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SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI

  • Immagine del redattore: don Luigi
    don Luigi
  • 31 ott
  • Tempo di lettura: 17 min

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

 

I Santi li sentiamo molto vicini perché in questo mondo hanno dovuto attraversare le nostre stesse peripezie e quindi li sentiamo come degli amici ai quali possiamo confidare i nostri cruci e ricevere dal loro conforto e aiuto. Non sorprende quindi che per ogni difficoltà, per ogni malattia, per ogni problema ci sia un Santo Protettore. Sono quelle sorelle, quei fratelli che hanno dovuto affrontare il nostro stesso nostro problema e quindi li riteniamo in grado di capire bene il nostro dolore, le nostre ansie. Se uno ha delle piaghe che non curano, con chi gli viene spontaneo confidarsi? Con San Rocco, perché anche lui ha avuto le piaghe e quindi lui è in grado di capire il mio dolore. Se uno ha problemi agli occhi ricorre a Santa Lucia, chi ha mal di gola a San Biagio. Poi ci sono i Santi che hanno passato tutte le nostre peripezie, anche la Calvizie c'è un Santo Protettore, l'obesità, il vizio del gioco, la cleptomania, il mal di testa. Questo dialogo, questo rapporto confidenziale con i Santi è bello e va coltivato.

Naturalmente, sia chiaro, non ci rivolgiamo a loro perché presentino una raccomandazione a Dio affinché Lui ci conceda qualche miracolo, no, i miracoli lasciamoli fare i medici. Però queste sorelle, questi fratelli, che sono nella luce piena di Dio, ci indicano con la loro vita come vivere i momenti difficili, le vicissitudini che anche loro come noi hanno dovuto attraversare. Per coinvolgerci nelle scelte evangeliche che queste sorelle, questi fratelli beati, hanno fatto, la liturgia quest'oggi ci invita a riflettere sulle beatitudini proposte da Gesù sul monte, che ci pongono davanti le scelte di vita che i Santi hanno fatto e che anche noi siamo invitati a fare se vogliamo indovinare la nostra vita.

Che cosa significa chiamare beata una persona, quando è che nel nostro mondo di una persona si dice sei beata? Diciamo quando riteniamo che sia una persona felice, è giovane, bella, sana, ha successo e soprattutto ha molti soldi, la gente che cosa dice? Beata, lei. Ma sarà vero? Basteranno quelle robe lì per essere beati? Nella Bibbia chiamare beata una persona significa farle un complimento, significa dirle brava, sei una persona di successo. Si tratta di chiarire bene da chi si vuole ricevere questo complimento.

Se vuoi che a dirti: sei beato, complimenti, hai indovinato la vita, sia chi ragiona secondo i criteri di questo mondo, secondo gli ideali pagani della nostra società, condivisi purtroppo anche da tanti cristiani, allora basterà che tu faccia esattamente il rovescio di quello che tra poco sentirai proporre Gesù. Se farai il contrario di quello che lui ti dice la gente ti ammirerà e dirà questo sì che è un uomo di successo e ti invidieranno. Se tu accumuli denaro, case in montagna, case al mare, macchine fuori serie, beato lui dirà la gente. Stiamo attenti noi cristiani, non è bello sentire proclamare beato colui che Gesù dice è un fallito, è uno che ha sbagliato la vita, uno che ha accumulato beni, Gesù dice guai, sei un fallito.

Stiamo attenti noi cristiani a non impiegare il linguaggio dei pagani. Se noi vogliamo che sia Dio a stringerci la mano alla fine della vita e a dirci complimenti, sei un santo, assomigli al Santo che è Gesù di Nazareth, allora dobbiamo incarnare quelle beatitudini che tra poco noi sentiremo pronunciare da Gesù. Sentiamo anzitutto dove l'Evangelista Matteo ambienta la proposta di persona beata fatta da Gesù. Tutti gli uomini nella vita cercano soltanto una cosa, la gioia. Tutto ciò che fanno è per essere felici. Il problema è che possono sbagliare l'obiettivo. L'uomo punta alla gioia, trova per esempio soltanto il piacere, quindi rimane deluso. Eccolo il peccato, che non nasce dalla cattiveria ma dall'ignoranza. Ecco la ragione per cui Dio non punirà mai il peccatore, perché un povero infelice ti ha sbagliato l'obiettivo. E allora il Signore vorrà una cosa soltanto, che questo suo figlio ritrovi al più presto il cammino della gioia. E difatti oggi Gesù ci rivela il segreto della gioia. Ci fidiamo dalla sua proposta o preferiamo continuare con le nostre furbizie per raggiungere la gioia e quindi peccare, sbagliare il bersaglio? La sua proposta Gesù l'ha fatta sul monte.

Il luogo è molto suggestivo, ma il monte di cui parla Matteo non è un monte materiale. Come mai questa immagine che ricorre spesso nella Bibbia? Nelle culture di tutti i popoli dell'antichità si immaginava la sede degli dèi sulla cima delle montagne, ricordiamo l'Olimpo per esempio per i Greci. Il monte infatti si stacca dalla pianura ed è come se penetrasse nel cielo, quindi salire sul monte significa avvicinarsi a Dio, incontrare la divinità. Nella Bibbia noi troviamo Mosè che quando vuole incontrare Dio sale sul monte, Elia sale sul monte, Gesù anche conduce Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte perché è sul monte che si fa una certa esperienza di Dio, lì si assimilano i pensieri, i sentimenti, i giudizi di Dio. È prezioso questo simbolismo del monte che si stacca dalla pianura.

Nella pianura si svolge la vita degli uomini che si regolano secondo i criteri della saggezza che si sono inventati loro! Criteri che sono facili da elencare, li conosciamo tutti molto bene. Quali sono le opinioni che circolano nella pianura per raggiungere la gioia? L'importante è la salute, anzi la salute è tutto. Ciò che conta è il successo. Beato chi ha un grosso conto in banca, beato chi può viaggiare, divertirsi, chi non si priva di nessun piacere. A me interessa soltanto il sesso, sacrificarmi per gli altri io proprio non ci penso. Questi sono i suggerimenti che si sentono in pianura e il modo di ragionare comune è la saggezza degli uomini. Raggiungerà la gioia chi si adegua a questi ideali? Per non correre il rischio di puntare la vita su valori sbagliati e di perdere quindi l'opportunità di essere felici, è saggio staccarsi almeno per un momento dalla pianura, salire sul monteper sapere come la pensa Dio, quali sono le sue beatitudini. Poi saremo sempre liberi di tornare in pianura, di fidarci ancora del modo di pensare degli uomini, oppure credere un pochettino al cammino che propone Gesù, ma poi per non avere rimpianti tornare ancora in pianura. Saliamo su questo monte per ascoltare dalla bocca di Gesù come la pensa Dio.

La prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Facciamo attenzione, c'è tutta una tradizione della Chiesa che giustifica questa interpretazione, uno può essere anche molto ricco, accumulare beni, però se ha staccato il suo cuore da questi beni, fa molte elemosine, è attento ai poveri, costui è un ricco buono. No, Gesù proclama beato il povero. Chi è il povero? E' molto semplice, è colui che non ha niente, però ci sono due tipi di poveri. C'è ne è uno che è diventato povero perché colpito da qualche sventura, un terremoto, malattia, la guerra, un'inondazione che gli ha spazzato via la casa e i campi, è rimasto senza niente. È forse questo il povero proclamato beato da Gesù? Questa interpretazione sarebbe chiaramente assurda, fuorviante, contraria a tutto il Vangelo. Nell'Antico Testamento Dio promette al suo popolo nessuno fra voi sarà povero e difatti negli Atti degli Apostoli si dice che nella Chiesa Primitiva, dove i fratelli condividevano tutti i beni, nessuno fra loro era povero. Perché il mondo che Dio vuole non è un mondo di miserabili, è un mondo dove tutti i suoi figli sono felici. Difatti Gesù non la rivolge ai diseredati, agli straccioni, ai mendicanti di Cafarnao, la rivolge ai suoi discepoli, beati, i poveri, ma non gli straccioni e i miserabili, i poveri in spirito.

Che cosa significa in spirito? La pulsione che noi sentiamo istintiva dentro di noi è quella che ci spinge non a privarci dei nostri beni e a diventare poveri, ma a trattenerli per noi stessi, anzi ad accumularli sempre di più e non ne abbiamo mai abbastanza, né per noi, per i figli, per i nipoti, per i pronipoti. Ecco, questa è la pulsione che noi sentiamo istintiva. Lo spirito ci porta in direzione opposta, cioè a spogliarci, a privarci di questi beni, cioè a non trattenerli per noi stessi ma a consegnarli a coloro che sono nel bisogno, ai poveri. Beato è il povero che si lascia guidare dallo spirito e non trattiene per sé i doni che Dio ha posto nelle sue mani. Beato è colui che, al termine della sua vita, è rimasto senza niente perché ha messo a disposizione del povero tutto ciò che aveva. Colui che non ha consegnato tutto, quando arriva alla dogana, ciò che non ha consegnato gli viene requisito perché non è stato trasformato in amore, ed è l'amore quello che rimane.

Chi è il beato? È Gesù di Nazareth. Lui è rimasto senza niente perché ha consegnato tutta la sua vita, neppure un attimo della sua vita è stata trattenuta per sé, è stata tutta un dono. Eccolo il beato al quale il Padre del Cielo dice tu sei davvero mio figlio, tu hai costruito il regno di Dio. La promessa che viene fatta a questi poveri in spirito, lo ripeto, non a chi è stato colpito da una sventura, no, povero in spirito è colui che si è lasciato muovere dalla vita del Figlio di Dio che gli è stata donata dal Padre del Cielo e quindi è una vita che lo porta ad amare e a donare tutto. Qual è la promessa? Vostro è il Regno dei Cieli e di questi poveri che è il Regno dei Cieli, non il Paradiso, ma quando tu diventi povero per amore, mosso dallo spirito, tu appartieni oggi al Regno di Dio. Questa è la prima proposta di gioia che Gesù ci fa.

La seconda. “Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Per molti cristiani ancora oggi è più facile associare Dio alla sofferenza, al dolore, che non alla gioia e alla felicità. C'è tutta una spiritualità del passato che invitava a offrire sacrifici a Dio, a sopportare le proprie sofferenze, le croci che il Signore inviava con molta pazienza. È questa spiritualità che ha portato tante persone ad allontanarsi dalla Chiesa e a considerare il cristianesimo come nemico della gioia, quando il Vangelo è esattamente l'opposto, è l'annuncio di gioia e di felicità. Di quale afflizione sta parlando Gesù? Non è quella dovuta a qualche disgrazia, a qualche sventura. Dio non vuole il dolore, non vuole le disgrazie. L'afflizione di cui parla Gesù è quella che Lui ha provato, è quel dolore così forte che si è manifestato nel pianto quando si è reso conto che il suo popolo che Lui amava perdutamente rifiutava la sua proposta di mondo nuovo e quindi andava incontro alla rovina, è scoppiato a piangere. Questa è l'afflizione che prova il Beato. Da dove nasce questo dolore? Dall'amore. Da chi ama tanto da scoppiare a piangere quando viene rifiutata la gioia del regno di Dio. Vediamo un mondo in cui ci si vanta di avere escluso Dio dalla convivenza umana di fronte a questa realtà. Uno potrebbe disinteressarsi, potrebbe farsi gli affari propri, cercare di star bene lui e così non soffrirebbe, non piangerebbe, non sarebbe afflitto, ma non sarebbe Beato perché non mostrerebbe amore. Beato chi è afflittoperché vive con passione l'impegno per costruire il regno di Dio, per costruire un'umanità dove tutti siano figli dell'unico Padre e vivano da fratelli. La tristezza del Beato non nasce dal fatto che lui sta male, ma dal fatto che nel mondo le cose vanno male. A questo punto qual è la tentazione? Per non soffrire allora si può rassegnare chi si disinteressa degli altri, ci si ritira nel proprio piccolo mondo e si lasciano cadere le braccia. Se il maligno ti convince che il mondo nuovo è un sogno, lui ha vinto. La promessa di coloro che continuano ad amare, anche se c'è da piangere, è saranno consolati, cioè Dio sta dalla loro parte, sta dalla parte di chi ama anche se prova dolore. Dio li consolerà, il mondo nuovo nascerà anche con la loro collaborazione.

La terza: “Beati i miti, perché avranno in eredità la terra”. L'aggettivo mite a noi richiama l'immagine della persona calma, che non reagisce alle provocazioni, che accetta passivamente senza lamentarsi le ingiustizie? E quest'uomo, il mite di cui parla Gesù, è vero che rifugia da ogni forma di conflitto però rivela anche una personalità piuttosto debole, sembra più rassegnato che un beato. Cosa significa allora questa beatitudine dei miti? Per comprenderlo noi dobbiamo rifarci al Salmo 37 perché Gesù non ha inventato lui questa beatitudine, l'ha presa da questo Salmo che certamente conosceva memoria, perché mostra di aver assimilato tutta questa spiritualità della mitezza presente in questo Salmo. Ci parla di un uomo che pur dovendo sopportare sopraffazioni e angherie non cede mai alla tentazione di reagire con la violenza, di incattivirsi. Dice desisti dall'ira, deponi lo sdegno, non irritarti perché finiresti per fare del male, aumenteresti il male invece di porvi rimedio. Eccola l'ira! Ne parla spesso la Bibbia dell'ira di Dio che è il suo amore. Parla anche dell'ira dell'uomo e questa è pericolosa perché pur essendo una pulsione che ha messo Dio dentro di noi se uno non prova ira di fronte alle ingiustizie, nei confronti di un povero è una patologia. Il problema è che noi possiamo perdere il controllo dell'ira che invece di segnalarci soltanto il dovere di intervenire ci porta ad aggredire, quindi aumentare, a crescere il male invece di risolverlo. Badiamo bene allora. Mitezza non è l'invito alla rassegnazione, è il modo giusto di reagire quando si vede l'ingiustizia.

Questa beatitudine infatti notiamo viene dopo quella degli afflitti i quali soffrono perché vedono che le cose non vanno. Secondo Dio la tentazione prima è quella di disinteressarsi, vadano le cose come vogliono perché io non voglio soffrire. La seconda tentazione è quella di incattivirsi, di pensare, di risolvere i conflitti con l'aggressività e la violenza e quindi di aggiungere un altro male a quello che già esiste. Gesù è il mite. Difatti ha applicato a sé questo aggettivo, imparate da me che sono mite e umile di cuore. Lui ha vissuto conflitti drammatici con il potere politico, con il potere religioso, ma li ha vissuti con gli atteggiamenti, con i sentimenti che caratterizzano i miti, cioè come coloro che si impegnano per ottenere giustizia ma senza mai aggiungere altro male. La promessa che viene fatta ai miti possederanno la terra, vediamo bene, non il paradiso, la terra. È la promessa che, con Dio, diverranno i costruttori di una terra nuova. Oggi vediamo che la terra spesso appartiene ai violenti, ai prepotenti, agli arroganti, agli egoisti, a coloro che diffondono una cultura edonistica. Dice Dio, con la vostra mitezza Dio costruirà insieme con voi la terra nuova.

La quarta: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”. Di quale giustizia Gesù sta parlando? Facciamo attenzione, perché il termine giustizia è molto pericoloso, perché è equivoco. La ghigliottina, ricordiamo, era chiamata il legno della giustizia perché giustiziava, era così che facevano giustizia. Quando un criminale è posto in prigione o addirittura è mandato al patibolo si dice adesso è stata fatta giustizia. Ricordo quel governatore che firmò la condanna a morte di un criminale che aveva ucciso due poliziotti e lo fece con la penna stilografica che apparteneva a uno dei due. Dopo aver firmato la condanna a morte depose la stilografica e disse adesso è stata fatta giustizia. È questa la giustizia che Gesù vuole che noi bramiamo come l'acqua l'asettato o il pane l'affamato? La risposta è certamente no e facciamo attenzione, perché siccome questa per molti è la giustizia, la applicano addirittura a Dio, gli fanno fare questa giustizia che è vendicativa, farla pagare a chi ha sbagliato, a chi ha fatto del male.

Di quale giustizia Gesù sta parlando? Si tratta del disegno di amore che Dio vuole realizzare in questo mondo e questa è la giustizia che lui vuole stabilire, la giustizia di Dio è che tutti gli uomini prendano coscienza di essere suoi figli e di essere tutti fratelli fra di loro e vivano condividendo i beni, sentano come proprio il dolore e il bisogno di chi sta al loro fianco, che siano capaci di perdonare, di cambiare i nemici in fratelli, questa è la giustizia che dobbiamo bramare. Beato, è colui che vuole realizzare questa giustizia e la brama come l'acqua, l'assettato che sta camminando nel deserto. Anche qui il pericolo è quello di pensare che questa giustizia sia un sogno di Gesù di Nazareth. No, dice Gesù, saranno saziati.

La quinta: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”. Nel nostro linguaggio noi tendiamo a identificare la misericordia con la compassione. Quando diciamo che una persona è misericordiosa è perché sa perdonare, è magnanima, non asseconda la pulsione che la spinge a farla pagare a chi gli ha fatto dei torti, ma sa sempre essere longanime. E applichiamo anche questa misericordia a Dio. Quindi Dio è uno che di fronte al male che noi commettiamo sa perdonare sempre, però questa misericordia in Dio fa difficoltà perché non va d'accordo con la giustizia. Se Dio è giudice giusto non può essere misericordioso e questo l'avevano capito già i rabbini che non riuscivano a mettere d'accordo questi due aspetti di Dio, la sua giustizia e la sua misericordia. Non è possibile metterle d'accordo, o l'uno o l'altro devono scomparire. Deve scomparire da Dio quella giustizia che riflette la nostra giustizia, il nostro modo di essere giudici. Dio è solo misericordia, hesed in ebraico, che significa amore incondizionato e fedele, perché se Dio è giudice giusto non può essere misericordioso. Dio è misericordioso nel senso che nessun peccato, nessun rifiuto dell'uomo può mai distoglierlo da questa passione d'amore. L'oro di cui è fatto Dio è l'amore ed è oro puro, non c'è altro in Dio. Come si manifesta questa misericordia in Dio, cioè questo amore incondizionato? Lo vediamo in Gesù di Nazareth e lo cogliamo in una parabola che è quella del Samaritano. Il Samaritano è Gesù, è lui che ha incontrato l'umanità caduta in mano ai briganti e che è rimasta mezza morta. E, in questo Samaritano, è riflesso anche il comportamento misericordioso dell'uomo che assomiglia al Padre del Cielo.

Quali sono i momenti in cui si manifesta la misericordia in questo Samaritano, che è Gesù e chiunque vuole essere misericordioso come Dio? Ci sono tre momenti in cui si vede se uno è misericordioso oppure no. Primo momento, vede, si accorge che l'altro è nel bisogno, non è insensibile, non distoglie lo sguardo, non cerca di distrarsi, pensare, dice basta che sia bene io, cosa mi interessa quello che è capitato a quell'altro. Il misericordioso è uno che ha gli occhi aperti, non c'è bisogno che l'altro gridi aiuto, lui vede il bisogno del fratello. Secondo momento, prova compassione, letteralmente compatisce, cioè patisce con, vuol dire sente come proprio ciò che è accaduto al fratello, che è nel bisogno, ed è questa pulsione interiore di amore che lo spinge a intervenire. E il terzo momento della misericordia, quando ha visto il fratello che è nel bisogno, lui può fare qualcosa, subito interviene. Questa è la misericordia di cui ci parla Gesù nella beatitudine. Coloro che sono in sintonia con la misericordia di Dio e di Gesù di Nazareth, quindi che sono questi figli di Dio in sintonia con il suo amore, troveranno misericordia. Vuol dire che queste persone sono in sintonia con il cuore di Dio che è amore e solo amore.

La sesta: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”. Per noi il cuore è la sede delle emozioni, dei sentimenti. Per i semiti, più che emozioni e sentimenti, il cuore richiama il centro di tutte le scelte, di tutte le decisioni. I semiti decidono col cuore. Il cuore può essere puro o impuro. Cosa intendiamo noi per oro puro? Vuol dire che non è mischiato con altri metalli, caffè puro, non ci sono dei surrogati. Questa è la pura verità, non c'è nessuna menzogna. Questa è pura fantasia, vuol dire che non ha nessun collegamento con la realtà. Quando è che il cuore è puro? Quando c'è soltanto Dio che detta le scelte, che orienta tutte le decisioni che vengono prese. Impuro è il cuore dove c'è un guazzabuglio di dèi, un guazzabuglio di idoli che danno ordini, quando nel cuore c'è anche Dio, ma poi tante scelte partono dal denaro, che dà i suoi ordini, dall'orgoglio, dalla cupidigia, dalla dissolutezza morale. La promessa a chi è il cuore puro vedrà lo Dio, cioè faranno l'esperienza di Dio. A volte noi sentiamo dalle persone che non sono dei credenti come faccio io a credere in Dio e pensano che devono essere convinti con dei ragionamenti. Non possono vedere Dio fino a quando avranno questo guazzabuglio nel cuore. Prima devono purificare il cuore, soltanto allora potranno fare l'esperienza di Dio.

La settima: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. In passato questa beatitudine veniva tradotta beati i pacifici, cioè coloro che cercano di andare sempre d'accordo con tutti e che cercano anche di mettere pace fra le persone. Al tempo di Gesù i rabbini dicevano che costruire pace fra le famiglie e le persone, era un'opera molto meritoria davanti a Dio. Però questa interpretazione, che è buona ma è riduttiva, la beatitudine di Gesù ha un significato molto più ampio. Anzitutto il termine che viene impiegato per proclamare beate queste persone è eireno poioi, che è composto di due parole greche, eireneche vuol dire pace e poiei che vuol dire fare. Beati quindi sono coloro che si danno da fare per costruire la pace. Il termine in tutto il Nuovo Testamento ricorre soltanto qui, ma era di uso comune nel greco classico. Gli imperatori si fregiavano proprio con questo titolo, si facevano chiamare eireno poioi, cioè artefici di pace, costruttori di pace. Cesare, Comodo, si sono presentati come ipacificatori del mondo, Augusto soprattutto, che con le sue legioni e con tanti crimini aveva messo pace in tutto l'impero, si presenta come il pacificatore. Difatti Virgilio nell'Eneide, rivolgendosi roprio a lui, pronuncia quella famosa frase, ricordati o romano, di reggere col tuo dominio il mondo, il tuo compito è imporre la pace.

Bene, sono questi i pacificatori che Gesù proclama beati? La risposta è no. Cosa intende Gesù per costruttori di pace? Il termine ebraico lo conosciamo bene, è shalom, che presuppone che non ci siano dissidi, non ci siano guerre, ma questa pace di cui parla Gesù è molto più ampia, indica la pienezza di vita, indica la presenza di tutti quei beni che permettono agli uomini di essere felici. Questo è l'ordine del mondo voluto da Dio, questa è la pace di cui parla Gesù. Chi crea le condizioni economiche, sociali, culturali, politiche che favoriscono questa pace, costui è il beato di cui parla Gesù. La promessa. Dio li chiama suoi figli, saranno chiamati figli di Dio, vuol dire che rivolgendosi a loro Dio dice siete davvero miei figli, perché ciò che Dio vuole è questa pace, cioè il benessere, la gioia, la felicità e la vita di tutti i suoi figli. Quando si costruiscono queste condizioni che permettono a tutti di essere felici, Dio si rivolge a questi costruttori e dice siete davvero miei figli.

L'ultima beatitudine: “Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”. Noi siamo saliti sul monte per sentire la proposta di vita felice, beata, fatta da Gesù. Siamo contenti di averla ascoltata e anche capita questa proposta. Adesso però non possiamo rimanere sempre sul monte, dobbiamo scendere in pianura, dobbiamo tornare fra gli uomini, fra le persone che ragionano in modo diverso, seguono altri criteri, altri valori, scelgono altre beatitudini. E allora vogliamo chiedere a Gesù come saremo accolti lì in pianura, come ci verremo a trovare in mezzo alla gente, se davvero saremo coerenti con ciò che tu ci hai insegnato. E Gesù ci risponde con un'ottava beatitudine, beati i perseguitati per la giustizia, cioè perseguitati perché vogliono che si instauri nel mondo la nuova giustizia, quella del regno di Dio. Ci dice chiaramente non avrete vita facile, mettiamolo in conto, vi insulteranno, vi perseguiteranno, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. C'è quindi un prezzo da pagare se si scelgono le beatitudini di Gesù. È come se Lui ci dicesse mettete in conto, quando vedranno la vostra vita così diversa dalla loro, quando vi sentiranno parlare di gratuità, di condivisione dei beni, di attenzione agli ultimi, ai poveri, di un rapporto di amore di coppia fedele, definitivo, incondizionato, vi osteggeranno o come minimo vi derideranno, ma vi assicuro sarete beati.

Ed chiarisce con due ragioni questa beatitudine. La prima, perché dei perseguitati per la giustizia è il regno dei cieli e poi perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Quando noi sentiamo parlare di cieli il nostro pensiero corre spontaneamente al premio che i servi fedeli riceveranno in paradiso nell'aldilà. No, notiamolo bene, ambedue le promesse fatte da Gesù sono al presente dei perseguitati è il regno dei cieli, appartiene a loro adesso il regno dei cieli, e poi grande è la vostra ricompensa nei cieli. I cieli non sono il paradiso, sono il regno di Dio, il mondo nuovo che ha già avuto inizio nell'aldiquà e che è presente in tutti coloro che vivono le beatitudini di Gesù. Il perseguitato non è felice malgrado le persecuzioni, ma per le persecuzioni che subisce, ed è invitato a rallegrarsi, ad esultare, non perché un giorno le persecuzioni e le sofferenze finiranno, ma perché oggi, essendo perseguitato, tu hai la prova che sta vivendo in un modo diverso dagli altri, non secondo i criteri del mondo vecchio ma secondo la nuova giustizia, ed è da questa convinzione profonda e intima che derivano nel credente la gioia e la pace promesse da Gesù.

 
 
 

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