla ad Ebrei e quindi usa gli strumenti che gli Ebrei meglio conoscono per studiare la Scrittura e coglierne il messaggio. Per comprendere il testo dei Magi (vangelo di oggi), bisogna considerare l’intero brano che va da Mt 1,18 a 2,23 in cui sono sintetizzati cinque episodi della vita di Gesù bambino messi a confronto parallelo con cinque fatti e personaggi dell’AT.
1. Il primo personaggio e il più importante è Mosè, profeta, guida, intermediario, liberatore d’Israele.
Egli è il soggetto più ricco e più emblematico di tutto l’AT. Nei vangeli dell’infanzia Gesù è presentato come «nuovo Mosè». Se mettiamo a confronto Mosè e Gesù troviamo una corrispondenza straordinaria:
a. Le fonti rabbiniche narrano che la nascita di Mosè fu annunciata al Faraone in un sogno: un anziano aveva una bilancia in mano. Egli legava tutti i saggi, i principi, i nobili e i potenti d’Egitto e li poneva su un piatto, mentre sull’altro adagiava un poppante che da solo faceva pendere la bilancia dalla sua parte. Il Faraone convocò tutti i saggi della terra d’Egitto perché gli spiegassero il segno … Bàlaam figlio di Beòr così interpretò l’inquietante visione: «Significa che un grande male cadrà sull’Egitto, giacché un figlio nato dal popolo d’Israele porterà la distruzione nel paese».
- Allo stesso modo, l’annuncio della nascita di Gesù è fatto dai Magi ad Erode, che chiama gli Scribi e i Sacerdoti (Mt 2,1-6) per indagare sul tempo e sul luogo.
b. Il Faraone ordina di uccidere tutti i figli maschi degli Ebrei (Es 2,15.22).
- Allo stesso modo, Erode ordina la strage dei neonati primogeniti di Betlemme (Mt 2,16-17).
c. Mosè sfugge al massacro dei bambini (Es 2,1-10) e sfuggirà di nuovo alla vendetta del Faraone, rifugiandosi all’estero in Màdian (Es 2,11-15).
- Allo stesso modo, Gesù sfugge al massacro rifugiandosi all’estero, in Egitto (Mt 2,13-15).
d. Es 2,6 dice che la figlia del Faraone aprì la cesta e «vide il bambino». La figlia del Faraone vide la Shekinàh, cioè la Presenza di Dio che illuminava il piccolo Mosè.
- Allo stesso modo, la nascita di Gesù è illuminata dalla luce celeste (Mt 2,9: la stella; per Lc 2,13 anche l’angelo e la moltitudine celeste; per Gv 1,5 la luce brilla nelle tenebre).
e. In Es 4,19 Mosè è richiamato dall’angelo in Egitto con queste parole: «Va’, torna in Egitto perché sono morti tutti quelli che cercavano la tua vita».
- Allo stesso modo, Gesù è richiamato dall’angelo perché torni dall’Egitto in Palestina (Mt 2,14-15.21).
Il parallelismo è sorprendente perché Mt, preso dalla foga del confronto non si accorge che usa la stessa espressione nella forma plurale, sebbene a volere la morte di Gesù fosse solo Erode, come dice in Mt 2,13:
«Mt immedesima così tanto la vita di Gesù con quella di Mosè che ne moltiplica i nemici per rendere ancora più forte la somiglianza. Ciò non vuol dire che Mt non racconti avvenimenti storici, solo che li narra a modo suo, mettendo in evidenza la caratteristica del Messia che sarebbe stato un condottiero e una guida come Mosè lo fu per il popolo d’Israele. Ai Giudei che diventavano cristiani, in sostanza Mt diceva: non perdete nulla della vostra ebraicità diventando cristiani, anzi acquistate qualcuno che è ancora più grande di Mosè. Guardate la vita di Gesù, il salvatore del mondo, è simile a quella del profeta di Dio che ha salvato Israele dalla schiavitù del Faraone. Per Mt Gesù è il nuovo legislatore, anzi è colui che assume la Toràh di Mosè e la porta a pienezza definitiva (Mt 5-8). Tre testi mettono in evidenza la dipendenza letteraria di Mt da Esodo 4,19:
- Mt 2,13: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
- Mt 2,20 invece afferma: «Àlzati, prendi il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano la vita del bambino», riprendendo Esodo alla lettera
- Es 4,19: «Va’, torna in Egitto, perché sono morti tutti quelli che cercavano la tua vita».
Agli occhi di Mt e della sua comunità giudàico-cristiana, Gesù è il legislatore della Nuova Alleanza come Mosè lo fu della Prima. Come Mosè scrisse, secondo la tradizione, «cinque rotoli» (l’attuale Pentatèuco), allo stesso modo, per Mt, Gesù pronuncia «cinque discorsi» che sono, quindi, nella sua intenzione, l’attuazione nuova della Toràh.
2. Il secondo personaggio a confronto è il patriarca Giacobbe-Israele.
a. Per sfuggire alla polizia egiziana che lo ricerca per omicidio (Es 2,11-15), Mosè dovette scappare dall’Egitto e rifugiarsi nella terra di Màdian (ad est del deserto del Sinai, oltre il Mare Rosso, oggi in Arabia Saudita). Al contrario Gesù deve scappare dalla Palestina per rifugiarsi in Egitto, cioè deve fare il cammino inverso. Il luogo della schiavitù e dell’oppressione del suo popolo diventa per Gesù luogo di sicuro rifugio.
b. Questa fuga in Egitto associa Gesù al patriarca Giacobbe-Israele che in Gn 46,3 Dio stesso invita a scendere in Egitto: «Non temere di scendere in Egitto, perché laggiù io farò di te un grande popolo. Io scenderò con te in Egitto e io certo ti farò tornare».
c. Rachele, la seconda moglie di Giacobbe e madre di Giuseppe e Beniamino, morì nel dare alla luce quest’ultimo e fu sepolta in una tomba sulla strada di Betlemme. La tradizione giudaica pensava che Rachele fosse rimasta nella sua tomba in Palestina, a occupare la Terra Promessa, aspettando nel pianto e nel dolore il ritorno del suo sposo e dei suoi figli esuli in terra straniera (Gen 35,19). Ella non smise di piangere finché i suoi figli non furono ritornati dall’esilio per ricostituire il popolo di Dio (Ger 31,15).
d. In Mt 2,18 ritroviamo ripresa la tradizione di Rachele che piange aspettando i suoi figli esuli ed è un’altra conferma che ci troviamo in piena esegesi midrashica: «18 Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più» (Mt 2,18; Ger 31,15).
e. Come il patriarca Giacobbe emigrò in Egitto solo e ritornò dall’Egitto come un grande popolo, così Gesù emigrò bambino in Egitto per ritornare in Palestina e divenire un grande popolo, chiamando anche i pagani a entrare nel regno. La citazione di Os 11,1 che Mt fa in 2,15 ne è un’importante conferma. Qui si trova un tema pasquale perché Cristo entrerà da solo nella sua morte e discenderà da solo negli inferi, ma ne tornerà Figlio di Dio e primogenito di un popolo immenso, fatto di Ebrei e Gentili. Nei vangeli dell’infanzia si respira il clima pasquale della redenzione.
3. Il terzo personaggio di confronto con Gesù è Davide.
a. Il Re Davide è scelto da Dio contro ogni logica umana: è l’ultimo di otto figli (1Sa 16,10-13). Davide è «l’unto di Giacobbe» (2Sa 23,1), dalla cui discendenza sarebbe nato il Messia (2Sa 7,12.14), l’Èmmanuele che avrebbe regnato come Davide «principe sul mio popolo» (2Sa 7,8). Giuseppe è della stirpe di Davide e l’angelo gli annuncia che darà il nome del casato davidico all’Èmmanuele (Mt 2,20-24) per realizzare la profezia di Is 7,14.
b. Il regno di Davide ingloba la «casa di Giacobbe» da cui proviene la stella, profetizzata da Bàlaam figlio di Beòr: «Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,15-17, qui 17). Anche la tradizione giudaica legge la «stella» in chiave messianica. La stella è dunque il simbolo del nuovo regno davidico (scettro) che durerà in eterno (Is 9,6): «Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria» (Is 62,1-2). La stella e i re sono abbinati insieme davanti al re davidico e Messia.
4. Il quarto personaggio di riferimento è Salomone.
a. Salomone è il figlio di Davide che stabilizza il regno di Davide (2Sa 7,12) portando la pace entro i suoi confini. È lui che costruisce il tempio negato a suo padre (2Sa 7,13)162. Salomone fu pieno di sapienza da attirare la regina di Saba venuta apposta a glorificarlo con doni e ricchezze (1Re 10,1-13; 2Cr 9,1). Allo stesso modo, Gesù attira i sapienti d’oriente, i Magi, che vengono ad adorarlo portando doni e ricchezze regali (Mt 2,2.11).
b. È interessante notare che l’apocrifo cristiano «La Caverna del tesoro» (sec. II d.C.) narra che Adamo volle unirsi a Eva per generare i figli, ma prima «prese dai confini del mondo oro, mirra e incenso, li pose nella caverna e la benedisse e la consacrò perché fosse la casa sua e la casa dei suoi figli e la chiamò “caverna del tesoro”» (5,14-17). Quando Noè salì sull’arca portò con sé il corpo di Adamo che collocò al centro di essa e le «tre offerte: oro, mirra e incenso» che pose sopra di lui (16,14).
c. I Magi che portano oro, incenso e mirra (Mt 2,11) non realizzano solo la profezia di Is (1a lettura), ma conducono le offerte di Adamo in vista della redenzione. Quel Bimbo è il redentore.
5. Il quinto personaggio di riferimento è il profeta Elia.
a. Il profeta Malachìa 3,23 aveva profetizzato che Elia avrebbe preceduto il Messia. Elia praticò il nazireato profetico (2Re 1,8) come Gesù sarà chiamato «nazareno» (Mt 2,23).
b. Elia deve fuggire inseguito dalle guardie della regina Gazabele (1Re 19,1-9) come Mosè e come Gesù.
Agli occhi di Mt, dunque, Gesù è colui che realizza in sé tutte le chiamate più significative dell’AT che trovano compimento nel Figlio di Dio, nato da Maria. Vi sono altri motivi che sottostanno al midràsh composito del racconto del Magi.
1. In 2,6 Mt cita l’At: 6 E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo (Mi 5,1) che pascerà il mio popolo, Israele (2Sa 5,2). Mettendo insieme Michèa e 2 Samuele, Mt dice che il Messia è della discendenza di Davide e nello stesso tempo sana la divisione tra nord e Sud, tra Israele e Giuda. Il bimbo adorato dai Magi è il Messia che restaura l’unità del popolo di Dio e compie la richiesta delle tribù del nord che invitano Davide a regnare su di esse. Il Messia è un «costruttore/operatore di pace» (Mt 5,9).
2. Un altro motivo che giustifica il racconto è il tentativo di spiegare ai cristiani-giudei perché non tutti i pagani accolgono il Messia. A questo scopo Mt inserisce l’episodio di Erode che non era ebreo, ma idumeo (sud-est della Giudea). Egli però era il re d’Israele e per ingraziarsi il favore dei Giudei che lo odiavano, intorno al 20 a.C., iniziò la costruzione del tempio che inaugurò dieci anni dopo. La figura di Erode è messa in contrasto con quella dei Magi. Erode fa finta di cercare Gesù: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo» (Mt 2, 8) e si sa che le sue intenzioni sono omicide. Al contrario i Magi, stranieri senza alcun rapporto con il popolo ebraico, vengono da lontano a cercare veramente il Signore: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo» (Mt 2, 2).
3. I pagani cercano il Signore e coloro che per responsabilità o professione dovrebbero cercarlo, invece, pur essendo informati non sanno riconoscerlo: «Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: 6 «E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele» (Mt 2, 2-4).
4. L’ambito in cui si muove Mt è il rifiuto dei Giudei (tema ricorrente nei vangeli) e la fede dei pagani: di fronte a questi che vengono ad adorare il Signore, l’evangelista si ricorda della profezia di Is 60,6 di cui segnala la realizzazione non più nella sontuosità del tempio, ma nella povertà di Betlemme: «Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Éfa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore».
5. Questo entusiasmo, di fronte ai pagani convertiti al cristianesimo, è un ulteriore motivo per rafforzare la fede dei cristiani provenienti dall’ellenismo: anche le profezie giudaiche condannano l’ostilità dei Giudei e sono a favore dei popoli pagani. Lo stesso atteggiamento incredulo dei sacerdoti è sottolineato da Mt dopo la risurrezione (28,11-15), quando sostituisce la loro funzione con l’invio dei nuovi apostoli a tutte le nazioni avendo l’obiettivo del battesimo come porta universale di salvezza (28,16-20).
6. L’episodio dei Magi è anche un commento di Mt all’episodio di Bàlaam nel libro dei Nm (22,1-21). Bàlak re di Mòab (dunque straniero) manda a chiamare un indovino per maledire Israele (Nm 22,2-4), come Erode è re straniero che vuole servirsi dei Magi per trovare Gesù e ucciderlo. Bàlaam invece di maledire, benedice Israele e annuncia il sorgere della «stella di Giacobbe» (Nm 23,11; 24,17). I Magi che avrebbero dovuto riferire ad Erode, lo raggirano per ordine di Dio (Mt 2,8.12.16). Sia Bàlaam che i Magi vedono «la stella» (Nm 24,17; Mt 2,2.10). Sia Bàlaam che i Magi se ne tornano a casa loro senza difficoltà (Nm 24,25; Mt 2,12).
Con questo midràsh applicato alla nascita di Gesù Mt, che scrive tra il 75 e l’80 d.C., quando cioè la Chiesa è organizzata e sono ancora vive le polemiche di Paolo con i giudaizzanti (Gal. 2), alla luce della Pasqua e dell’esperienza apostolica, introduce i pagani nel mistero della fede fin dalla prima infanzia di Gesù, quasi volendo giustificare l’azione missionaria in forma retrospettiva (a posteriori). Il fatto che non tutti gli elementi del racconto siano «storici» secondo i canoni della storiografia moderna, non significa che ne restino pregiudicati anche il messaggio e la struttura teologici. Anzi questi ultimi restano rafforzati e acquistano sempre più il peso dell’attualità.
L’Epifania spezza definitivamente l’immagine della chiesa come struttura funzionale al potere dominante, che è la tentazione perenne degli uomini ecclesiastici in ogni tempo di decadenza. Al contrario la festività di oggi espone la teologia universalistica del racconto dei Magi e impone la purificazione del pensiero, la liberazione della Chiesa stessa da ogni legame innaturale con i potenti che il Signore del Magnificat rovescia dai loro troni (Lc 1,52) e guida quanti credono nei Magi-messaggio alla comprensione della fede come categoria universale e non nazionale o particolare; questa teologia universalistica non ammette altro metodo che non sia quello dell’accoglienza senza confini, senza limiti, oltre ogni cultura e qualsiasi sentore di antistoriche civiltà (Ap 5,4; 7,4.9).
Celebrare l’Eucaristia è rivivere ogni domenica l’anelito dei Magi che, come Abramo, lasciano il loro paese, la loro patria, il loro padre (Gen 12,1-4) per venire ad adorare colui che si fa oggi e qui Parola e Pane per essere a disposizione di ciascuno di noi, a condizione che i doni portati siano il segno di un cuore universale, aperto all’avventura di Dio perché accogliente dell’esperienza umana, dovunque essa sia vissuta o sofferta.
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