Mensa della Parola: Dt 4,32-36.39-40; Sal 33/32,4-6.9.18-20.22; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20
Ora ci interroghiamo sul volto e l’identità del Dio «che nessuno ha mai visto, ma che il Figlio ha spiegato» (Gv 1,18). Davanti a noi si presenta il tema dell’identità di Dio, la Trinità, inconcepibile per la ragione, accessibile solo per rivelazione. Trinità e Unità in Dio stanno solo a significare che il Dio di Gesù Cristo è «una relazione», compiuta, completa e perfetta in se stessa. Così perfetta che può permettersi di limitarsi e di relativizzarsi, assumendo il processo di vita delle cose create, finite e limitate. La Trinità non è un «mistero» nel senso occidentale e razionalistico del termine di cosa sconosciuta, al contrario, la Trinità è l’«epifania» del progetto di Dio di cui Gesù ci «ha fatto l’esegesi» (Gv 1,18).
Gesù stesso ci assicura che egli, il Padre e lo Spirito «siamo una cosa sola» (Gv 17,22; Gv 14,26; 15,26), dando per certa una consistenza di comunione, mentre sul versante storico esprime e manifesta un indirizzo, una tensione, una mèta: l’unità nella diversità. La Trinità è così il monte della convergenza dei popoli di cui parla Isaìa (Is 2,1-5) e verso cui cammina il genere umano per superare la «Babele» della divisione (Gn 11,1-9). Essa definisce l’orizzonte di Dio, che inizia e si consuma nella relazione, che a sua volta non è fine a se stessa, ma per sua natura è «generativa»: una relazione d’amore. Dio nasce come Creatore e finisce come Amore. Il creatore si distingue dal creato, l’Amore si fonde con chi ama.
La liturgia e, in essa, le letture bibliche, non ci descrivono «Dio» o la sua natura, ma ci spingono a una visione, a una prospettiva o, se si preferisce, alimentano in noi il desiderio di un sogno di pienezza. Se non siamo capaci di relazioni con noi stessi, con gli altri, nella Chiesa e nel mondo, è difficile che possiamo «dirci» credenti secondo la proposta di Gesù Cristo. Oggi siamo invitati a valutare la natura e la profondità della nostra capacità di relazione, cioè la qualità e la natura della nostra vita. Ci disponiamo alla celebrazione introducendola con una breve nota storica relativa alla solennità di oggi.
Il concetto stesso di Trinità, come è stato formulato dal Cristianesimo è ostico a ogni religione perché irrazionale nella sua essenza. Nessuna religione, infatti, l’ammette. Si accetta il politeismo e quindi la pluralità degli «dèi», magari in competizione o anche in guerra tra di loro, ma non il concetto di trinità, unità e uguaglianza allo stesso modo. Il Giudaismo, per parte sua, che pur gli ha dato i natali, accusa il Cristianesimo di idolatria e il Musulmanesimo che nasce dal Cristianesimo, lo accusa di apostasìa. Tra tutte le religioni che si auto presentano come rivelate e tra tutte le religioni esistenti sulla terra, il Cristianesimo è l’unico che afferma di credere in una contraddizione logica: Dio è al tempo stesso una sola Divinità che si esprime in tre Persone distinte e uguali. In questo modo afferma la coesistenza nella «divinità» della unicità e della molteplicità. Questo concettualmente, ma è veramente così?
L’Eucaristia è l’esegesi trinitaria fatta alla e nella Chiesa, perché è questa che esprime la realtà di comunione, che è il cuore dell’annuncio di Gesù con l’espressione «regno di Dio». La Chiesa vive e si nutre per essere nel mondo il «segno trinitario», sorgente di una vita indivisa di comunione. Entriamo in questo santuario, segnandoci con il segno che anteponiamo a ogni azione liturgica. Introduciamoci nel cuore della Trinità. Oggi facciamo memoria del cuore della rivelazione cristiana, la novità assoluta, l’unica anche tra tutte le religioni esistenti: Dio non è separato, perché nemmeno in se stesso può stare «isolato». La Trinità, infatti, dice una cosa soltanto: Dio è comunione, è relazione dinamica. La natura di Dio è vita di Padre col e nel Figlio e insieme col e nello Spirito.
Esame di coscienza
Con la fine del tempio di Gerusalemme, luogo per eccellenza dei sacrifici di comunione, ognuno di noi diventa «tempio dello Spirito», tabernacolo della Trinità. Il «Luogo» di Dio è l’umanità nell’interezza della sua fragilità. Fare l’esame di coscienza significa entrare nella dimensione relazionale con Dio e con i figli/e di Dio per ri-stabilire la capacità di amore, sapendo che Dio è sempre più grande di qualsiasi nostro peccato contro l’amore.
Santa Trinità, unico Dio, Kyrie, elèison!
Santa Trinità, sorgente di relazione. Christe, elèison!
Santa Trinità, fondamento di dialogo. Pnèuma, elèison!
Santa Trinità, modello di accoglienza. Christe, elèison!
Santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito. Kyrie, elèison!
Santa Trinità, mèta della vita della Chiesa. Pnèuma, elèison!
Santa Trinità, accolta da Abramo alle Querce di Màmre. Christe, elèison!
Santa Trinità, Padre del Figlio che dona lo Spirito Santo. Kyrie, elèison!
Santa Trinità, Presenza discesa su Maria di Nazareth. Pnèuma, elèison!
Santa Trinità, prendi dimora presso chi ascolta la Parola. Christe, elèison!
Santa Trinità, unico Dio in tre Persone. Kyrie, elèison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison!
Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo che sulla croce ha effuso il suo Spirito su di noi, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
Spunti di riflessione e preghiera
Come abbiamo detto all’inizio di questa liturgia, nessuno può immaginare l’esistenza di una Divinità-trina all’interno dell’unicità di Dio. La teologia cristiana e cattolica, avendo assunto per spiegare il proprio pensiero, la filosofia greca, ha assunto caratteristiche e criteri che non si trovano più nel pensiero ebraico e semitico: la teologia, infatti, afferma che la Trinità è data solo per rivelazione, in quanto la ragione non ha né strumenti né modo di verificarne la consistenza. Come poteva essere diversamente? Solo in questo modo si possono fare affermazioni senza l’onere della prova: se il «mistero della Trinità» è «dato rivelato», bisogna accettarlo «per fede». La domanda è semplice: cosa dice la Scrittura sulla «Trinità»?
Oggi, invece di commentare i tre brani della Scrittura che riportano ognuno un aspetto del mistero trinitario, come è formulato dalla dottrina, o, quanto meno, aprono uno spiraglio su di esso, preferiamo fare una sintesi della teologia della Trinità, dal punto di vista della Bibbia.
Il monoteismo biblico è la spina dorsale di tutto l’AT ed è diventato anche l’anima della preghiera d’Israele, espressa dallo «Shemà Israel»: Ascolta, Israele, Il Signore nostro Dio, il Signore è Unico (Dt 6,4). Tutto l’AT può essere definito come una lotta per combattere il politeismo e l’idolatria, molto diffusi in Israele, e per affermare e diffondere l’unicità di Dio, anzi un Dio geloso della sua unicità (Es 34,14).
Premessa teologica (titanica)
Desideriamo anteporre questa premessa generale alla esposizione sintetica del tema della Trinità nel suo percorso storico, così come è giunto fino a noi. Non si tratta di coniugare due modi antitetici di vedere la realtà e pensarla, ma di uno sviluppo che ancora non è iniziato, ma che a noi sembra inevitabile perché riguarda il «concetto stesso di Dio». Per secoli abbiamo dato per scontato tutto quello che abbiamo sempre ripetuto di e su Dio «come ci è stato insegnato». I catechismi avevano (e hanno) la funzione di impedire fughe di pensiero, partendo dal punto di vista dell’esistente: l’istituzione Chiesa. Ciò vale per tutte le religioni, escluse quelle di tradizione orientale che, non solo non pretendono di essere religioni, ma si pongono su un piano molto «altro» e non posseggono alcuna «cosmologia» e quindi alcuna «filosofia dell’essere» come codificato dal pensiero greco. L’oriente si concentra sul valore della «Vita» in ogni sua forma e presenza: ne descrive la fenomenologia, non pretende di definirne l’essenza.
Non fa eccezione il Cristianesimo, che si è autoalimentato, utilizzando i propri testi fondativi (Bibbia ebraica, Vangeli e letteratura apostolica e paolina in specie e sviluppo posteriore con la letteratura post-apostolica, dal secolo II al IV). I primi concili, tutti convocati dall’imperatore per motivi di stabilità politica, esprimono ed espongono una «teologia del regno», che non è quello «dei cieli», ma quello imperiale. Inevitabilmente, le lotte teologiche sono lotte di potere in funzione del regno imperiale che governa attraverso la religione, usata a mani basse come strumento di coercizione punitiva o premiale (inferno/paradiso; scomunica/esaltazione; esilio/carriera). La Scrittura era letta sistematicamente con metodo fondamentalista o fortemente allegorico per poterla piegare in qualsiasi direzione o convenienza del momento.
Colpisce che la teologia abbondi di dogmi trinitari e cristologici perché sono gli aspetti messi spesso in discussione fino a generare guerre autentiche: natura umana/divina di Gesù; una persona in due nature; «processione» dello Spirito Santo: solo dal Padre o solo dal figlio? Oppure dal primo «attraverso» il secondo? Per la Chiesa cattolica, lo Spirito «procede dal Padre “e” dal Figlio», come ancora si professa nel Credo della Messa. In tutto questo nessun concilio ha mai sentito il bisogno di porre espressamente il dogma «dell’esistenza di Dio». Accanto alle scienze bibliche, l’enorme esplosione, specialmente negli ultimi tre secoli, delle scienze nel loro complesso (archeologia, astrofisica, biochimica, bioscienze, neuroscienze, storia delle religioni, Intelligenza Artificiale, ecc.) offre parametri inconciliabili con le affermazioni apodittiche della teologia sulla «rivelazione soprannaturale», sul concetto esclusivo di «un Dio personale» (capace cioè di una relazione di reciprocità con un individuo altro da sé) e la comprensione del vangelo. La presunzione di volere definire la «tradizione» come qualcosa di «fisso e immobile», dato una volta per tutte, è a-storico. Cosa può esserci di perenne in un processo storico che per definizione è sempre provvisorio perché sempre in evoluzione?
Bisogna ricominciare dalla prima pagina di Genesi dove si descrive come «Elohìm = gli Dèi» per sistemare l’universo in uno schema ordinato, hanno buttato tutto all’aria, cominciando a separare e a chiamare per nome ogni cosa con lo scopo di giungere a una identificazione. Parlare di Dio, di Trinità, di incarnazione oggi è complicato. Il sole che sorge (così per intenderci!) al mattino non è mai uguale, ma occorrono occhi limpidi e scarponi da montagna per accorgersene e seguirlo nell’avventura della scoperta. In una parola, quando parliamo di Dio, compreso quello di Gesù Cristo, di chi parliamo? Siamo certi che il «dio» di cui sproloquiamo sia il Dio di Gesù di Nazareth? Quando parliamo di Dio, della sua rivelazione soprannaturale, del suo personalismo, noi, senza dirlo, parliamo di noi stessi perché non ci rassegniamo all’idea della morte e quindi, vogliamo sapere da dove siamo venuti noi e il mondo circostante. Che cosa ci stiamo a fare nella storia per faticare come bestie alla ricerca di sprazzi di felicità? Che senso ha vivere, e con tanta fatica, se tutto deve svanire nel buco nero della morte, recidendo con le sofferenze anche le esperienze vitali che hanno segnato la nostra esistenza?
La tesi che il male ha vinto il mondo (Dostoevskij), capovolge la prima lettera di Giovanni che afferma sicura: «questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede» (1Gv 5,4); o il trionfo dell’anticristo (Solov’ëv) sono pietre miliari del pensiero, ad attendere una risposta all’interrogativo cui nemmeno Dio può esimersi: l’uomo del XXI secolo può ancora credere alla divinità di Gesù Cristo come la definisce la teologia? può ancora credere e accettare il concetto di un Dio come è «detto» dalle religioni monoteiste e come è declamato e professato nel «credo della Messa»?
Il concilio Vaticano II ha provato a gettare una passerella per unire la Chiesa e il mondo esterno, che intanto andava avanti per i fatti suoi. Oggi questa passerella è da restaurare. Il Dio, raccontato da Gesù di Nazareth, è totalmente diverso, del tutto «altro» dal «dio immaginario» di cui si è impossessato il sistema religioso, declinato nelle diverse desinenze storiche che si possono imporre solo con la forza finché troveranno qualcuno disposto a lasciarsi imprigionare in nome di una felicità «di là da venire» e di cui nessuno può dire nulla.
Tanti pensieri affollano il cuore e la testa ed è inevitabile che regni la confusione, ma è sufficiente cominciare perché chi ben incomincia è alla metà dell’opera. Per ora basta che questi pensieri sparsi e gli interrogativi emersi, siano tenuti come sfondo di tutta la riflessione che segue nella liturgia della solennità odierna, la Trinità, nella quale cerchiamo di esporre la visione tradizionale, che comunque fa parte della nostra esperienza culturale e spirituale.
Tra unità e trinità
Il fondamento della fede cristiana è l’unicità di Dio, che il NT, con alcune formulazioni, sembra integrare con la trinità di Dio, assente nella predicazione di Gesù, ma viva nel sistema religioso che per essa ha scatenato guerre fratricide. Noi non sappiamo come stanno le cose, possiamo solo dire ciò che abbiamo visto e sperimentato: che Gesù di Nazareth è venuto tra noi e ci ha parlato di Dio come «Padre» di cui si è accreditato «Figlio», lasciandoci in eredità nell’atto di morire lo «Spirito Santo-Paràcleto/Consolatore», come pegno e garanzia della sua presenza e del suo insegnamento (Gv 19,30). Egli si pone sullo stesso piano del Dio dell’AT, attribuendosi le stesse caratteristiche, ma dicendosi sempre sottomesso al volere del Padre (Gv 10,30). Egli, in codesto modo, sui presenta non isolato ed in maniera esclusiva, ma come «Primogenito del Padre», comportando necessariamente una fila di fratelli e sorelle che attraversano la storia con lo stesso titolo e lo stesso traguardo: la condivisione di una vita d’amore come via di salvezza per il mondo intero.
Apprendiamo così che Dio non è un Dio solitario, adorabile nel suo isolamento, ma è un Dio si rappresenta come Padre-Madreimmagine di fecondità partecipata e a sua volta generante, senza fine, fino alla fine del mondo. Il Dio, presentato dalla Bibbia, si prende cura dei suoi figli oppressi, interviene nell’esodo, cioè sta dalla parte degli oppressi e per questo s’incarna come Dio della storia e degli eventi: egli è il Dio che ha scelto Israele e ha inviato i profeti e che in Maria di Nazareth ha preso corpo umano, diventando in tutto uomo tra gli uomini. In un contesto ebraico Gesù era blasfemo e meritava la morte per essersi dichiarato «Figlio di Dio» (Mt 23,63-65). La rivelazione sconvolgente, che distingue la religione cristiana da qualsiasi altra forma religiosa esistente, è che Dio in se stesso è «relazione», a differenza di tutti gli altri «dei» che sono rigorosamente e gelosamente separati dall’uomo e dal suo mondo, ma col potere d’intervenire a loro piacimento. Forse non riusciamo nemmeno a immaginare la portata di questa affermazione e cioè che in Dio non c’è l’immobilità dell’essere aristotelico o dei filosofi, ma in Dio regna la comunicazione che è esclusivamente relazione d’amore. Il Padre è tale in rapporto al Figlio che genera e il Figlio in quanto generato è aperto al Padre: questo mutuo rapporto generante di Padre e Figlio è una presenza vitale e vivente che si chiama Spirito Santo. Il Padre genera il Figlio, il Figlio è generato dal padre e questo amore di Padre e di Figlio è lo Spirito.
Fuori di metafora, il Dio di Gesù ci propone un «progetto» che ha preso corpo nella persona di Gesù: essere nel mondo e nella storia di ogni tempo, uomini e donne in e di relazione per creare un nuovo modo di stare tra gli umani e tra i popoli, eliminando ogni residuo o velleità di guerra, alimentandosi dall’ascolto della Parola di Dio che diventa la scuola del «regno di Dio», la scuola del nuovo mondo che genera «padri e madri» di figli di Dio liberi e convergenti, in solidarietà e insieme. È il «Sentiero di Isaia»:
«2 Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s'innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti. 3 Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. 4 Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra. 5 Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,2-5).
Questo è il progetto dei «cieli nuovi e della nuova terra» (Is 65,17; 66,22; 2Pt 3,13; Ap 21,1) che costituiscono il «regno di Dio» (Mc 1,15). Di questa realtà possiamo solo sperimentare il suo evolversi storico, cioè possiamo conoscere Dio nelle modalità con cui noi lo percepiamo nella storia. La stessa Bibbia usa spesso il genere letterario antropomorfico nella descrizione di Dio, segno della difficoltà di rappresentarlo o concepirlo al di fuori di categorie sperimentali alla nostra portata. Non possiamo salire al cielo perché non abbiamo accesso alla divinità, noi possiamo solo conoscere ciò che sperimentiamo all’interno della nostra storia e, infatti, il Dio di cui Gesù è voce e profeta, ha scelto l’unica strada possibile: si è incarnato in molti modi e infine nella persona del Figlio perché solo così poteva farsi riconoscere da noi (Eb 1,1-2). Coloro che esaltano la divinità di Gesù fino a mettere tra parentesi la sua umanità compiono un’operazione pericolosa: rischiano d’impedire l’incontro degli uomini con Dio sull’unico terreno per questi possibile: l’umanità. Non è il rito, ma la vita il luogo privilegiato di ogni relazione umana, anche di Dio, di un Dio liberato da ogni onnipotenza pagana e restituito al suo progetto di «creare» una nuova umanità, oggi possibile.
Più esaltiamo il volto umano di Gesù di Nazareth, più siamo in grado di percepire la sua narrazione e la sua esperienza del «Padre» che ci rende capaci di vivere, attraverso di lui, il dinamismo d’amore con il Padre e lo Spirito Santo, cioè con la Trinità. Se guardiamo l’Eucaristia che celebriamo tutte le domeniche, scopriamo che ha una dimensione catechetica trinitaria dall’inizio alla fine.
1. Iniziamo l’azione liturgica nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
2. L’atto penitenziale è una triplice invocazione alla Trinità (Kyrie, Christe, Pnèuma, elèison! [Signore, Cristo, Spirito]).
3. La conclusione della colletta è sempre una formula trinitaria: Per Cristo nostro Signore che è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo.
4. Il Gloria a Dio ha una struttura portante (Padre, Figlio e Spirito) e una dossologia finale trinitaria: Tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo nella gloria di Dio Padre.
5. Il Credo ha una ripartizione trinitaria: Credo in Dio Padre… Credo in un solo Signore Gesù Cristo… Credo nello Spirito Santo…
6. Il Santo, Santo, Santo (Is 6,3) nella liturgia acquista una dimensione trinitaria.
7. Tutte le preghiere eucaristiche sono trinitarie con una o due invocazioni allo Spirito Santo, prima e dopo le parole dell’istituzione eucaristica.
8. La dossologia finale, il momento culminante dell’eucaristia, è trinitaria: Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Te, Dio Padre onnipotente nell’unità dello Spirito Santo ogni onore e gloria.
9. L’invocazione Agnello di Dio è triplice prima della comunione, cioè la Trinità che abita in noi.
10. La benedizione finale è trinitaria e si ricongiunge all’inizio perché anch’essa avviene nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
La conclusione che possiamo ricavare è semplice: l’Eucaristia è il sacramento della comunione che avviene nel segno del banchetto dell’ascoltare e del mangiare insieme a cui siamo invitati dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo; un banchetto a cui non partecipiamo da soli, ma insieme ad una grande famiglia. Oggi apprendiamo che solo una vita di relazione nell’amore è una vita che somiglia a Dio il quale si racconta a noi come Unità e Trinità d’Amore.
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