Mensa della Parola: Gn 3,9-15.20; Sal 98/97,1-4; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38
Una delle caratteristiche della teologia cattolica, spesso dimenticata, è che «il senso o l’intuito dei fedeli», costituisce, insieme al magistero, uno dei «luoghi» in cui si manifesta l’autenticità della fede, come afferma il concilio ecumenico Vaticano II nella costituzione dogmatica sulla Rivelazione, (Dei Verbum, n. 8). Nella Chiesa la festa dell’Immacolata Concezione di Maria è il frutto primario della fede popolare, mentre magistero e teologia procedono cauti e per lungo tempo diffidenti. Nei primi secoli del Cristianesimo si sviluppò il parallelismo di somiglianza/opposizione tra Eva, la «prima mater», e Maria, la «Mater». Eva, come prima donna, fu creata da Dio senza macchia di peccato; Maria, chiamata a essere la Madre di Dio, è concepita immacolata; Eva cercò la sua auto-realizzazione, Maria si abbandonò al volere di Dio; Eva disobbedì per prima, Maria ubbidì con prontezza; Eva peccò e coinvolse nel suo peccato Adamo, Maria magnificò il Signore e l’offrì al mondo. Invochiamo la Madre di Dio che si lasciò sovrastare dallo Spirito Santo e per questo poté accogliere il Lògos/Parola che in lei «carne fu fatto» (Gv 1,14), divenendo il «prototipo» del credente che, abbandonandosi alla Parola e lasciandosi «possedere» da essa, diventa «carne di Dio» come sperimenta il profeta Geremia: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre» (Ger 20,7). Il Dio di Maria è Dio vicino, il volto della Shekinàh/Dimora/Presenza, in tutto simile a noi, cosicché, in Gesù possiamo avvicinarci a Dio e riconoscerlo nostro Signore e Redentore: il Dio vicino.
Tropàri a Santa Maria
Santa Maria, Madre di Dio. Prega per noi.
Santa Maria, Figlia del Padre.
Santa Maria, Figlia del Tuo Figlio redentore.
Santa Maria, Arca dello Spirito Santo consolatore.
Sposa, che hai detto il primo «sì» della nuova Alleanza.
Madre, che hai tessuto nel tuo grembo il Cristo eterno.
Madre, che hai donato al mondo Cristo, Figlio dell’Uomo.
Sorella, che sei sollecita nel visitare Elisabetta per servirla.
Tenda divina che hai percorso il tragitto della santa Arca.
Ebrea fedele che hai esultato in Dio salvatore.
Donna di tenerezza che hai creduto nella misericordia di Dio.
Primogenita tra i figli redenti dal sangue del tuo Figlio Risorto.
Madre che hai accolto i pastori a Betlemme.
Tempio della grazia, che hai presentato Gesù al tempio.
Sposa premurosa che hai voluto il segno nuziale di Cana.
Madre del dolore che hai seguito tuo Figlio fino alla croce.
Sposa feconda, che hai accolto Giovanni come tuo figlio.
Segno della Chiesa, che hai perseverato in preghiera con gli Apostoli.
Piena di grazia, che hai implorato il dono dello Spirito.
Figlia della Parola, modello del popolo che ascolta la Parola di salvezza.
Sigillo di Agàpe che conservi nel tuo cuore l’Amore che effondi su noi.
Donna orante che previeni ogni nostra preghiera e bisogno.
Sposa del volere di Dio che sigillasti il tuo volere nella volontà di Dio.
Figlia del tuo Figlio, noi ti scegliamo nostra Madre e Regina.
Donna, sorgente di Vita, proteggi le donne madri, spose e figlie.
Maria, che preghi per noi adesso e nell’ora della nostra morte.
Esame di coscienza
Oggi celebriamo una donna «singolare» perché libera da sé, povera per sé e rimessa alla volontà di Dio, che scelse come propria volontà. In lei come in nessun altro abita la Trinità beata: il Padre la sceglie, lo Spirito la sublima e il Figlio si fa partorire da lei come dono all’umanità. In rappresentanza di questa umanità di donne e uomini iniziamo questa Eucaristia nel segno della donna e della comunione trinitaria. «Non temere, Maria» (Lc 1,30). Sono queste le parole di consolazione che Gabriele dice a Maria per annunciarle il disegno di Dio su di lei. «Non temete!» sono le parole che sulla soglia dell’Eucaristia oggi lo Spirito di Gesù risorto pronuncia su di noi, affinché con fiducia possiamo entrare nel mistero di Dio e celebrare con Maria il suo progetto d’amore. «Non temete!», donne e uomini, perché Dio è vostro Padre e oggi vi dona una Madre refugium peccatorum, cioè come sorella che si prende cura di noi. Riconosciamoci bisognosi della misericordia di Dio, invocandola sulla chiesa, sulle donne del mondo, sugli uomini che le donne educano, crescono e amano, sui disperati e su noi stessi.
Signore, tu sei il Figlio dell’Eterno, nato da Maria. Maràn, athà! Kyrie, elèison!
Cristo, tu sei il Figlio di Maria, generato dal Padre. Maràn, athà! Christe, elèison!
Signore, tu hai voluto nascere «da donna» per essere il Dio vicino. Maràn, athà! Kyrie, elèison!
Cristo, per la tua croce hai preservato Maria da ogni macchia. Maràn, athà! Christe, elèison!
Signore, che dalla croce ci hai affidati con Giovanni alla Madre. Maràn, athà! Kyrie, elèison!
Cristo, a te ricorriamo per mezzo di Maria, tua e nostra Madre. Maràn, athà! Christe, elèison!
Dio, nostro Padre, che ha chiamato Maria, una figlia nascosta e sconosciuta di Israele, ad essere la Madre del Messia, e in lei ha sintetizzato tutta la speranza e l’attesa del suo popolo, per i meriti dei santi Patriarchi che hanno vissuto in vista del giorno del Signore, per i meriti delle sante Matriarche che hanno preparato il popolo d’Israele a questo giorno; per i meriti della Vergine Maria, modello di credente costantemente alla ricerca della volontà di Dio, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
Spunti di riflessione e preghiera
Nella letteratura giovannea quando si parla di «sposa» il riferimento è sempre alla «Chiesa» (Gv 3,29; Ap 19,7; 21,2.9; 22,17), mentre quando si parla di «madre», il riferimento è sempre a Maria, la madre di Gesù (Gv 2,1.3.5.12; 6,42; 19,25-27). Oggi facciamo memoria di una fanciulla ebrea di Nazareth, appena adolescente, scelta da Dio per esser madre di Gesù, l’Unigenito del Padre: è la «Theotòkos/ Madre-di-Dio». Una donna diventa così il punto di congiungimento tra eterno e temporale, divino e umano, infinito e finito. Possiamo dire che il NT è di genere femminile: si apre nel segno della donna (vangelo odierno) e termina nel segno dello Spirito e della sposa/donna/chiesa (Ap 22,17).
La prima lettura di Gn 3 descrive l’inizio del cammino d’incarnazione, che in Maria trova compimento come conclude Lc 1, costituendo così un «unicum» ininterrotto da Eva a Maria, da Adamo a Gesù. Nel giardino di Èden, Adamo ed Eva hanno disobbedito a Dio per emanciparsi da lui; non vogliono cioè accettare alcun limite alla natura e pretendono di essere loro stessi «dio», ma si ritrovano nudi e così «opachi» da temere la luce di quel Dio con cui conversavano amabilmente al sorgere dell’alba (Gn 3,8). Si nascondono perché c’è una frattura tra loro e il Creatore: non sono più la sua immagine riflessa, infatti sono opachi. Prima della ribellione Adamo ed Eva erano «vestiti» di luce e la loro pelle era luminosa; dopo il tentativo di spodestare Dio per prenderne il posto con il potere di giudicare «il bene e il male», attraverso il possesso della «conoscenza», si accorgono di essere «nudi» e si nascondono (Gn 3,10-11). Sperimentano che la separazione da Dio è anche frattura tra di loro. Nessuno riesce ad assumersi la propria responsabilità, ma si accusano a vicenda: l’uomo accusa la donna, la donna accusa il serpente. Inizia il gioco dello scaricabarile che tanto successo avrà lungo i millenni e i secoli. Dio chiama a rapporto e comincia l’interrogatorio in quest’ordine: Adamo, Eva e il serpente. La condanna è sanzionata in senso inverso: serpente, donna, uomo. Letterariamente è un capolavoro. Il serpente presso gli antichi è simbolo della fecondità e della vita, di cui Eva ed Adamo volevano impossessarsi. Nel racconto biblico il serpente è condannato a strisciare nella polvere, sul ventre, senza piedi e senza virilità; la vita è di Dio, mentre al serpente, simbolo del male, appartiene la furbizia che genera la nudità di Adamo ed Eva, cioè la perdita della personalità: l’immagine di Dio.
Ricostruire questa immagine sarà compito del «nuovo Adamo» che dovrà passare attraverso la nuova donna. Gn 3,15: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» è detto «protovangelo», perché è il primo annuncio in assoluto della nuova alleanza che si concluderà con la morte e la risurrezione di Gesù. Il patto è appena consumato e spezzato e Dio già offre un’àncora di salvezza. Inizia il cammino di speranza e la salvezza di Dio entra nella storia, che diventa così la tenda del convegno.
Da questo momento però inizia anche un lento e progressivo allontanamento dell’umanità da Dio, finché la storia non incontrerà una ragazza ebrea, adolescente, una donna che con la sua scelta modifica il corso della storia donandosi: ella accetta di essere il punto di congiunzione tra il divino e l’umano, l’eterno e il temporale, Dio e l’uomo. Ecco il senso e la dimensione della festa di oggi. Maria concepita senza peccato originale significa che Dio per lei, per una volta, sospende la storia delle conseguenze delle scelte di Adamo ed Eva, quello che comunemente si chiama peccato originale, che parte dall’Èden per riversarsi lungo tutta la discendenza umana fino a noi e fino alla fine del mondo. In questo modo crea uno spiraglio di speranza, una possibilità che è molto di più perché è un fatto, anzi una persona, una donna. Dio ha bisogno di una donna per il suo nuovo piano di redenzione e chiama un’adolescente ebrea facendone un punto di richiamo per tutta l’umanità che cerca la Parola, ma non la trova (Am 8,11).
Maria riprende da dove Eva aveva finito, e la logica dice che chi doveva essere la Madre non poteva essere che come Eva prima della ribellione: una trasparenza di Dio. Maria però resta sempre una creatura, e infatti non è merito suo diventare la Madre, ma ella è scelta in vista dei meriti del Figlio. Ella partecipa in anticipo gli effetti del Mistero Pasquale del Figlio. Qual è il ruolo di Maria? La questione è importante, perché la figura di Maria, molto modesta nei vangeli e inesistente in Paolo, tranne l’accenno in Gal 4,4: «nato da donna», alla fine del secolo I è già una figura definita e ingigantita in funzione della nuova struttura ecclesiale che ormai si era consolidata? Lc, infatti, che scrive alla fine del sec. I d.C., non deve fare altro che presentare la funzione di Maria prendendo a prestito immagini e parole della Scrittura, applicando il metodo esegetico ebraico del midràsh, come emerge da Lc 1-2, i vangeli dell’infanzia. Anche Mt 1-2, in forma più sostenuta, usa lo stesso schema esegetico. Forse in ambiente cristiano-giudaico esisteva qualcosa prima di loro, cui, sia Lc che Mt applicano la struttura narrativa del midràsh, nel senso che nel descrivere gli eventi riguardanti Gesù si serve della Scrittura dell’AT.
Bisogna sottolineare il contesto escatologico dell’apparizione di Gabriele a Maria, inaugurazione dei giorni del Messia, Figlio dell’Uomo, e che instaura il regno definitivo di Dio secondo Daniele (Dn 8,16; 9,21.24-26). L’annunciazione avviene in Galilea (nord Israele), che è una regione così disprezzata da essere definita «Galilea delle genti/pagani» (Gv 1,46 e 7,41), in aperto contrasto con la santità del tempio di Gerusalemme (Lc 1,5-5). Gabriele appare a Zaccaria nella maestà del tempio di Gerusalemme per adempiere la liturgia prescritta dell’incenso nel «Sancta Sanctorum» (Lc 1,11). Zaccaria è un sacerdote della classe di Abìa e anche sua moglie Elisabetta è discendente della classe sacerdotale di Aronne; la famiglia del Battista, dunque, respira aria «sacerdotale» da generazioni e generazioni, da sempre. Ne consegue logicamente che l’annuncio del precursore è un atto liturgico solenne compiuto da un sacerdote nella pienezza della sua ufficialità.
Dopo 6 mesi, cioè 180 gg. in una terra considerata alla stregua di quelle pagane: «Galilea delle genti» (Mt 4,15; Is 8,23), in un’anonima casa di Nazareth (Lc 1,26) l’angelo Gabriele, depositario dei segreti di Dio, si presenta a Maria, ragazza adolescente dal nome comunissimo, senza alcuna ascendenza sacerdotale, in un ambiente che non ha nulla della liturgia ufficialmente consacrata. Al contrario, l’evangelista sottolinea appositamente che la ragazza era «vergine» (Lc 1,27). Nel tempo a cavallo tra i due millenni, quando nacque Gesù, nel linguaggio corrente il termine era sinonimo di «nubile», cioè non sposata, ovvero una donna senza prole, quindi equiparata alla sterile: una donna sia che fosse vergine/nubile sia che fosse sterile era una donna inutile, l’espressione della povertà assoluta.
Maria, 270 giorni dopo (9 mesi), dà alla luce il Figlio e, passati i 40 giorni della purificazione, come stabilisce la Toràh (Lv 12,2-4), lo presenta al tempio per offrirlo in quanto primogenito (Lc 2,22-24; Es 13,2). Nella Scrittura nulla è casuale e i numeri sono la misura del tempo, coordinato nello spazio:
180 gg. = 6 mesi dopo l’annuncio a Zaccaria nel tempio, Gabriele appare a Maria
270 gg. = 9 mesi dopo Gabriele, Maria partorisce Gesù
040 gg. = 1 mese e 10 gg., presentazione di Gesù al tempio
490 gg. che sono = 70 x 7 = 490
È evidente e intenzionale il richiamo esplicito alle 70 settimane di anni profetizzati dal profeta Daniele per «ungere il Santo dei Santi» (Dn 9,24). Qui sta il motivo per cui Lc ritma volutamente l’espressione profetica carica di messianismo «compiuti i giorni» (Lc 1,23; 2,6.22). Un altro elemento da sottolineare è che tutto ha inizio nel tempio che non è più il luogo del compimento della Shekinàh o la sede della Dimora di Dio, ma solo il luogo dell’annuncio, della preparazione, o se si vuole del desiderio. Tutto ritorna al tempio, ma in condizioni nuove: il tempio finale è l’umanità di Gesù riscattata e liberata da ogni dipendenza non coerente con l’alleanza. Si tratta di un’inclusione, secondo lo schema:
A. Tempio (Zaccaria, sacerdote)
B. Nàzaret (Maria, donna)
A. Tempio (Gesù, la Shekinàh).
Il centro dell’azione, la più importante, è Nazareth, mentre il tempio è declassato a premessa e conclusione. Maria, dunque, fa concorrenza a Zaccaria? Assolutamente no, ma Lc vuole deliberatamente sottolineare il contrasto tra la stirpe sacerdotale di Zaccaria e l’anonimato, il più banale possibile, di una ragazzina che può essere chiunque, senza ascendenze, senza casato, senza titoli o benemerenze. Maria di Nazareth porta in dote a Dio solo la propria disponibilità di essere una del suo popolo, e quindi di essere l’anima profonda del popolo di Dio. Quasi a dire che quello che capita a Maria adesso, può accadere a chiunque in qualunque ora e tempo. È iniziato il tempo del Messia, il tempo «del compimento», che Paolo descrive in modo magistrale, fissando non il momento storico dell’incarnazione, ma lo stato permanente del farsi uomo di Gesù: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge» (Gal 4,4). Nel vangelo di Lc Maria si contrappone a Gerusalemme, la città-sposa (Ap 21,2.9), di cui assume i titoli:
Lc 1,28a: «Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te» riprende Zc 9,9 che in greco saluta Sion/Gerusalemme con le stesse parole: «Esulta grandemente, figlia di Sion».
Lc 1,28b: l’espressione di saluto che Gabriele rivolge a Maria: «piena di grazia» è nell’intenzione di Lc un riferimento alla «grazia» che Rut, la bisnonna di Davide (Mt 1,5-6), trovò agli occhi di Bòoz (Rut 2,2.10.13), antenato del Messia, ma anche alla «grazia» di Èster davanti al re Assuèro (Est 2,9.15.17; 5,2.8; 7,3; 8,5) oppure, infine, alla «grazia» di ogni donna davanti agli occhi del proprio marito (Pr 5,19; 7,5; 18,22; Ct 8,10). Allo stesso modo, anche Maria è «graziosa» davanti a Dio. Il contesto sponsale evoca Dio che cerca una sposa fedele, revocando la sposa infedele (Os 1-3), ma è sempre alla ricerca di una nuova fidanzata da condurre nel deserto (Os 2,16-18). Maria, non sappiamo come, ma certamente capisce che in lei Dio vuole realizzare le nozze attese da tutto l’AT e si affida alla sua Parola (Lc 1,38) che in lei diventa carne e sangue suo e per questo dell’umanità in attesa della redenzione.
Lc 1,28b: «il Signore è con te» s’ispira a Sof 3,17, che rassicura Gerusalemme di questo: «il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente», cioè nel tuo seno. Il profeta Sofonìa, d’altronde, ispira quasi tutto il racconto (Sof 3,14-15 con Lc 1,28; Sof 3,16 con Lc 1,30).
Nota esegetica sulle somiglianze dissomiglianti
Il «Vangelo dell’Infanzia» tratta sia dell’infanzia di Giovanni Battista sia di quella di Gesù, messi in parallelo: più lungo è il racconto di Giovanni Battista, più corto quello di Gesù, ma i due sono inversamente proporzionali per importanza perché il primo prepara, l’altro realizza. Le due nascite si situano dentro lo schema «nascite difficili» che attraversa tutta la Bibbia, mettendo in atto quella che noi chiamiamo «la legge della impossibilità».
1. Lo sposalizio in cui le due famiglie formalizzavano gli accordi matrimoniali tra la ragazza che non poteva avere meno di 12 anni (età in cui si diventa maggiorenni) e il promesso sposo che doveva avere 18 anni compiuti. In questa fase si stabiliva la dote e ci si accertava che la donna fosse feconda (mestruo in atto). I due formalmente erano marito e moglie, ma finito l’accordo, ognuno tornava a casa propria per un anno (un anno di verifica o prova?).
2. Alla fine dell’anno, si celebravano le nozze e i due sposi iniziavano la convivenza effettiva, per cui Maria è ancora vergine «sposata a un uomo della casa di Davide di nome Giuseppe» (Lc 1,27). Alla nascita dei due bambini (Giovanni e Gesù, cugini), vi è l’imposizione del «nome». Per tutti e due è l’arcangelo Gabriele a «imporlo», ma per Giovanni Battista è il padre Zaccaria che esercita la sua potestà legale e dichiara apertamente che «Giovanni è il suo nome» (Lc 1,60.63), mentre per Gesù, Lc non dice espressamente che fu Giuseppe a dargli il nome, ma dice che «gli fu messo nome Gesù come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo» (Lc 2,21), affermando così la «diversità» di Gesù e lasciando trasparire un futuro particolare.
L’intera narrazione di Lc 1-2, pur basandosi su fatti storici (le nascite), è organizzata su modelli teologici e strutturata come un «midrash-collegamento esegetico» con l’AT. Accanto ai titoli di Maria, Lc descrive anche i titoli del Figlio, anch’essi ispirati, secondo il metodo midrashico, all’AT, precisamente alle promesse messianiche del profeta Nàtan nel secondo libro di Samuele:
Lc 1,32a: Gesù sarà «grande/mègas» come il suo antenato Davide (2Sam 7,11).
Lc 1,32b: sarà «Figlio dell’Altissimo», titolo riservato ai grandi personaggi che Dio chiama per grandi compiti (Sal 2,7; 29/28, 1; 82/81,6; 89/88,7) e al Messia (2Sam 7,16; Is 9,6).
Lc 1,33: l’angelo include anche la «casa di Giacobbe», cioè le dieci tribù del nord, superando i confini del Regno di Davide che Nàtan aveva circoscritto ai soli confini della Giudea (regno del sud). Gesù farà l’unità tra il sud e il nord, tra Giuda e Israele (Ez 37,15-28; Dn 7,14; Mi 6,4-7), quale premessa dell’unità finale tra Giudei e Gentili, come attesterà tutto il ministero dell’apostolo Paolo.
Lc 1,31: il nome Gesù è assegnato prima ancora della nascita. In ebraico significa Dio è salvatore/Dio salva. Al tempo di Maria molti erano i nomi con i quali si indicava il Messia, Emmànuel, Pastore d’Israele, ecc., ma non c’era il nome «Gesù» che quindi è un’autentica novità di Dio.
La vicenda di Maria, la sua scelta e la sua funzione, esigono una condizione: la disponibilità libera e cosciente di Maria a collaborare con Dio. Questa disponibilità è richiesta da Gabriele quando, di fronte alla difficoltà opposta da Maria, risponde che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37).
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