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Immagine del redattoredon Luigi

NATALE

Mensa della Parola: Is 9,1-3.5-6; Sal 96/95, 1-2a.2b-3.11-12.13; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14 [+15-20]

Così non avete potuto vegliare con me un’ora sola! (Mt 26,40)

Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio (Is 9,5).

 

Natale non è la memoria di Dio che nasce perché Dio è da sempre e Gesù è il Lògos eterno (Gv 1,1). Natale è la celebrazione della nostra ri-nascita di creature nuove perché prendono coscienza di un evento che cambia la direzione della loro esistenza e scelgono di percorrere la nuova via che apre a nuove prospettive di storia dove sono possibili nuove relazioni umane che intersecano anche quella con Dio che si propone come compagno di viaggio. Natale è questo annuncio: se ognuno di noi ri-nasce vuol dire che è vivo e che non è solo, ma è accolto da altri con cui condivide esperienze, affetti e relazioni. Se uno nasce, significa che è capace di generare altri com’è stato a sua volta generato. In questo processo di nascita e generazione, non solo Dio non è estraneo, ma ne è il motore e anche l’orizzonte. Dio non propone regole o filosofie o etiche o sistemi economici, ma solo la vita e la qualità di essa finalizzata alla felicità: non è un caso che «vangelo» significhi: «notizia che porta gioia». Sono inevitabili alcune domande:

1. Chi sono io per me? Ho stima di me come persona?

2. Ho coscienza di essere amato/a da Dio in modo unico e senza condizione?

3. Mi sento desiderato/a? Come vivo questo desiderio?

4. Sono a mia volta capace di desiderio? Chi è il desiderio della mia vita?

5. Attorno a chi o cosa ruota la mia vita? Ne sono soddisfatta/o?

6. Cosa penso che debba cambiare nel mio vivere e nel progetto della mia vita? Ho un progetto?

7. Mi sono mai sentito/a incinto/a, anche in senso figurato, certo di essere indispensabile per qualcuno?

8. Mi sono mai sentito/a arido/a e senza vita, depresso/a, senza scopo? A quale bue o asino ho chiesto calore?

9. Mi sono mai sentito/a senza patria e senza casa, senza affetti e senza pane, profugo/a e perduto/a?

10. Chi è Dio per me? Quale posto occupa nella mia vita, nella mia giornata, nel mio lavoro, nel mio amore?

11. Chi sono io per Dio? Ho qualche elemento o indizio che mi riveli questa identità?

12. Perché ho deciso di partecipare a questa veglia di Natale? Per bisogno? Per tradizione? Per amore? Davanti a noi si erge un bambino in tutta la sua debolezza, fragilità e incapacità. Non solo, ma, secondo la tradizione, nasce nella miseria più assoluta, circondato da carovanieri e mercanti e miserabili disprezzati (i pastori) che fanno festa perché quel bambino, come ogni bambino o bambina, è l’annuncio anticipato di un futuro. Non solo, la gioia di quella nascita è anche più stridente perché quel bambino è un ricercato dalla polizia che lo considera un sovversivo, prima ancora di nascere. Non è ancora nato e deve fuggire all’estero perché il potere lo cerca per eliminarlo. Non fa in tempo a nascere che è già migrante e deve scappare per salvare la vita, attraverso pericoli disumani. Nato e già è profugo!

Oltre duemila anni fa l’Egitto apriva i propri confini a chi soffriva carestia, o cercava una prospettiva (anche se non era il massimo), segno che il mondo di allora era più civile di quello di oggi. Vigeva una regola non scritta: non si chiudono i confini a chi è nel bisogno. Ogni volta che nasce un bimbo/una bimba, secondo la profezia del poeta e profeta indiano Rabíndranáth Tagòre (1861- 1941), è il segno che «Dio non si è ancora stancato dell’umanità». Quando prendiamo un bambino tra le braccia, c’inteneriamo senza fatica perché ci sentiamo trasformati: il bambino che teniamo in braccio ci disarma. Natale è tutto qui: Dio è a misura umana. La fede cristiana, di conseguenza, è la consapevolezza che Dio è vicino, cioè è in e con noi. Non è solo accanto in modo occasionale. Questa presenza nella nostra esistenza e nella nostra coscienza porta in sé il «vangelo», cioè la notizia di gioia che non siamo mai soli, ma siamo accolti e amati perché siamo così importanti che Dio viene apposta per noi, per me (Gal 2,20; Rm 5,8).

Esame di coscienza

Nessuno si senta estraneo o fuori luogo. Questa è la notte di chi trabocca di gioia e di chi vive nel dolore; di chi è innamorato e di chi è solo; di chi ama e di chi è tradito; di chi è in salute e di chi è malato; di chi vive e di chi muore. Il cristiano è consapevole che «sia che viviamo sia che moriamo, siamo del Signore» (Rm 14,8)? Entriamo nella nostra coscienza, e affidiamoci all’amore di Dio che supera sempre la nostra povertà e la nostra debolezza: «… [19] il nostro cuore, 20 qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 3,19-20). Chiediamo perdono al Signore, con fiducia perché egli è la Misericordia che ama. Nessuno sia così presuntuoso da pensare di non essere degno o degna della tenerezza di Dio, perché nessuno ne è veramente degno. Essa è un dono gratuito, che trasborda dal cuore di Dio e si riversa nel nostro. Non possiamo rifiutarlo. In qualunque situazione noi siamo: innamorati, separati, divorziati, traditi, abbandonati, soli, disoccupati, precari, violati, schiacciati dai problemi economici o affettivi, nulla di tutto ciò è estraneo a Dio e ciascuno di noi è prezioso/preziosa ai suoi occhi e al suo cuore: «non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47). Questa notte vi annuncio il vangelo della rinascita: «Tu sei importante per Dio perché senza di te, egli non può vivere».

Signore, Dio-Bambino che sei nostro Giudice. Kyrie, elèison!

Cristo, Principe di pace, sei il nostro Messia. Christe, elèison!

Signore, Salvatore del mondo e nostro Redentore. Kyrie, elèison!

Cristo, che nasci lontano dal lusso e dallo spreco. Christe, elèison!

Signore, che nasci tra i pastori, considerati impuri. Kyrie, elèison!

Cristo, hai voluto essere adottato da un Giuseppe. Christe, elèison!

Signore, porti la pace e condanni ogni guerra. Kyrie, elèison!

Cristo, vuoi essere il Dio vicino ad ogni persona. Christe, elèison!

Signore, tu sei nostro Padre! Ascolta e perdona! Kyrie, elèison!

Il Signore Dio, venuto a noi nella debolezza della fragilità umana, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.

Spunti di riflessione e preghiera

Il brano evangelico di questa notte, tratto da Lc 2, domina l’effetto contrasto che mette in risalto ciò che questa notte celebra e stabilisce cosa sia importante e cosa sia apparenza. In altre parole ci invita a rivedere i nostri criteri di valutazione; se vivacchiamo come capita o se mettiamo in atto il discernimento dei fatti che viviamo, sapendo che nulla è banale nella nostra esistenza, anche quello che lo può sembrare. Di fronte all’imperatore Cesare Augusto sta una ragazza ebrea di nome Mìryam: il potente e una bambina (13-14 anni); l’imperatore del mondo e una donna insignificante; l’uomo più potente dell’epoca, considerato una «divinità», e una ragazza-madre che quando prega, appena alzata, si abbandona alla volontà di Dio: «Ti ringrazio, Signore, che mi hai creata secondo la tua volontà». I Giudei per essere fedeli al Dio della Toràh, dovevano osservare 613 precetti e i Farisei pensavano che il popolino non potesse essere in grado di osservarli tutti, per cui ne deducevano che la salvezza era appannaggio di pochi. Gesù ha capovolto tutto, riducendo la proliferazione di parole e precetti a una sola: «Agàpē-Amore»: «37 Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il grande e primo comandamento. 39 Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti (Mt 22,37-40). Se però «Dio è Agàpē» (1Gv 4,8), Gesù è il volto e la carne di questo amorein cui possiamo immergerci e vivere. Con la nascita di Gesù, figlio di Maria di Nazareth, è scomparsa la distanza tra Dio e l’umanità come premessa per annullare quella tra essere vivente ed essere vivente. Inizia un tempo nuovo, la «pienezza del tempo» (Gal 4,4), il tempo che scandisce l’eternità e l’eternità che si mette al passo del tempo dell’uomo. «In principio» (Gn 1,1) Dio ha parlato con la creazione, pronunciando dieci parole (Gn 1), poi ha parlato con le dieci parole (comandamenti) della Toràh(Es 20,1-17), in seguito ha parlato con le parole dei Profeti (Am, Os, Is, Ger, ecc.) ora tutta la creazione, la Toràh e la Profezia si accorciano in una sola Parola, in un Nome, perché possa essere contenuto da ciascuno di noi e nessuno possa dire di non essere capace di portarne il peso infatti la Parola/le parole sono l’intimità con cui viviamo il nostro bisogno di comunicazione cioè di relazione.

Papa Francesco nella Messa del mattino di Natale 2013 disse: «Qual è il cognome di Dio? Siamo noi, ognuno di noi», intessendo un’immagine straordinaria che solo i semplici sanno mettere in risalto. Il cognome di Dio è il nome di ciascuno di noi. Forse non abbiamo mai pensato che il nostro, il mio nome, è il cognome di Dio. Natale, di conseguenza, è la persona che ami, la persona più importante della tua vita. Natale sei tu che sei la persona più importante per Dio. Natale è tutto qui: quello che ciascuno vive è segnato dall’impronta di Dio che è impressa in tutto quello che facciamo, che diciamo, che preghiamo, che speriamo, che amiamo. Anche se siamo distanti da lui, lui non è mai lontano da noi, ma abita la nostra lontananza e rispetta la nostra libertà. Celebrare il Natale significa accorgersi di questo Dio che cammina con noi, accanto a noi, dentro di noi, vicino a noi perché lui è la Parola che vive nell’anima del nostro cuore. È certo che Dio non possa vivere senza di noi perché lui ha bisogno di ognuno di noi per essere se stesso, per essere Dio. Come un padre e una madre hanno bisogno dei figli per essere padri e madri, così Dio ha bisogno dei suoi figli per sperimentare di essere Dio Padre che ci cerca attraverso il Figlio Gesù, immergendoci nella forza della tenerezza dello Spirito della vita e della risurrezione. Natale è il «fatto» che c’incastra perché sia noi che Dio non possiamo più vivere gli uni senza l’altro.

In tutto questo c’è una logica che non appartiene al sistema «del mondo» che si sta ammazzando: l’economia domina la politica, diventata schiava degli interessi dei forti; la furbizia prende il posto della rettitudine; la protervia dell’illegalità sostituisce ogni valore di legalità ed è merito di benemerenza; il delinquente diventa un modello, mentre l’onesto è giudicato scemo; lo sperpero di denaro pubblico è uno sport nazionale dove ignobili e traditori del popolo sguazzano senza nemmeno provarne più vergogna; prostituirsi per il successo è considerato un nobile ideale; il nulla e il vuoto sono contrabbandati come il tutto e il pieno; la bugia e le promesse fasulle hanno preso il posto della verità e della coerenza. Siamo capaci di rovesciare il mondo e pretendiamo anche che stia in piedi, dritto sulle sue gambe. Non è possibile. Occorre un’operazione rivoluzionaria, se vogliamo conservare un minimo di decenza da lasciare in eredità ai vostri figli. Voi, che questa notte siete qui, non potete morire tranquilli e non potete fare finta che nulla sia accaduto in questi anni perché ognuno di noi è responsabile non solo del proprio destino, ma anche di quello dei figli che ci seguono. L’atto più rivoluzionario che possiamo fare a Natale e ogni giorno fino al prossimo Natale è semplice: cambiare mentalità, anzi modificare modo di pensare e di vivere, cambiare i criteri di scelta e di decisione, fino a farne una «rivoluzione» perché Natale è la rivoluzione di Dio, il superamento delle religioni, l’annuncio festoso, anzi «il Vangelo» di un mondo nuovo, basato su relazioni autentiche di amore e che noi conosciamo come «Regno di Dio».

Ecco alcuni atteggiamenti e scelte che accompagnano questa rivoluzione radicale:

- Essere fedeli all’amore promesso con il dono della propria libertà.

- Essere onesti vale la pena, anche se apparentemente può sembrare una debolezza.

- Essere misericordiosi, comprendendo le altrui debolezze.

- Esigere il rispetto senza usare mai l’altro come proprietà o uso personale.

- Cercare il bene comune e mai il proprio interesse.

- Non sparlare degli altri, ma assumersi sempre le proprie responsabilità.

- Non sprecare cibo. Non buttare spazzatura o cartacce in strada è rivoluzionario.

- Pagare le giuste tasse per la condivisione del bene comune.

- Rispettare la legalità, anche richiedendo lo scontrino fiscale.

- Rispettare la fila in un qualsiasi ufficio come rispetto della dignità degli altri.

- Riconoscere il Diritto ai Diritti di ciascuno e rispettarne la concreta attualizzazione.

- Vivere secondo coscienza senza mai barattarla.

Gesù fu un rivoluzionario perché con la sua nascita, prima ancora di cominciare a parlare, contesta il potere costituito, politico e religioso, che lo cerca per ammazzarlo; costretto a fuggire, diventa profugo, migrante e ricercato dalla polizia. Si schiera contro la religione del suo tempo che vuole purificare e rinnovare, ma senza riuscirvi. Apparentemente. A prima vista la sua esperienza è fallimentare e a qualcuno potrebbe venire la voglia di dire: ma chi gliel’ha fatta fare! Poteva farsi i fatti suoi e vivere tranquillo, come voleva la sua stessa famiglia che va a cercarlo, preoccupata per la sua predicazione eversiva e spaventata che possa essere preso di mira dalle autorità politiche e religiose. Secondo Marco, la famiglia e parenti lo giudicano «pazzo» e corrono a prenderlo: «Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: “È fuori di sé”» (Mc 3,21). Il verbo può ben essere tradotto più correttamente con «È pazzo!». Gesù non si è fatto i fatti suoi, ma si è buttato nella mischia fino in fondo, fino a dare la vita, cioè fino a dare l’esempio con disinteresse, con passione e amore. Non ha cercato il suo interesse e il suo tornaconto, ma si è occupato solo di «beni comuni» e del benessere della collettività. Se dopo duemila e cento anni siamo qui a parlare della sua nascita è perché egli è uscito dal suo individualismo e dal suo interesse e ha guardato al «bene comune» di tutto il suo popolo.

Questa notte questo rivoluzionario viene a liberarci dal nostro perbenismo. Il bambino ci dice che dobbiamo essere seri: se vogliamo celebrare la sua nascita è necessario che ci prepariamo a ri-nascere noi. Possiamo farlo solo in un modo: rifiutando ogni discriminazione nei confronti di chiunque è diverso da noi. Anche se nel mondo ci fosse una sola persona diversa da tutte le altre, essa ha diritto a essere tutelata e garantita più di ogni altro. Diversamente il nostro essere civili e cristiani è solo acqua calda. Ciò però non significa essere «buonisti», ma essere seri, giusti ed esigenti, senza sconti e senza pietismi.

Questa notte è la notte in cui noi facciamo una professione di fede nell’uomo-Dio e affermiamo la nostra passione d’amore per tutti gli uomini e le donne senza distinzione di sesso, di religione, di cultura, di nazione. Vogliamo uscire da questa chiesa con la voglia in cuore di sentirci e essere parte di un tutto universale e cittadini del mondo, senza frontiere, senza confini. Insieme possiamo avere la certezza che Dio non ha religione: il suo orizzonte è la persona, sei tu, siamo noi.

Nota oltre le apparenze

A Natale sempre abbiamo voluto una croce accanto al Bambino per ricordare che quel Bimbo è il Crocifisso, è il Signore risorto. Il giorno dopo Natale, la Chiesa celebra la memoria di Santo Stefano, il primo martire: alla nascita è associato subito il sangue della vita. L’amore e il dolore, la pace e la guerra, il bene e il male coesistono nel mondo e spetta a noi far esplodere l’una/o e l’altra/o attraverso la testimonianza della nostra vita e la coerenza con la nostra fede. Questo bambino «deposto in una mangiatoia» sarà anche il nostro giudice che non vorrà sapere da noi se abbiamo vissuto secondo «valori occidentali/cristiani», ma se abbiamo vissuto con amore e per amore; se siamo stati egoisti o aperti al bisogno altrui; se ci siamo lasciati dominare dalla religione cristiana senza Cristo o se abbiamo vissuto una vita di fede condivisa e partecipata con tutti gli uomini e le donne di buona volontà. L’essenza del cristianesimo è tutta qui: più scopriamo il volto umano di Dio, più la nostra fede è reale, profonda e spirituale. Solo se incontriamo l’uomo Gesù, possiamo sperare di sperimentare il Cristo Dio. Non abbiate paura di Dio: egli non è un cacciatore in cerca di prede da uccidere. Egli è solo padre e madre con amore a perdere. Lc con il brano di oggi vuole farci sapere che Gesù non è nato nella solennità del tempio o nella sontuosità di una reggia e sottolinea tre volte, come fosse uno spartiacque, che il bambino dato alla luce da quella ragazza appena adolescente, nel silenzio anonimo dei poveri, è «avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia» (Lc 2,7.12.16).

Ecco Natale: un bimbo «avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia»! La mangiatoia, che l’arte bizantina rappresenta come sarcofago/tomba, è il segno che la vita nasce dalla morte: Gesù nasce nel rifiuto del mondo perché tutti aspettano il Messia e solo pochi lo sanno riconoscere. Coloro che erano esclusi da questa attesa perché emarginati e impuri e vivevano senza schemi e sovrastrutture, hanno saputo leggere i fatti. Il bambino «avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia» si manifesterà totalmente nel dolore e nella morte di croce. Bisogna morire per rinascere e solo chi sa perdere se stesso è in grado di ritrovarsi e di non perdersi mai più: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto» (Gv 12,23). Natale è la contraddizione di Dio che non potendo essere visto e conosciuto, decide di farsi conoscere, ponendosi alla portata di tutti e diventando egli stesso esegeta di se stesso (Gv 1,18). A Natale Dio spiega Dio nell’unica maniera possibile: facendosi uno di noi, perché nessuno potesse trovarsi con la possibilità di avere paura. Egli ha scelto la forma più indifesa e più disarmante esistente in natura, essere cioè un bambino: «Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3).

Non bastava. Dio vuole svelarci il suo volto di bambino povero e perseguitato, profugo, straniero, emigrante, clandestino: nessuno nel regno di Dio ha le carte in regola per essere accreditato, nessuno è più in regola di un altro. Una sola condizione è necessaria: essere figli di Dio. Questo è il Natale, questa la nostra speranza. Il Bambino che nasce questa notte finirà ammazzato per vilipendio della religione e dell’ordine costituito: il potere religioso e politico, coalizzati insieme, faranno fuori il contestatore che ama i poveri e gli esclusi, che frequenta le prostitute e i pubblicani, che sta dalla parte degli impuri e dei pagani. Nemmeno a Dio è permesso fare la scelta preferenziale dei poveri, perché i poveri sono pericolosi, se prendono coscienza dei loro diritti e dalla loro dignità. Gesù però sarà rivoluzionario fino in fondo: lo uccideranno e lui risorge perché non accetta che la morte sia l’ultima parola. Permettiamo a questo Bambino d’iniziare con noi la nostra storia personale e comune: siamo nati per risorgere. Non permettete che alcuno possa uccidere la vostra speranza di essere uomini e donne nuovi per un mondo nuovo perché Natale è l’annuncio profetico che la Resurrezione è possibile. Anzi è già compiuta e noi possiamo rinascere e risorgere ogni giorno, perché questa e la notizia gioiosa del Natale: Dio-con-noi-Èmmanuel.

Buon Natale a tutte e a tutti.

 

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